Come un imprenditore toscano trasforma il turismo in valore umano

Di
Marco Colombo
12 Dicembre 2024

In una cornice autunnale di rara bellezza, al The Sense Resort di Follonica, incontro Federico Ficcanterri, un imprenditore che incarna appieno la filosofia del fare impresa con un forte senso di responsabilità sociale e una visione lungimirante.

La sua storia affonda le radici nella semplicità del lavoro manuale e un presente segnato da una straordinaria ascesa nel settore dell’ospitalità di lusso, Ficcanterri si distingue per il suo approccio umano, innovativo e profondamente ispirato a grandi modelli del passato come Adriano Olivetti. Questo racconto è un viaggio attraverso la sua carriera, i suoi valori e la filosofia che guida Icon Collection, il gruppo da lui fondato e gestito.

Incontro Federico Ficcanterri in una spettacolare giornata di inizio autunno. Un uomo statuario, di presenza. Gli inglesi lo definirebbero “a character larger than life“. Ha iniziato in stalla, con una famiglia di lavoratori alle spalle, e oggi possiede cinque hotel 4 stelle. La sua offerta nell’ospitalità di lusso spazia dalla Maremma, via costa livornese, fino a Firenze, dove di recente hanno ristrutturato il rinascimentale Hotel Botticelli.

Il gruppo Icon Collection gestisce un totale di 330 dipendenti annuali e punta a valorizzarli. Ad esempio, qui al Sense hanno deciso di piantare un albero per ogni collaboratore rimasto per più di una stagione. Sin da inizio conversazione emerge una cultura aziendale solida e ispirata. Dice Ficcanterri: “Ogni generazione ha un tempo, un messaggio, una lingua diversa. Sta a noi adulti saper interpretare. Dobbiamo avere delle competenze, e io le sto ancora sviluppando, soprattutto ora nel passaggio generazionale. Al momento ci sono due nipoti e mia figlia nel gruppo; gli altri due stanno ancora studiando”.

Mi racconta che ha selezionato un filosofo, un facilitatore, per potenziare l’ufficio che ama definire “uman risorse” (detto e scritto proprio così ndr.): “Inizieremo ad ascoltare i nostri ospiti interni, così chiamo i nostri dipendenti, mentre gli ospiti esterni sono i clienti che pagano per i nostri servizi“.

 

 

Gli chiedo: perché è importante investire nel capitale umano?

“Perché è il dopo di noi. Un imprenditore si reputa tale se lascia un seme, che non vedrà mai la sua ombra. È più una responsabilità che un privilegio, sai, se vuoi fare impresa per lasciare un segno. Il limite del capitalismo è la sperequazione della ricchezza, la mancata distribuzione equa a chi partecipa a creare utile. È un pensiero che trovate nell’umanesimo di Brunello Cucinelli, sebbene io mi sia ispirato molto ad Adriano Olivetti. Ho letto tutti i suoi libri. Il suo abbattere muri per far entrare luce nella fabbrica, il fare perché il dipendente lavorasse con più entusiasmo: una certa idea di welfare aziendale. È stato il primo a cambiare modo di fare impresa, il più visionario”.

 

 

Le dà felicità vedere tornare i collaboratori ogni stagione turistica?

“Noi misuriamo il turnover. Abbiamo una piattaforma interna e, tre volte a stagione, verifichiamo come si trovano con noi. Un albergo funziona se è pensato prima per i suoi dipendenti. Così come non funziona il turismo, e di conseguenza il lusso, nelle località che non sono pensate per servire i cittadini residenti”.

 

 

Lei non nasce come imprenditore turistico, giusto?

“La mia famiglia è partita con i barocci (carretti, n.d.r.) toscani con il cavallo, poi camionisti, poi impresari edili e agricoltori. Io non sono stato uno studente modello: a 16 anni ho abbandonato la scuola e mi sono trovato in stalla con gli stivali a coscia a levare la ruggine. Mi sono applicato tanto: non si impara solo a scuola, sai. Certo, aiuta perché ti dà un metodo per fare prima e meglio le cose. Ho fatto più fatica; ho pagato l’aver ignorato l’importanza della scuola”.

 

 

Come è arrivato al turismo?

“Mentre ero in stalla già mi dicevo che da grande avrei fatto qualcosa di importante, qualcosa che rimanesse. Nel 1984 mio zio aprì una macelleria all’interno di un’azienda agricola — il km zero di oggi, lungimirante. Dalla stalla mi trovai a pulire le trippe. Dalla padella alla brace. Per 11 anni ho fatto il macellaio, ma iniziai subito a comprare case: facevo debiti per ristrutturarle. Il primo investimento familiare fu il Park Hotel Marinetta a Marina di Bibbona, 80 camere. Dopo sei anni mio zio lasciò; con i miei cugini mi trovai a gestire tutto. Feci tutta la trafila, da lavapiatti a maître de rang, dalla lavanderia alla gestione dei piani. Ho imparato dal basso come si gestisce un albergo: non l’ho ereditato”.

 

 

Com’è cambiato il turismo?

“Il turismo è fatto molto più di numeri e meno di improvvisazione. L’unica cosa che conta è l’eccellenza. C’è meno professionalità nel settore. Noi compensiamo con più consapevolezza e formazione. Proponiamo un’academy interna per chi è alle prime esperienze”.

 

 

 

 

Cosa la fa alzare la mattina dal letto?

“Odio la comfort zone. Ogni giorno devo avere qualcosa di nuovo da fare. La invento, la cerco, la stimolo. Dietro ogni problema c’è un’opportunità. Non esiste crescita senza problemi. L’errore è un capitale che abbiamo pagato mentalmente, economicamente e fisicamente. La pandemia, ad esempio, è stata un’opportunità, dopo averla capita. Nel 2021 il mio atto di coraggio fu cercare un albergo in vendita a Firenze: mi prendevano per pazzo. Ho trovato la location giusta e l’ho comprata con le limitate risorse finanziarie a nostra disposizione. L’imprenditore è chi sa leggere cosa accadrà tra tre anni. Vede, pianifica e fa accadere le cose. Walt Disney diceva: ‘Se lo puoi sognare, lo puoi fare'”.

 

Mi dica un po’ i vostri numeri

“Abbiamo una gestione capillare dei numeri. Da 80 camere in 25 anni siamo arrivati a 366 camere, tutte di proprietà. Sono cinque alberghi più una società di consulenza alberghiera, dove lavorano 18 persone a tempo indeterminato. Nel crescere ho avuto un business coach che mi ha aiutato a interpretare meglio i miei successi e fallimenti imprenditoriali”.

 

Che consiglio dà ai giovani imprenditori?

“Non siate negativi. Ho sbagliato veramente quando ho vissuto in maniera negativa una situazione, una circostanza. Bisogna celebrare i successi. A fine stagione riunisco tutti i miei 330 collaboratori e li ringrazio per il lavoro svolto. Bisogna sì creare prodotto, ma soprattutto capitale umano. Un giorno riuscirò a portarli tutti insieme in vacanza: quella sarà la mia vittoria imprenditoriale”.

 

Federico Ficcanterri è l’esempio di come l’impresa possa essere un motore di crescita non solo economica, ma anche umana e sociale. Con una visione ispirata e concreta, continua a dimostrare che il successo non è solo nei numeri, ma nelle persone che li rendono possibili. La sua storia è un invito a sognare in grande, ma sempre con i piedi ben piantati per terra.

 

Per informazioni su The Sense Resort: www.thesenseresort.com

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