Creare un’azienda 100% remote working è possibile

Di
Redazione Millionaire
11 Novembre 2022

Federico Mattia Dolci, Ceo di Boom, racconta come è possibile creare oggi in Italia un’azienda 100% remote e avere successo.

 

Ogni giorno assistiamo alla trasformazione di tante aziende nel mondo, da un concetto di lavoro ordinario a una modalità ibrida o 100% remota. Ci sono ancora molti dubbi su quale sia la migliore soluzione, ma i numeri parlano chiaro. Da statistiche effettuate da Zippia, la produttività delle aziende che hanno scelto di dare flessibilità ai propri team si è alzata di circa il 32,2%, la soddisfazione dei dipendenti di queste aziende è salita al 65% (FlexJobs Statistics) e l’assunzione di talenti è aumentata, grazie alla ricerca in location al di fuori della base geografica.

Il mondo è cambiato e non possiamo ostinarci a tornare al passato pensando che fosse il posto giusto. Nella mia ricerca di aziende che hanno scelto di investire nel futuro, ho trovato Boom e il suo Ceo, Federico Mattia Dolci. Boom è un’azienda nata a Milano, ma ormai globale. Ha creato in pochi anni una soluzione all-in-one per le aziende digitali per produrre, gestire e analizzare contenuti visivi. Federico è co-fondatore e Ceo di Boom e Forbes 30U30 in Europa. Un Ceo “filosofo”, come mi piace chiamarlo, con una visione di leadership che ho visto solo nei miei anni in Silicon Valley.

 

BOOM

 

Quando hai capito che dovevi trasformare la tua azienda in una 100% remote company

«Il mondo cambia a gran velocità. È evidente che questa è una chiamata che nessuno potrà ignorare. Se ci fossimo incontrati 4 anni fa, all’inizio, ti avrei raccontato dei nostri due piani in centro a Milano e del progetto di espanderci in tutto il palazzo. Oggi ringrazio le sfide affrontate e la voglia di sperimentare nuovi sentieri. Sì, “trasformare” è la parola chiave. Perché non si tratta, come capita di leggere, di un progetto o di un benefit. Il remote non è solo lavorare da casa. Anzi. Un’azienda remote richiede un cambiamento radicale nel modo di organizzare le comunicazioni, le decisioni, così come le interazioni, anche quelle più semplici. Le persone chiedono oggi, a gran voce, di riappropriarsi del proprio tempo, di una colazione con i figli, di potersi dedicare allo sport o alla lettura, assecondando i propri momenti di produttività. Cadono così due grandi menzogne: che siamo tutti uguali e produttivi dalle 9 alle 18 e il ping-pong in ufficio. Oggi finalmente le parole d’ordine sono mutate: libertà, flessibilità, senso del perché e responsabilità. Davanti a questi valori, sfido ogni Ceo o manager a non sentirsi già in ritardo davanti al mondo che evolve».

 

Raccontaci com’è avvenuto il processo nel diventare 100% remote. Le difficoltà e benefici che hai visto da subito.

«È un viaggio molto arricchente. Lavorare in remoto può infatti significare molto: dal “semplice” lavoro da casa al puro nomadismo. Un’evoluzione tanto affascinante quanto complessa. E le difficoltà appunto non mancano, soprattutto in un mondo interconnesso e competitivo. Basti pensare che nei Paesi Bassi lo smart working è diventato un diritto legale, in Italia invece si vacilla ancora in preda a una legislazione soffocante. Oggi, lavorare, significa molto di più. Significa riconoscersi in una sfida, nei valori che questa promuove e riunirsi in una community di persone animate dalla grande voglia di innovazione. E lavorare in una cultura remote, significa anche questo. Significa anteporre nuovi valori alla vecchia leadership, significa incoraggiare e supportare un orario di lavoro flessibile e orientato al raggiungimento di obiettivi chiari e trasparenti, così come il diritto alla disconnessione. Ormai sacro. Significa promuovere un vivace fermento culturale, fidarsi e investire, con lo scopo di rendere le persone libere, responsabili e più produttive, riportando al centro il benessere della persona stessa, come individuo. È una sfida per cui vale la pena esporsi con tutte le proprie forze».

 

BOOM

«Le persone vogliono autonomia, flessibilità e libertà per un cambiamento radicale delle priorità»

 

Cosa pensi del fenomeno delle “grandi dimissioni”? È una fuga dal mondo del lavoro da parte dei giovani? 

«Un giorno mi chiesero se preferissi un tramonto o una busta paga più generosa. Rimasi stupito, e non solo dalla provocazione, ma soprattutto dalla portata del cambiamento, perché questa è una domanda che di per sé segna un momento radicale. È innegabile infatti che molte persone stiano ricalibrando la propria vita e le relazioni con il proprio lavoro. Questo tuttavia non segna la fine dell’ambizione, come molti urlano. Stiamo invece assistendo a una nuova consapevolezza. Questa è la “grande rivalutazione”, come scrive Julia Hobsbawm, in The Nowhere Office, è “Una resa dei conti su larga scala che plasmerà il futuro del lavoro”. E i dati non mentono. Le persone vogliono autonomia, flessibilità e libertà per un cambiamento radicale delle priorità. L’ondata delle “grandi dimissioni” non è quindi uno schiaffo in faccia al lavoro, ma al modo in cui lavoriamo. Molte aziende orientate al futuro stanno già esplorando nuove idee di gestione per promuovere l’interconnessione e creare un ambiente di accettazione, innovazione e apprezzamento di idee diverse. Riportare al centro i bisogni individuali è una priorità. Solo così nessuno non sarà più costretto a dover scegliere tra un tramonto e le ambizioni».

 

Sono sempre più convinto che siamo solo all’inizio di una delle più grandi rivoluzioni positive della storia e leader come Federico Mattia Dolci dovranno prendere una decisione veloce: “Guardare ciò che succede nel mondo, o guidare il cambiamento”. Come diceva Seneca: “Non è perché le cose sono difficili che non osiamo. È perché non osiamo che sono difficili!”.

 

Articolo da Millionaire ottobre 2022.

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