Farinetti festeggia i dieci anni di Eataly

Di
Silvia Messa
19 Gennaio 2017

Offerte, nuovi progetti e aperture per gli store Eataly, creati dall’ex patron di Unieuro. I templi del cibo buono e legato al territorio italiano cavalcano la crisi, diffondono nel mondo un modello che funziona. E creano lavoro e indotto imprenditoriale.

Oscar Farinetti festeggia i 10 anni di Eataly, la sua creatura. Lo fa in tanti modi, comprese offerte e sconti esagerati negli store della catena, a beneficio della clientela.

Il primo Eataly ha aperto nell’ex opificio Carpano al Lingotto di Torino, il 27 gennaio del 2007. Oggi, sono 33 gli store aperti, 12 all’estero. L’ultimo è stato inaugurato a Trieste, il 17 gennaio, recuperando uno spazio “storico”, l’Antico Magazzino Vino, nel Porto di Trieste, com’è caratteristica di molti tra gli Eataly.

«Festeggiamo questi dieci anni di Eataly anche qui a Trieste. Lo facciamo aprendo. Ed è molto bello farlo in questa straordinaria città di confine, per noi che siamo più internazionali che nazionali. Aprire nella città di confine più ‘figa’ d’Italia è una cosa straordinaria» ha commentato Farinetti (Ansa).

Eataly: un successo

La catena di Farinetti è nata in anni difficili per l’economia. Ma ha inanellato successi. E qualche critica, in un mondo, quello della Gdo, dove grandi gruppi si contendono la clientela, tra offerte, strategie, logiche di marketing e scelte di prodotto. « Abbiamo sempre lavorato in periodi di crisi e quindi ce la sappiamo cavare» ha dichiarato il fondatore. «Sono volati questi 10 anni. Qualcosa abbiamo combinato, in Italia e nel mondo. Tutto è dipeso dall’immensa fortuna di esser nati nel Paese più bello e gustoso del mondo» . Farinetti sottolinea con orgoglio di aver creato oltre 5mila posti di lavoro guardando al futuro, suo e di chi collabara con lui, e valorizzando il passato e la tradizione della nostra enogastronomia. L’occhio è sempre stato attento alle piccole produzioni locali e artigianali, alla biodversità, alla qualità e alla genuinità dei prodotti. «Bisogna essere ‘disruptive’, dirompenti» ha detto il patron di Eataly. «Forbes ci ha classificati 23/i nel mondo nella classifica delle 25 aziende più disruptive del mondo: siamo gli unici in Italia ma siamo solo 23/i e francamente mi ‘girano’ un po’… A me piace stare in testa alle graduatorie» ha dichiarato all’Ansa.

Il futuro: Eataly e Fico

L’impresa non si ferma. In programma, per i prossimi cinque anni, nuove aperture a Mosca, Los Angeles, Toronto, Parigi e Londra. E Fico (Fabbrica Italiana Contadina) Eataly World, una struttura su 80mila mq, che aprirà a Bologna a fine anno prossimo, progettata per la divulgazione e la conoscenza dell’agroalimentare e delle nostre biodiversità. Un luogo di incontro per chi vuole approfondire segreti e tradizioni del cibo, esperienze di gusto e conoscenza.

La ricerca di personale di Eataly continua

Gli store hanno bisogno di lavoratori. C’è una pagina per candidarsi nel sito eataly.it. «Sono sempre alla ricerca di nuove persone che possano aiutare Eataly a migliorare, oppure accompagnarci nelle nuove aperture, Abbiamo lanciato “Born to be eatalian, per trovare giovani che intendano assumere ruoli manageriali, come responsabili delle vendite del Mercato o addirittura di Capo del negozio» ha scritto Farinetti al Corriere della Sera. «Inoltre stiamo cercando Responsabili per la Ristorazione, capaci di dirigere gruppi di lavoro. Infine, siamo sempre alla ricerca, spesso con difficoltà, di persone valide nei settori della bravura artigianale: cuochi e sottoscuochi, macellai, addetti ai salumi e formaggi, panettieri. Persone che dimostrino di avere già buone capacità, acquisite scolasticamente o attraverso esperienze lavorative». Tra le opportunità offerte da Eataly, «il miglior trattamento possibile, per inquadramento e retribuzione, e benefit, come la possibilità di mangiare gratis nei nostri ristoranti».

Farinetti: chi è

Oscar Farinetti, 62 anni, dopo l’exploit con la catena Unieuro, ha ceduto marchio e proprietà, mollato elettrodomestici e hi-fi e investito soldi, creatività ed energie in pane, prodotti tipici e gastronomia. La sua creatura si chiama Eataly, contrazione tra Eat, mangia, e Italy, nei suoi store  si raccontano, si vendono e si gustano prodotti eccellenti a prezzi abbordabili, grazie a una filiera ridotta all’osso: produttore, venditore, cliente. Il cognome, Farinetti, lo faceva presagire. Così la sfilza di avi dediti al grano e derivati: bisnonno mugnaio, nonno venditore di farine, padre pastaio. Ma il papà, uomo di temperamento ed ex partigiano, dopo la guerra, aveva già applicato la sua intraprendenza a nuovi progetti: nel 1967 avviò una torrefazione di caffè e nel 1972, a Castagneto D’Alba, aprì uno dei primi supermercati in Italia: 4 mila mq e un’insegna che grazie a suo figlio, nell’arco di alcuni anni, si è trasformata in quella di un colosso dell’elettronica di consumo.

Ma i tempi cambiano…

Il  fiuto e gli studi di economia  insegnano a Farinetti ad analizzare il mercato, ad annusare dove tira il vento. «I beni di consumo e gli elettrodomestici sono stati il vero new deal dell’uomo. E la loro parabola è partita solo 50 anni fa» racconta Farinetti. «Io li ho venduti con questo spirito: dare apparecchi per farci vivere meglio. Oggi, per gli elettrodomestici, la parte emozionale dei consumi sta scemando. E l’elettronica non è più uno status.  All’inizio gli oggetti di elettronica andavano raccontati. Ora il mercante è passato in secondo piano, si limita a mettere merce sugli scaffali, i margini sono sempre più ridotti. E i produttori si rivolgono direttamente al cliente. Ho subodorato tutto questo e ne sono uscito prima. Per scegliere un mestiere, bisogna analizzare il mercato e guardare se c’è una breccia. Io l’ho fatto, in modo creativo».

Il tipico fa breccia

La breccia in questione era quella dei prodotti tipici, di qualità. Quelli che difficilmente trovi nella grande distribuzione. Per Farinetti è stato un ritorno alle origini, una vocazione mai dimenticata. «E’ bellissimo fare il mestiere di famiglia. Anche se non ho mai rinunciato ad occuparmi di cibo. Nell’89 ho avviato i primi sei negozi monotematici di elettronica-elettrodomestici, nel supermercato di mio padre. E in contemporanea ho aperto il mio primo ristorante. Per me il cibo è il prodotto supremo e l’alimentare il settore dei settori, perché privilegia quello che mettiamo dentro il nostro corpo rispetto a quello che mettiamo fuori. E abbiamo terreno su cui lavorare. Nel Nord del mondo, spendiamo il 75% per il non food e solo il 25% per il food. Potremmo portare il consumatore a spendere meno per esteriorità e più per il cibo, rendendolo più attraente, dandogli un valore aggiunto. Raccontando, spiegando. Siamo ciò che mangiamo: se mangiamo meglio, viviamo meglio. Poi, la life food comunity è bella gente: legge libri, guarda poca tv, usa la testa».

 

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