Come aprire una wineria, consigli degli esperti del settore

Di
Redazione Millionaire
2 Gennaio 2015

L’ultimo trend è chiamarle winerie. Locali dove a farla da padrone è il vino, accuratamente selezionato, e abbinato a un tagliere di affettati o piatti freddi. Investimenti più bassi (non c’è cucina) Ma occorre un’idea in più, una trovata, un elemento di differenziazione. Per battere la concorrenza

 1. Quale formula spopola?

Enoteca di giorno e consumazione al bicchiere all’ora dell’aperitivo, con un piccolo menu di piatti freddi o riscaldati. Una formula più semplice (e più economica) rispetto alla cosiddetta “enoteca con cucina”, che prevede un menu di piatti cucinati nel locale. In quest’ultimo caso, infatti, occorre una canna fumaria a uso esclusivo, uno spazio più ampio per contenere la cucina, oltre a un numero maggiore di autorizzazioni e pratiche burocratiche. «Il mio locale di giorno è un negozio che vende vino in bottiglia, ma all’ora dell’aperitivo si trasforma» spiega Stefano Rimassa, titolare a Milano di Wineria (www.wineria.it). «I tavoli che fanno da espositore vengono liberati dalle bottiglie e sono pronti ad accogliere la gente che vuole sedersi per bere. Proponiamo vino di qualità proveniente dai piccoli produttori italiani, il prezzo di una bottiglia non supera i 20 euro (un bicchiere dai 3,30 ai 5 euro). Ad accompagnare il vino, taglieri di salumi e formaggio (5,50 euro), e d’inverno piccoli piatti caldi, come la polentina o il frico, torta salata friulana che riceviamo in sottovuoto. Non possiamo cucinare ma solo riscaldare».

 2. Quanti metri quadri e dove?

70 mq (sala di 50 metri quadri + 20 mq tra piccola cucina, spogliatoio, e bagni) rappresentano una superficie più che sufficiente, ma bastano anche 40-50 mq. La superficie aumenterà di 20-25 mq se si decide di tenere una cantina in loco. L’alternativa è farsi rifornire di volta in volta, ed è una formula che funziona. Dove aprire? «La location è fondamentale, perché determina il giro di affari del locale» spiega Massimiliano Balestreri, titolare a Milano di El Buscia (vedi box). «Vanno bene i wine bar di quartiere, ma devono essere in un punto di passaggio. Metà del giro di affari di una vineria li fa chi abita in zona». Gli fa eco Fabio Locatelli, titolare della vineria Le Zitelle: «Volevo riproporre l’idea del bacaro veneziano: un luogo informale, frequentato dalla gente del quartiere, dove si va a far quattro chiacchiere prima di andare a casa. La gente sta rispondendo bene, comprende questa filosofia».

 3. Dove comprare il vino?

Un buon assortimento di vino comprende almeno 300-400 etichette. Può essere acquistato dai distributori o direttamente dai produttori (in quest’ultimo caso è da considerare il costo di spedizione). «I distributori hanno il vantaggio di rifornirti nell’arco di due giorni, ma hanno cataloghi di vini piuttosto comuni» spiega Rimassa. «Io ho scelto di dare spazio a etichette un po’ speciali, di piccoli produttori, anche per differenziarmi dalla grande distribuzione (vedi box dati). E in questi casi acquisto direttamente dalle cantine».

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4. Quanti soldi ci vogliono?

Ipotizzando una superficie di 50mq, non meno di 70-80mila euro:

– ristrutturazione dei locali (1.000 euro al mq),

– arredo (10mila euro),

– macchinari (4mila euro tra frigorifero, cantinetta per vini bianchi e spumanti, lavabicchieri, affettatrice)

– le spese burocratiche e l’investimento iniziale in vino.

«Quando ho aperto il locale, ho acquistato circa 8mila euro di vino (circa 300 etichette, 6 bottiglie per tipo), che non è una cifra molto alta» continua Rimassa. «Con il tempo, ho capito cosa va di più e cosa meno. Il prosecco, per esempio, è sempre molto richiesto negli aperitivi, si arriva a consumarne anche 50 bottiglie al mese».

