Tra calo delle nuove imprese e disaffezione al lavoro, il Censis indica una sfida: reinventare la cultura aziendale, dare spazio alle idee e rilanciare la spinta imprenditoriale. A beneficio di una generazione intera che attualmente vive il lavoro con distacco
L’Italia continua a perdere slancio imprenditoriale e motivazione sul lavoro. È la fotografia del Rapporto Censis 2025, che unisce due trend solo apparentemente lontani: il calo strutturale dei titolari d’impresa, soprattutto giovani, e un livello di engagement dei lavoratori tra i più bassi d’Europa. Per chi fa impresa, per chi gestisce team, per chi sogna di avviare un progetto, questi dati non sono solo numeri: raccontano il contesto in cui operiamo e indicano dove intervenire per non restare fermi.
Sempre meno imprenditori (e sempre meno giovani)
Negli ultimi vent’anni il tessuto imprenditoriale italiano si è assottigliato. Dal 2004 al 2024 i titolari d’impresa sono passati da 3.428.000 a 2.844.000: quasi 585 mila in meno, pari a un calo del 17%. La contrazione più drastica riguarda i giovani: gli under 29 sono scesi a 153.425, con un crollo del 46% rispetto al 2004. Oggi rappresentano appena il 5,4% degli imprenditori, contro l’8,3% di vent’anni fa.
La fascia 30-49 anni, un tempo maggioritaria, si è ridotta al 40,7%, mentre cresce il peso degli over 50, saliti dal 8,1% al 10%. Nemmeno l’imprenditoria straniera riesce più a compensare la deriva demografica: i titolari immigrati – 461 mila, pari al 16,2% del totale – sono in lieve calo dal 2021.
Il Censis riconduce questa tendenza alla regressione demografica e alla fragilità economica delle microimprese: il loro peso sul PIL è passato dal 17,8% del 2004 al 14,0% del 2024. Intanto il potere d’acquisto reale delle retribuzioni è sceso dell’8,7% dal 2007 e quello pro capite del 6,1%. È il ceto medio, tradizionale motore dell’iniziativa privata, a mostrare più chiaramente la febbre: meno risorse, meno margini, meno rischio.
Engagement: la seconda crisi che pesa sulle imprese
Alla contrazione dell’imprenditorialità si affianca una crisi altrettanto significativa: quella della motivazione sul lavoro. Nel settore privato solo il 29,4% dei dipendenti si sente “molto motivato a dare il massimo”. Tra gli over 55 la quota sale al 37,5%, mentre tra gli under 44 scende al 24%. Una generazione intera vive il lavoro con distacco.
Pesano diversi fattori: il disallineamento tra competenze e mansioni – solo il 27,2% dei lavoratori percepisce una piena coerenza con il proprio ruolo – e la perdita di centralità del lavoro nella vita delle persone. Quasi la metà degli occupati afferma che il lavoro ha perso importanza; fra i giovani lo pensa il 54,1%. Il risultato è un disengagement che impatta direttamente sulle imprese: il 38,3% dei lavoratori segnala un effetto forte e tangibile sulla produttività aziendale, un altro 34,2% lo considera comunque influente.
Il rapporto Censis–Philip Morris presentato a settembre 2025 approfondisce ulteriormente il fenomeno: quasi l’80% dei lavoratori si dichiara “motivato”, ma solo un quarto tra gli under 45. Il 44,3% ha pensato di cambiare lavoro – percentuale che sale al 64,6% tra i più giovani. Per migliorare la motivazione, il 54% chiede retribuzioni più competitive, quattro su dieci chiedono benessere e condizioni migliori, un terzo benefit aziendali, più di uno su quattro maggiore flessibilità.
«I numeri parlano chiaro: solo il 10% dei lavoratori italiani si dichiara davvero coinvolto nel proprio lavoro e quasi la metà sperimenta una distanza emotiva dalla propria attività», ha dichiarato Pasquale Frega, Presidente e AD di Philip Morris Italia, presentando il rapporto. «È una sfida che, come imprese, non possiamo ignorare».
Cosa ci insegnano questi dati? E cosa possiamo fare nelle nostre imprese
Il Rapporto Censis non è solo una fotografia: è un messaggio. Racconta un Paese che rischia di vivere “a bassa energia”, con meno spirito imprenditoriale e meno partecipazione nei luoghi di lavoro. Ma indica anche le leve su cui intervenire.
A) Ricostruire la vitalità imprenditoriale
Meno giovani che avviano imprese significa meno innovazione. Occorrono ecosistemi che facilitino il rischio: formazione, mentorship, strumenti finanziari accessibili, procedure snelle. Chi già fa impresa può promuovere iniziativa interna, responsabilità diffusa, sperimentazione.
B) Mettere davvero al centro le persone
Le retribuzioni adeguate contano, ma la motivazione nasce soprattutto da:
– ruoli allineati alle competenze
– riconoscimento
– autonomia
– benessere
– flessibilità
– opportunità di crescita reale
Ogni imprenditore, manager o professionista può lavorare su questi fattori, giorno dopo giorno.
C) Collegare i due mondi
La salute imprenditoriale e la motivazione dei lavoratori non sono sfere separate: si alimentano a vicenda. Dove mancano energia, senso e fiducia, le imprese non nascono e quelle esistenti faticano a innovare.
Rimettere in moto ciò che si è rallentato
Il Censis ci mostra con chiarezza dove siamo. Ma il punto, oggi, non è soltanto leggere i dati: è decidere come rispondere. A noi – intesi come community di imprenditori, professionisti, startupper, ma anche dipendenti che vogliono crescere – spetta il compito di rimettere in moto ciò che si è rallentato. Significa tornare a generare idee, dare spazio all’iniziativa, costruire ambienti di lavoro capaci di accendere motivazione e responsabilità, sostenere i giovani che desiderano provarci e creare nuove strade.
Perché il futuro dell’impresa italiana non si giocherà solo sulla tecnologia o sugli incentivi, ma sulla nostra capacità di alimentare energia, fiducia e coraggio collettivo. È da qui che parte ogni cambiamento reale.
Photo cover: iStock / dima_sidelnikov