L’energia delle microalghe

Di
Silvia Messa
20 Marzo 2024

Sono il passato della Terra. Ma anche il futuro. Le microalghe sono oggetto di studio, sperimentazione e applicazioni in molti ambiti, dall’alimentazione alla depurazione dell’aria. E alla produzione di un combustibile a minor impatto ambientale.

«Sono state il primo organismo vivente sulla terra. Hanno sintetizzato tutto e creato il mix di atmosfera che permette la nostra vita. Non solo. Hanno creato il colore, la bellezza della natura. E tutt’ora producono il 70, 80% dell’ossigeno al mondo. Il solo Prochlorococcus marinus produce il 20% dell’ossigeno globale, tre volte quanto fa l’intera foresta amazzonica» racconta Giuliano Regonesi, biotecnologo, ceo e founder di Microalgaex, società di ricerca costituita nel 2022 in Turchia, con un team di professori universitari locali e tecnici di molte nazioni. Turchi, russi, ucraini… 32 dipendenti e tanti ricercatori a contratto lavorano insieme a progetti che impiegano le microalghe in vari ambiti. Oltra all’impianto di produzione a Istanbul, ci sono oltre 7 mila mq di laboratori, che studiano microalghe e nanotecnologie.

Il loro prodotto di punta è un bioreattore, Liquid Tree, una colonna brevettata che fa il lavoro di 5 querce: come negli alberi, ma con più efficienza, le alghe operano la fotosintesi e sequestrano Co2 e altri gas dannosi, dentro una superficie tubolare alta 2 m. Questo depuratore d’aria si può posizionare in abitazioni, aziende e ambienti pubblici, come le scuole, dove un’aria più ossigenata e pulita può migliorare le performance mentali e ridurre disturbi e malattie indotte dall’inquinamento e da virus e batteri. L’albero di alghe è già un prototipo, Quando ci sarà una produzione industriale con volumi adeguati, potrà essere venduto a cifre accettabili (sui 5-6mila
euro l’uno).

Ma le alghe non servono solo a depurare l’aria, con la loro grande capacità di cattura di Co2. Se colpite dalla luce, si accrescono e producono una biomassa, che ha capacità energetica molto superiore a quella di mais e soia, colture utilizzate per produrre biocarburanti di prima generazione a discapito dell’alimentazione umana. La biomassa algale contiene lipidi, da cui si può produrre biodiesel, carboidrati, da cui ricavare etanolo e carburanti, e proteine, da destinare ad usi alimentari.

Il lavoro di Microalgaex è partito proprio dalla ricerca di nuove fonti energetiche sostenibili e circolari da affiancare a quelle fossili, finanziata dal governo turco e dalla Comunità Europea.

«Con i fondi ricevuti, abbiamo progettato e realizzato una bioraffineria in Turchia, per la produzione di Bio Jet fuel, un carburante sostenibile per aerei, che si utilizza in un mix con il Cherosene. Attualmente è già utilizzato dalla Turkish Airline» spiega Regonesi.

Il carburante genera CO2, bruciando, ma la biomassa utilizzata per produrlo ha sottratto, prima, Co2 all’aria. Quando il biofuel alimenta un motore la libera di nuovo. Le alghe però la possono sequestrare nuovamente, in un ciclo virtuoso. Il residuo della biomassa diventa anche un biofertilizzante da mischiare a sabbia e terra, come biostimolante e ammendante per piante e colture.

«La ricerca sul biocarburante deve andare avanti. Le auto elettriche mostrano criticità. Si sottovalutano lo scempio ambientale determinato dall’estrazione delle terre rare e il problema dello smaltimento delle batterie. I carburanti di origine vegetale possono essere una soluzione».

Per ora però non ci sono impianti adeguati a una produzione su vasta scala, tale da abbassare il prezzo dei biocarburanti al livello dei carburanti normali.

«In Turchia sono stati investiti 14 milioni per la nostra bioraffineria. Ci sono voluti solo due anni di lavoro per costruirla. È un cammino che tutti gli Stati dovrebbero percorrere. Italia compresa, dove abbiamo già sperimentato gli effetti del blocco del gas dalla Russia. Un Paese che si produce da solo la sua energia è fortunato».