5. Occorre avere delle qualifiche?

1)  Qualifica professionale legata all’attività alimentare (esempio: diploma di scuola alberghiera) o aver svolto in maniera continuativa (almeno 2 anni) un’attività di somministrazione di alimenti e bevande negli ultimi 5 anni. In mancanza di tali requisiti, è obbligatorio frequentare un corso Sab (Somministrazione alimenti e bevande). Durata (tra 60 e 100 ore, frequenza obbligatoria tutti i giorni ed esame finale) e costi (da 300 a 700 euro) variano da regione a regione.

2) Certificato Haccp, che certifica la formazione del lavoratore in tema di conservazione degli alimenti e igiene personale. Si ottiene con un corso dalle 4 alle 8 ore. Costo: 50 euro. Richiesto per chiunque lavori nel locale.

3) Corso di formazione sulla sicurezza sul lavoro (antincendio, sicurezza, primo soccorso), obbligatorio se l’imprenditore ha almeno una persona che lavora per lui.

Le regole variano spesso da regione a regione, il consiglio è di informarsi presso la propria regione.

6. Si può aprire senza esperienza?

Sì, purché si abbia una vera passione per il vino. «Ho lasciato il mio lavoro di giornalista, ho letto il Kit di creaimpresa e aperto la Wineria» precisa Rimassa. «Per avere una base di conoscenza ho frequentato il corso dell’Organizzazione nazionale assaggiatori vino (www.onav.it). Corrisponde al primo livello del corso di sommelier, organizzato invece in tre moduli (www.aisitalia.it), più completo ma non necessario: gran parte dell’esperienza te le fai sul campo. Ma non ci si può improvvisare. Il vino rappresenta la nostra cultura. Lo devi saper raccontare e trasmettere agli avventori. Il 90% della gente che entra nel locale chiede consiglio sul vino da consumare o acquistare».

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 7. Che margini si applicano?

I margini di vendita sulle bottiglie si aggirano intorno al 30%, mentre quelli degli aperitivi sono molto più alti (intorno al 70-80%). Per determinare il prezzo di un bicchiere di vino di solito si divide il prezzo della bottiglia per 4 (per 3 nel caso di spumanti). Tenendo conto che da una bottiglia vengono fuori 6 bicchieri, il guadagno sarà rappresentato dai 2 bicchieri in più. Esempio: se una bottiglia la pago al fornitore 20 euro, ogni bicchiere lo farò pagare 5 euro. Con i primi 4 mi ripago la bottiglia, gli altri due saranno il mio guadagno, tolti i costi fissi e altre spese.

8. Quanto bisogna guadagnare perché la cosa funzioni?

Per calcolare i guadagni, occorre considerare i costi che ogni mese dobbiamo coprire: affitto del locale e spese di funzionamento, assicurazione, eventuali spese per il personale, commercialista, approvvigionamento. Coperti tali costi, deve rimanere un margine che costituirà il guadagno per l’imprenditore. «Ho calcolato un margine di almeno il 50%» spiega Rimassa. «Con un investimento di 80-90mila euro, occorre incassare circa 150mila euro l’anno per sostenersi. Ho aperto da pochi mesi e chiuderò il primo anno in pareggio, ma occorre portare dentro molta gente per sviluppare il giro di affari».

9. Come farsi conoscere?

Inaugurazione, passaparola, pagina Facebook per cominciare. Ma l’attenzione va tenuta sempre alta con nuove iniziative di marketing: corsi sul vino, degustazioni, serate a tema. «A dicembre le serate “paga con un bacio”, in cui offrivamo la prima consumazione alle coppie che si scambiavano un bacio, hanno portato molto fatturato» spiega rimassa. C’è chi già nel nome ha inserito l’idea di marketing. All’enoteca La Cieca (www.lacieca.it), chi sceglie una bottiglia da bere “alla cieca”, si vedrà servire un bicchiere nero di cui dovrà indovinare il contenuto: vino, annata e azienda. Se azzecca tutto, si vince la bottiglia. Se indovina solo in parte, guadagna il calice.

