caro collega, che rrrabbia!

Di
Redazione Millionaire
9 Agosto 2012

Due persone su tre ammettono di perdere la calma al lavoro. Ecco come gestire i conflitti e vivere meglio in ufficio

Partiamo dai numeri: il 94% dei dipendenti ha assistito a scatti d’ira sul posto di lavoro. Due persone su tre hanno ammesso di perdere la calma (ricerca Canon Europe). Le micce? Meeting aziendali lunghi e superflui. Maleducazione e modi sgarbati. Mancanza di supporto da parte di colleghi o capi per questioni “politiche”. Clima e temperatura. Tecnologia malfunzionante (stampanti, computer…). Cattiva organizzazione degli uffici (luce, aria, disposizione delle scrivanie e degli spazi). Di rabbia si ferisce e si perisce. Sia che la si manifesti senza freni sia che la si reprima. Una delle reazioni più umane alle vessazioni è la rabbia. E sempre la rabbia può essere lo strumento con cui un superiore vessa colleghi e sottoposti. Ma come gestirla? È sempre da condannare? Uno studio svedese ha rivelato che soffocare la rabbia nel luogo di lavoro, può raddoppiare il rischio di infarto o di morte per problemi cardiovascolari. La rabbia libera. Malcom X ha detto: “Generalmente quando la gente è triste non fa niente. Si limita a piangere sulla sua condizione. Ma quando si arrabbia riesce a far cambiare le cose”. Eppure, la via da consigliare è quella tracciata da Martin Luther King: “Per qualunque conflitto, l’uomo deve trovare un metodo che eviti l’aggressione, la rappresaglia, la vendetta”. Insomma, bisogna sempre mediare. Ma andiamo per gradi.

In risposta a un ostacolo

La rabbia è la risposta a una frustrazione, la reazione a qualcuno o qualcosa che ci ostacola. Può manifestarsi anche verso chi non c’entra, un bersaglio su cui si scarica la tensione.

La rabbia nasce spesso dalla sensazione di dignità violata o non riconosciuta. I motivi possono essere svariati e molto soggettivi. Ogni gesto è percepito in modo diverso. La reazione di ira è legata alla scarsa stima di sé, alla paura che l’altro colga un disvalore e lo sottolinei. Alla base, quindi, c’è l’incertezza sul proprio valore. E si reagisce con rabbia quando non si viene apprezzati. Chi ha più sicurezza di sé e del proprio lavoro, ridimensiona l’attacco. Chiedetevi: quanta stima avete di voi stessi? Quanto delegate all’altro di stabilire il valore che avete? Appurate sempre se c’è una reale intenzione di attaccarvi. O se siete solo voi che la percepite. Quando c’è la sensazione di essere feriti, lo stress ci impedisce di separare la dimensione oggettiva da quella personale. Non c’è solo la reazione a un attacco vero o presunto. Sbotta anche chi non accetta i limiti. O teme che uno che stima lo ostacoli o ponga l’accento su un suo aspetto che non vorrebbe vedere. Oppure uno con cui esiste un conflitto di fondo che in qualche modo si accentua.

Quando è prepotenza

La rabbia può nascere anche dalla convinzione di valere più degli altri, con la conseguenza che nessuno ci può fare critiche. Alla base c’è una forma di prepotenza, per cui a chi si arrabbia è concesso tutto. La rabbia spesso è associata alla competizione, al timore di avere un detrimento dall’azione dell’altro o un danno reale: perdere qualcosa, oppure qualcuno si approfitti di noi o di una situazione.

Altra situazione che può sfogarsi rabbiosamente: si vuole avere una forma di potere sugli altri, ma non si sanno accettare no e stop alle nostre aspettative. Il nostro punto di vista ha senso fino a che permettiamo anche al punto di vista degli altri di esistere. Il nostro punto di vista non è al centro del mondo o tale da condizionare tutti gli altri. Gli altri hanno pieno diritto a dire no. Se non permettiamo agli altri di avere diritto di esprimere il proprio punto di vista è perché non riusciamo a esprimere il nostro.

E tu che rabbioso sei?

