SOS, le startup innovative in aiuto all’ambiente

SOS, le startup innovative in aiuto all’ambiente

Di
Gilda Bruno
18 Gennaio 2024

Mentre gli attivisti ambientali occupano le strade delle città europee per convincere i propri governi a frenare l’estrazione di petrolio e gas, per le startup la questione ambientale è un tema sempre più “bollente”. Quali tecnologie possono facilitare la transizione verso una realtà sostenibile e che prospettive professionali stanno emergendo in concomitanza con la ricerca ambientale portata avanti dalle aziende del futuro?

La startup italiana riconosciuta dal Pentagono e dall’Onu come una degli “agents of change” per la sicurezza ambientale

«La prevenzione è la chiave per creare soluzioni concrete capaci di affrontare le sfide del nostro tempo e costruire un futuro più sicuro e sostenibile». Questa la sfida raccolta da Studiomapp, la startup di Ravenna lanciata nel 2015 da Leonardo Alberto Dal Zovo, suo CEO, e Angela Corbari, direttore operativo. Attiva nel settore dell’analisi dei dati satellitari e dell’intelligenza artificiale, e presente sul territorio ravennate e a Roma, Studiomapp fonde la passione per la tecnologia a un impegno costante nei confronti della sostenibilità ambientale. «In Italia, un Paese ad alto rischio alluvioni, la prevenzione è la chiave», racconta Dal Zovo. «Il nostro obiettivo è fornire dati accurati sulla vulnerabilità e sui rischi presenti in determinati territori per aiutare le comunità a prepararsi e rispondere efficacemente in caso di inondazioni». Ma l’impegno di Studiomapp non si limita a questo: al contrario, il team di Dal Zovo e Corbari monitora costantemente il territorio, supportando in prima persona i soccorritori quando, purtroppo, le emergenze si verificano. Già aggiudicatasi il quarto posto nel concorso internazionale DIUx xView 2018 Detection Challenge, un’iniziativa indetta dal Pentagono in collaborazione con la National Geospatial-Intelligence Agency (NGA) per scovare soluzioni alternative volte alla sicurezza nazionale e, nello specifico, alla gestione delle alluvioni attraverso l’utilizzo dell’AI; nel settembre del 2019, Studiomapp è stata invitata a partecipare a una serie di eventi parte dell’Assemblea Generale dell’Onu come una delle realtà che sta contribuendo attivamente ai 17 obiettivi di sostenibilità identificati dallo stesso organo. 

 

Angela Corbari e Leonardo Alberto Dal Zovo, Studiomapp

 

Secondo quanto riportato dalla Global Enabling Sustainability Initiative (GeSI), ente internazionale formato da 40 fra le maggiori firme di telecomunicazioni al mondo per amplificare la sostenibilità ambientale e sociale delle nuove tecnologie, e Deloitte, società leader nella consulenza aziendale, nello studio “Digital with purpose: Delivering a SMARTer2030”, la startup italiana starebbe infatti spianando la strada per il raggiungimento di tre di questi punti: ovvero obiettivo 9, industria, innovazione e infrastrutture, obiettivo 11, città e comunità sostenibili, e obiettivo 14, la vita in ambiente marino. Indispensabile il suo ruolo durante l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna lo scorso maggio: «ånche grazie alla preziosa collaborazione con operatori satellitari americani come Planet, Umbra e la società svizzera Sarmap, abbiamo offerto supporto cruciale nella gestione dell’emergenza, condividendo mappe quasi giornaliere sugli allagamenti con diversi enti locali», spiega Dal Zovo. Ma in che cosa consiste l’attività di ricerca e prevenzione rischi promossa da Studiomapp?

E che funzione adempie l’intelligenza artificiale in questo contesto? «Utilizziamo dati satellitari di osservazione della Terra per analizzare le aree a rischio e sviluppare mappe accurate e tempestive che permettono una risposta rapida ed efficace», continua il CEO. «L’AI che abbiamo affinato internamente, abbinata ai parametri da noi raccolti sul pianeta, è fondamentale per analizzare grandi volumi di dati ambientali e del territorio: questo approccio ci consente di identificare rapidamente i potenziali rischi su ampia scala, divenendo protagonisti della lotta contro il cambiamento climatico e l’emergenza ambientale». Semplificando, Studiomapp raccoglie immagini della Terra, le analizza per rilevare potenziali pericoli e fornisce le conclusioni tratte a riguardo in maniera comprensibile ai propri clienti, ponendo così le basi per la loro sicurezza e benessere.

Raccogliere e trasformare la CO2 in eccesso in bicarbonati di calcio da immagazzinare in mare

Nata nel 2018 come una community, la lecchese Limenet è divenuta un’impresa a tutti gli effetti nel marzo 2023. La società studia modalità sicure di cattura, trasporto e stoccaggio dell’anidride carbonica capaci di mitigare gli effetti del cambiamento climatico a lungo termine. Oggi, la tecnologia Limenet ha una duplice funzione: «Da una parte, trasforma la CO2 in bicarbonati di calcio contrastando il cambiamento climatico. Dall’altra, dissolvendo i composti carbonatici presenti nell’acqua marina, aumenta la sua capacità di resistere ai cambiamenti nei livelli di acidità, con potenziali benefici per l’ecosistema marino», spiega Stefano Cappello, Ceo e Founder. 

