Professione designer

Di
Redazione Millionaire
3 Agosto 2012

L’idea, un disegno, il prototipo, un prodotto. Così nasce un progettista. Saper disegnare non basta. Ci vogliono studi, gavetta e capacità di promuoversi

Diventare designer di oggetti, con annessi sogni di gloria e fama, è l’aspirazione di migliaia di giovani che ogni anno affollano le prove di ammissione alle facoltà di Design. Non progetteranno le nostre case, ma i prodotti che le popolano: dalla tazza al frullatore, dalla lampada all’attaccapanni, dalla ciotola di Fido al cellulare… Le idee diventano disegni, prototipi e poi, quando trovano un’azienda che ci crede, si trasformano in prodotti di consumo o di lusso.

Il cammino di formazione classico passa attraverso l’università. Tre anni per la laurea base in Design (vedi box a destra), e altri due per la Magistrale. Possibili poi dottorati di ricerca, altri tre anni in cui si formano i formatori, o master di perfezionamento. «Al Politecnico di Milano sono arrivate, quest’anno, 3.000 domande per i 900 posti disponibili» spiega Francesco Trabucco, professore ordinario di Disegno industriale e direttore di Master design for plastics. «Bisogna superare un test di ammissione: servono un voto di maturità alto, studi di Storia dell’arte, capacità logico-matematica, conoscenza della lingua italiana e buona cultura generale». Il test non verifica l’abilità nel disegno. Può passare un designer che non sa tenere una matita in mano? «Sì. È più importante disegnare con la testa che con la matita. La tecnica si impara. La capacità di riflettere su quello che si ha intorno e trasformarlo in idee, no» afferma Trabucco. Ma che cosa attira tanto nel mestiere? «Il sogno di entrare nello star system: notorietà, guadagni. Poi, il fatto di mescolare creatività artistico-espressiva e tecnico-scientifica, che interagisce con l’industria e muove denaro». Il Politecnico di Milano ha rapporti con molte aziende, presso le quali gli studenti fanno stage, cui seguono forme di lavoro diversificato e progetti a termine. «Si tratta di aziende di elettrodomestici (Whirlpool, Zanussi, Candy), dell’arredo e dell’indotto, di mobili per ufficio, del mondo dell’illuminazione (Fontana Arte, Artemide, Luceplan), di piccoli elettrodomestici e informatica, imprese di pubblicità, comunicazione, marketing, moda» spiega Trabucco. «I docenti tengono il rapporto con le aziende, impostando  progetti in collaborazione di didattica e ricerca. E le aziende stesse si rivolgono all’Ateneo, in cerca di nuovi designer». Nella scelta dell’università, Milano ha il suo peso: la Città della Moda è anche al centro dell’area produttiva più densa, in Italia, per mobili, elementi di arredo, elettrodomestici. Anche a Torino i rapporti tra università e mondo della produzione sono attivi. «Non si può progettare qualcosa senza tenere conto dell’ambiente che ci circonda» ha dichiarato Luigi Bistagnino, presidente del corso di studi in Disegno industriale del Politecnico di Torino.

Oggetti che fanno vivere meglio, prodotti da riciclo, elettrodomestici a risparmio energetico. Ma di design, cioè esteticamente gradevoli, ricercati, originali. Far incontrare chi li produce e chi li progetta è l’obiettivo di tutte le scuole, pubbliche e private (più costose, ma con una vocazione internazionale accentuata). Alcune aziende assumono progettisti per creare un proprio centro stile. Altre preferiscono collaborare con esterni. È il caso di Alessi (www.alessi.it), specializzata in oggetti per la casa, che accoglie anche stagisti. Spiega Gloria Barcellini, responsabile dei rapporti con le istituzioni e con i nuovi designer: «Ci sono 200 progettisti al lavoro. E ogni anno Alessi realizza 40 nuovi prodotti. Abbiamo designer di varie fasce d’età e diverse nazioni. Riceviamo circa 400 contatti spontanei l’anno: pochissimi arrivano in fase di realizzazione. Devono contenere uno schizzo, un rendering bidimensionale, una matematica con disegno 3D. O un prototipo. Insomma tutto quello che permette di visualizzare meglio possibile».

Nel 1990, la designer Laura Polinoro (www.laurapolinoro.com) ha fondato il Centro studi Alessi, dove si realizzano progetti in workshop. Si parte da un tema a cui partecipano giovani designer, ma anche pittori, fumettisti e creativi, si sviluppa un progetto che poi viene presentato all’Alessi. In genere, ogni progettista ha il suo contratto e riceve una royalty sul venduto dell’oggetto. Pragmaticità: le aziende chiedono questo ai futuri designer. Sam Baron, responsabile e coordinatore dei creativi di Fabrica (vedi box a pag. 49), consiglia a giovani che vogliono fare questo mestiere di imparare gli aspetti artigianali e la pratica quotidiana. «È importante poi saper disegnare in modo comprensibile per il produttore. Infine chiedersi: perché voglio fare questo mestiere? Ho qualcosa di nuovo da dire? Non cercare di essere alla moda, non seguirla, crearla».

Le scuole

Università

In alcuni atenei pubblici esistono facoltà di Design, con varie specializzazioni, tra cui quella in Prodotto o Prodotto industriale. Da citare: Politecnico di Milano (www.polimi.it), Torino (www.polito.it), Venezia (www.iuav.it), Firenze (www.design.unifi.it), Roma (http://w3.uniroma1.it/itaca), Napoli (www.unina.it) e Palermo (http://portale.unipa.it).