La coltivazione di alghe non deve occupare terreni agricoli, può avvenire in terreni improduttivi e da bonificare, aree industriali inquinate e da riconvertire, impianti dove si emettono acque reflue (fabbriche, miniere, stalle, allevamenti), e anche sul mare e nel mare.

Ma in Italia cosa succede? Si parla dell’opportunità di produrre biofuel da alghe da alcuni anni, la ricerca procede, ci sono brevetti e team più o meno operativi, ma grandi impianti non sono ancora partiti.

I bioreattori sperimentali avviati nel 2020 da Eni a San Donato Milanese per la biofissazione dell’anidride carbonica grazie a micro-alghe, attualmente non sono in funzione. Un’altra bioraffineria avrebbe dovuto nascere a Verona. Nel 2017, l’Enac, l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, ha incaricato Roberto Bassi, professore del dipartimento di biotecnologie dell’Università di Verona, di formare un team per realizzarla.

Il Covid ha bloccato i finanziamenti e rallentato l’operazione. Ne sono comunque nati due brevetti, varie pubblicazioni scientifiche e una startup innovativa, Enerzyme, che continua le ricerche e produce enzimi termostabili da legno e cellulosa, utilizzando organismi fotosintetici geneticamente modificati (alghe OGM). Questi enzimi, molto resistenti, sono impiegati nella filiera per la produzione di biodiesel e biogas. Arriva da Verona anche Tomas Morosinotto, oggi professore a Padova. Guida un gruppo di ricerca su un’alga, la
Nannochloropsis, potenziata con l’ingegnerizzazione del Dna per aumentarne la resa ai fini produttivi. Altri gruppi lavorano alla ricerca sulle alghe, in diverse facoltà, nella Penisola.

Il problema resta far diventare più economica la produzione di biofuel da alghe, per rendere il prezzo di questi biocarburanti competitivi. E mantenere in Italia i giovani ricercatori che si preparano nelle nostre università, ma poi, stanchi di borse di studio a tempo, non rinnovate, e di scarse retribuzioni, cercano all’estero impieghi meglio pagati e laboratori dove sviluppare idee e competenze. La produzione industriale di carburanti da alghe in Italia resta in fase di decollo, in attesa di investimenti rilevanti, continui e con una più ampia prospettiva temporale.

Ma c’è chi già prepara questo sviluppo, realizzando e vendendo attrezzature e tecnologie per la coltura delle alghe. Tere Group, società fondata da una famiglia parmigiana e da una austriaca, dieci anni fa ha avviato a Modena un impianto per la produzione di Biodiesel da alghe, in collaborazione con Unimore, università di Modena e Reggio Emilia. Oggi realizza sistemi per la filtrazione della Co2 e prodotti derivati da microalghe, fa ricerca, costruisce e vende impianti e strumenti da laboratorio.

«Il carburante vegetale che abbiamo messo a punto, Algamoil, oggi alimenta autovetture ed aerei, combinato con diesel e con cherosene. Ne abbiamo seguito tutte le fasi, dalla sperimentazione all’uso» spiega Michael Magri, direttore tecnico.

«Abbiamo già realizzato 15 impianti di produzione per industrie petrolifere, principalmente all’estero. In Italia c’è spazio per la costruzione di nuovi impianti, ma mancano finanziatori solidi italiani. Il rischio è che succeda come nell’eolico e fotovoltaico: quando ci saranno incentivi statali, se li assicureranno imprese straniere».

Il settore va monitorato, anche per capire le strategie che l’Ue metterà in campo per supportarne la crescita e cogliere opportunità. Lo scorso ottobre a Parigi si è tenuto il primo EU Algae Awareness Summit, il vertice europeo dedicato alle alghe. Non si è parlato solo delle potenzialità delle alghe dal punto di vista produttivo. Le alghe non sono solo un “carburante” da business. Sono un mezzo in più per l’umanità per vincere le sfide della fame, dell’inquinamento, della perdita della biodiversità e della povertà.

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