Secondo Cappello, la cui visione è supportata dall’esperienza di Enrico Noseda, Co-founder della startup, oltre a contrastare gli effetti negativi dell’acidificazione degli oceani (come l’indebolimento dei coralli e l’alterazione dell’olfatto di altre creature marine), il bicarbonato è la principale forma in cui il carbonio è naturalmente presente nei mari. La prova del nove sarà l’arrivo del primo impianto Limenet nel Sud Italia, un’area con un’alta esigenza di riduzione delle emissioni di anidride carbonica, il quale «avrà una capacità di stoccaggio di circa 4 mila tonnellate di CO2 annue». 

 

Stefano Cappello, CEO e Founder Limenet

 

Ritorno alla natura

Per beworm, la risposta al cambiamento climatico arriva dalla Terra. Lanciata a Monaco nel 2019 da Eleonore Eisath, sua CEO, la startup prende nome dal verme della cera che, stando a quanto teorizzato dalla scienziata Federica Bertocchini nel 2017, distruggerebbe il polietilene con la sua saliva. 

Premiata per il suo contributo alla ricerca ambientale, Eisath utilizza i fondi per avviare una startup. «beworm vuole sviluppare una tecnologia dirompente per aiutare a risolvere l’enorme problema dell’inquinamento e del riciclaggio della plastica», racconta Giulia Chiapparini, Co-founder e CTO. Partendo dai batteri rilasciati dai vermi durante la degradazione del polietilene, materiale alla base del packaging industriale, beworm utilizza gli enzimi presenti in essi per ridurre le particelle della plastica in sostanze chimiche di base e impiegarle in plastica riciclata e altri prodotti petrolchimici. «Creare un processo circolare di riciclo della plastica allenta la nostra dipendenza dalle risorse fossili e dà un nuovo valore ai 4.900 milioni di tonnellate di plastica che abbiamo prodotto collettivamente», spiega Chiapparini. La strada, però, è ancora lunga. 

«Per riuscire a implementare questo procedimento su larga scala, proponendolo come un sistema integrativo al riciclaggio meccanico e un’alternativa sostenibile alla combustione, serve un team multidisciplinare di microbiologi, biochimici e chimici specializzati in Scienze dei materiali», aggiunge la ricercatrice. «Al momento, stiamo studiando il comportamento dei batteri che normalmente vivono all’interno delle viscere dei vermi nel momento in cui vengono esposti a diversi tipi di “cibi plastici”. Cerchiamo quindi di capire cosa avviene a questi alimenti da un punto di vista chimico per identificare i passaggi cruciali dei percorsi molecolari che vogliamo riprodurre e ampliare».

 

Eleonore Eisath CEO beworm e Giulia Chiapparini Co-founder e CTO beworm

 

Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare

Per Francesco Berton, Game Director dell’azienda di videogiochi indipendente Safe Place Studio, sfruttare il potenziale dell’industria videoludica per riflettere sul progredire della crisi climatica ci fornisce nuove prospettive attraverso cui rispondere all’emergenza. «La forza dei videogiochi è quella di stravolgere i punti di vista, mettendoci nei panni di personaggi che, dal futuro, parlano al nostro presente», spiega Berton. Ideato nel 2019 come progetto finale di un gruppo di studenti dell’Event Horizon School di Padova, Venice 2089, il primo videogioco prodotto da Safe Place Studio, racconta la storia di Nova: un’adolescente in balia delle sfide della gioventù ulteriormente messa alla prova dalle maree che sommergono la sua città, Venezia. 

Lo studio, aperto nel 2021, è stato fondato per ultimare il videogioco al di fuori della scuola dove era nato. «Venice 2089 parte dal presupposto che l’emergenza climatica è già in atto: le nuove generazioni stanno subendo le conseguenze di un cambiamento che è già irreversibile», racconta Berton. Per questo è ambientato in un futuro non troppo distante, dove i giovani odierni sono i nonni e le nonne del 2089, «coloro che non hanno smesso di lottare pur vedendo il mondo affondare». 

Che si tratti di ambire a una rinascita “dal basso” o di brevettare tecnologie capaci di capovolgere l’andamento dell’emergenza climatica, il progredire della crisi ambientale ha spinto la comunità internazionale a cimentarsi in soluzioni volte ad attutirne, o rimediarne, i danni. A emergere non sono soltanto idee innovative da mettere alla prova nei più svariati ambiti, ma anche opportunità professionali da sfruttare al meglio per risolvere i quesiti di un’epoca caratterizzata dall’instabilità ecologica, economica, politica e sociale.

 

Francesco Berton, Game Designer Venice 2089

 

Articolo pubblicato su Millionaire di novembre 2023.

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