 10. E la burocrazia?

> La vineria è considerata un pubblico esercizio, cioè un luogo in cui sono somministrati alimenti e bevande, la sua apertura è soggetta ad autorizzazione Comunale (a meno che non si subentri in un pubblico esercizio già esistente).

> Apertura della partita Iva presso l’Agenzia delle Entrate (prima occorre scegliere la forma giuridica), iscrizione al Registro delle Imprese tenuto dalle Camere di Commercio, iscrizione a Inps e Inail possono essere assolti attraverso la Comunicazione Unica (www.registroimprese.it/comunica).

> Segnalazione certificata di inizio attività (Scia): è la dichiarazione che consente alle imprese di iniziare, modificare o cessare un’attività produttiva.

> Richiesta di licenza alcolici, da chiedere all’agenzia delle Dogane

> Il nulla osta Asl relativo ai requisiti igienici del locale.

Luci e ombre

L’Italia è il primo produttore di vino al mondo con 45 milioni di ettolitri nel 2013. Il consumo di vino è in continua ascesa, ma tra il 2002 e il 2012 è cresciuto il peso delle vendite di vini nella grande distribuzione (dal 35% al 47%) a scapito del canale enoteche e wine bar (ricerca Mediobanca). Nel 2012 il 75% ha comprato vino al supermercato, soltanto il 16% si è rivolto a un’enoteca, il 58,6% sceglie il vino in base al rapporto qualità/prezzo, il 68% dei bevitori trova difficile orientarsi nella scelta e vorrebbe avere più informazioni sul vino (dati Vinitaly).

La storia

«Con tutte quelle bollicine…»

Lavorava in una multinazionale di beni di largo consumo, ma nel tempo libero andava per cantine, assaggiava i vini, annotava tutto quello che beveva. Ha preso il diploma di assaggiatore, quello per sommelier, ha fatto tanti viaggi in Francia. Poi, l’anno scorso, la decisione: mollare il lavoro e aprire un wine bar. Massimiliano Balestreri, 39 anni, milanese doc, una laurea in economia, ha chiamato il suo locale El Buscia (in dialetto milanese significa “il vino che ha le bolle”). «Ho scelto un posizionamento che a Milano non era presente: il “mondo delle bollicine”, cioè spumanti e champagne. La differenziazione era uno dei principi di marketing su cui avevo lavorato per anni da dipendente, ho capito che era arrivato il momento di applicarlo alla mia impresa». Massimiliano costruisce un assortimento di più di 500 etichette, il più alto in Italia di vini con le bollicine. Una metà sono italiani, un’altra metà francesi. «Ma attingo anche a produttori tedeschi, sudafricani, inglesi… non punto ai nomi famosi, ma ai piccoli produttori che spesso importo io direttamente, per non passare dal distributore e tenere i prezzi più bassi». Così una bottiglia di champagne francese può costare 28 euro (ma si arriva fino a 250). Uno spumante italiano, 12 euro (fino a 70-80). Dei 150mila euro investiti, due terzi sono andati in ristrutturazione, perché il locale che ha preso in affitto prima era un’agenzia di viaggi. Un terzo l’ha speso in magazzino. «Ho deciso di considerarlo un investimento a fondo perduto: quello che voglio è darmi uno stipendio, tutto l’utile che ne trarrò lo investirò in una nuova attività». Come sta andando? «Ho aperto da meno di un anno e sono soddisfatto. Ho iniziato a coprire i costi fissi, ogni mese il mio fatturato cresce». Da poche settimane Massimiliano ha aperto il sito di e-commerce. È un’attività a integrazione di quella “off-line”. La seguo la mattina, quando nel locale c’è meno gente. Ritengo che il mio assortimento, così particolare, possa avere successo anche su Internet, dove la gente ricerca i prodotti per parole chiave. Inoltre l’e-commerce crea un fatturato incrementale senza ulteriori costi fissi (tranne quello del sito: 10mila euro)». Info: www.elbuscia.it

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