Master

› Il consorzio Polidesign del Politecnico di Milano promuove il master post laurea in Design per lo sviluppo industriale. è diretto dal professor Francesco Trabucco. Costa 10mila euro. Ogni anno sono previste due borse di studio del 25% e, decise anno per anno, anche borse di studio del 100%. INFO: www.polidesign.net

› Domus academy organizza il master in Design: 11 mesi, da gennaio a dicembre (13mila euro). In programma seminari e progetti con aziende prestigiose.

INFO: www.domusacademy

Corso triennale

La Nuova accademia di Belle arti (Naba) di Milano organizza il corso triennale di Design, riconosciuto dal ministero. I costi variano per fasce di reddito, da 4.000 euro. Due tipi di borse di studio: quelle dell’Isu in base al reddito e quelle del Naba su base meritocratica.

INFO: www.naba.it

Altri corsi

L’Istituto europeo del Design organizza il corso annuale in Industrial design (in inglese, 10.800 euro) per diplomati e il master annuale in Industrial design, per laureati e professionisti con almeno due anni di esperienza (15.500 euro, possibili borse di studio). Poi ci sono i corsi triennali in Product design (8.100 euro annui) e i corsi di specializzazione in Design del prodotto, da ottobre a maggio, in italiano, con frequenza serale (2.990 euro). Alta la possibilità di inserimento lavorativo per i partecipanti. INFO: www.ied.it

La storia: «La nostra giornata in Fabrica»

Lavorare insieme, stimolandosi a vicenda con varie forme di creatività. È il metodo base anche per Fabrica, il centro ricerca del gruppo Benetton, che da 14 anni lavora su varie aree, tra cui il design. Ogni anno decine di ragazzi sono ammessi a un anno di studio e lavoro. Risiedono a Treviso, con alloggio, viaggio e tasse pagate, e ricevono una borsa di studio di circa 500 euro al mese. Intanto imparano a trasformare le loro idee in prodotti per Fabrica e altre aziende: oggetti da usare tutti i giorni, ceramiche, borse, agende, penne. «È una struttura che ha una sua vita e la sua indipendenza» racconta Sam Baron, coordinatore dei creativi. La sua storia è esemplare. Studi di Belle arti e di Arti decorative in Francia, poi l’ammissione a Fabrica come studente, nel 2003. Altre esperienze, fuori dall’Italia, poi nel 2006 lo richiamano a Fabrica, per diventare capodipartimento. «Ci sono almeno 400 candidati ogni anno. E solo il 20% passa la selezione ed è ammesso. I ragazzi fanno una prova di un paio di settimane, ma solo 50 restano per un anno. Caratteristiche comuni? Personalità, saper disegnare e utilizzare il computer. Presentazione di un bel dossier, completo su di sé. Capacità di comunicare, riuscire a sedurre con il proprio lavoro». A Fabrica non c’è una giornata tipo: il lavoro si reinventa quotidianamente. Che sia un progetto di mostra o una collezione di novità per i Fabrica Feature (negozi diretti) o per le aziende che le commissionano: Zanotti, Effezeta, Casamania, Boza, Diamantini e Domeniconi, Galleria di Roma, Bidi. «Dopo un anno alcuni restano come consulenti per Fabrica, gli altri tornano a casa loro o vanno in altri Paesi. Uno stage da noi è un’ottima referenza. E Fabrica continua a seguirli con il suo supporto, per vedere come funzionano le “teste” del futuro» conclude Baron.

INFO: www.fabrica.it

«Oggetti belli per gli animali? Non c’erano, li ho inventati»

Cristina Rivolta ha 40 anni e un passato nel mondo della comunicazione. Aveva cani e una bella casa. «Ma quando arrivavano ospiti, nascondevo la cuccia. Mi resi conto che non esistevano oggetti belli per gli animali. Tutte cose spartane. Da lì è nata l’idea» racconta l’imprenditrice. Dopo indagini di mercato e un business plan, con Costantino Psilogenis, 43 anni, amministrativo, fonda la United Pets. Coinvolgono due designer di 28 e 30 anni, Giulio Iachetti e Ilaria Gibertini, per creare, nel 1999, la loro prima collezione di oggetti di design per animali. Un successo, prima nei negozi di articoli per la casa, poi in quelli di pet e nei negozi con settore casa, come la Rinascente. «Gli affari vanno bene. Abbiamo fatturato quattro milioni di euro, il 20% in più rispetto al 2007. Occupiamo nove persone e 14 agenti. Esportiamo in 30 Paesi». United Pets non ha designer fissi: ha molte collaborazioni, con giovani sconosciuti e professionisti affermati, come Stefano Giovannoni (Alessi), in un continuo interscambio di proposte e sviluppo di idee. Il designer riceve royalty sul venduto del prodotto del 3,4%. Di Bon ton (foto sopra), l’ossicino dispenser di sacchetti per la cacca dei cani, disegnato da Ilaria Gibertini e Miriam Mirri, ne sono stati venduti un milione di pezzi, a circa otto euro l’uno. L’azienda accoglie stagisti e attende nuove idee. «Siamo aperti a nuovi progetti. Purché integrino i due universi, umano e animale, nell’ambiente casa. E siano esteticamente gradevoli, funzionali, pratici, innovativi».

INFO: www.unitedpets.it, e-mail: info@unitedpets.it

Silvia Messa, Millionaire 02/2009

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