Due le tipologie base di persone che arrivano allo scoppio: gli aggressivi e i passivi. Gli aggressivi manifestano spesso la rabbia, i passivi la soffocano arrivando poi al botto finale. Entrambi non seguono la via dell’assertività, cioè quella della collaborazione e della comunicazione. Hanno resistenze al cambiamento. Si infuriano perché non trovano altro modo per avere ragione. A volte chi manifesta rabbia, lo fa per affermazione. Grida più degli altri per rendersi più credibile. È un meccanismo per dominare. Molti pensano che la rabbia sia la modalità per farsi rispettare: l’hanno insegnato per anni nei corsi per manager! Nel caso dei passivi, la rabbia non esplicitata porta all’autolesionismo. Diventa insoddisfazione che si rimugina, con conseguenze negative su testa, stomaco e intestino. Chi non si sfoga, oltre a provare malesseri di vario genere, arriva a sfoghi amplificati o a mettersi in condizione di licenziarsi o essere licenziato.

Come gestire la rabbia

Lasciate che la rabbia sbollisca. Con se stessi o con un collega, dopo il botto, si può procedere alla disamina dei pro e dei contro per dimostrare che esiste un’altra idea realizzabile. Meglio per iscritto, secondo le tecniche del problem solving: elencare le possibili soluzioni, con gli aspetti positivi e negativi di ciascuna soluzione. Far intravedere benefici, opportunità e altri punti di vista. La rabbia è uno sfogo urgente, veloce. Bisogna riportare chi si arrabbia a ragionare più lentamente. Significa trovare punti di incontro. Il bersaglio della rabbia, dopo lo sfogo, potrebbe fare domande dirette: «Perché lo fai?», cercando di interrompere lo schema di comportamento, il circuito per cui cresce la rabbia. Non bisogna aver paura dell’aggressività. Noi abbiamo istintivamente più paura di chi grida che di chi sta zitto. Ma la rabbia è un segnale utile: ci rivela che le dinamiche con gli altri non stanno funzionando. Chi si arrabbia (o chi cerca di affrontare la rabbia di un altro) deve chiedersi: perché sta succedendo? La rabbia non va amplificata, contrapponendovene altra, perché innescherebbe una reazione a catena. Meglio dare la parola alle persone arrabbiate, metterle in condizione di esprimersi, chiarirsi le idee e chiarirle alle vittime.

Conflitti in corso

Si può seguire un corso per trasferire tecniche antirabbia nella vita lavorativa.

Ecco cosa si impara al Corso di Gestione della rabbia e dello Stress in azienda del Cesma (600 euro, due giorni, per 12-15 persone. Sconto del 15% per i lettori di Millionaire).

Riconoscere i propri punti deboli e “nervi scoperti”. Se qualcuno li tocca, si perde lucidità e ci si sente vittime di attacchi personali.

Esprimere la rabbia. Essere espliciti e circoscritti. Ammettere la rabbia e non negarla è un passo importante. Dire quello che si sta vivendo a se stessi e agli altri.

Riconoscere quali elementi o gesti hanno innescato la rabbia.

Esplicitarla, anche se è concesso a pochi.

Fare un lavoro con se stessi. Capire a quale storia precedente si aggancia la rabbia, isolare l’offesa dalla situazione reale.

INFO: www.cesma.edu

giochiamo a rugby?

La rabbia si può trasformare, introducendo momenti ludici nella vita lavorativa. Per esempio, in caso di conflitti, si può obbligare chi si arrabbia a giocare a ping pong con l’oggetto dell’arrabbiatura. Il gioco, con le sue regole e la sua componente dinamica, allenta le tensioni.

Poi c’è lo sport. Il Training by rugby del Cesma (uno o due giorni, 400 euro più Iva, sconto del 15% per i lettori di Millionaire, www.cesma.edu) si svolge su un campo da rugby, ne insegna regole e schemi, propone un confronto fisico, forte, ma aperto e leale.

le parole da non dire

Ecco le parole da evitare con chi è arrabbiato

› dovresti, deve

› ti sbagli

› pretendo

› non possiamo

› mai e poi mai

› non capisci

› devi essere confuso

› non ho proprio tempo adesso

Silvia messa, Millionaire 2/2011

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