Dalla provincia di Milano fanno un brand e vendono in Giappone

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14 Gennaio 2015

Partono da zero e creano un brand di abbigliamento distribuito in circa 50 negozi (in Italia, in Ungheria e perfino in Giappone). Daniele, Gioele, Federico e Alessandro, hanno tutti 25 anni e sono gli ideatori di Dolly Noire, un marchio che punta sul genere dello street wear. Originari di Buccinasco, comune italiano in provincia di Milano, partono per gioco all’età di 15 anni, quando frequentavano il liceo e giocavano insieme a calcetto: «Abbiamo iniziato con una maglietta. Ne abbiamo realizzate 40 per i nostri amici, spendendo 50 euro a testa» racconta Alessandro Malandra, laureato alla Bocconi in Economia e Scienza Sociali, si occupa degli aspetti finanziari.

federico ferrero

Nel 2008 le cose diventano più serie. I quattro amici finiscono gli studi universitari e aprono una partita Iva: «Ci siamo autofinanziati con 500 euro a testa. Abbiamo realizzato una prima maglia con una grafica e ci siamo presentati in alcuni negozi per mostrare le maglie. All’epoca eravamo inesperti: andavamo con un solo prodotto e i negozianti ci dicevano di tornare quando avremmo avuto più cose da mostrare». Il primo sì lo ottengono da un negozio al centro di Milano, corteggiano il titolare per un anno finché lui cede alle loro richieste: «Decise di prendersi 30, 40 magliette. Ci disse: “Ora tornate tra un mese”. Allora puntavamo tutto sulla qualità della grafica poiché non avevamo abbastanza soldi per comprare materie prime di qualità».

alessandro malandra

Le prime vendite vanno, i ragazzi decidono di partecipare a una competizione per startup, indetta da Banca Intesa. Sono tra i finalisti: «Abbiamo iniziato a ragionare su come creare un marchio, quali strategie di marketing migliori adottare per noi che puntiamo su un pubblico che va dai 15 ai 25 anni». Ma di finanziamenti neanche a parlare. Non riescono a ottenerli tramite banca. Servono per avviare la società. A risolvere il problema, un’intuizione di Daniele Crepaldi, laureato in Ingegneria gestionale e brand manager dell’azienda: «Ha parlato dell’idea al padre di un ragazzo a cui faceva ripetizioni. A lui è piaciuto subito il progetto e ha deciso di finanziarci con 15mila euro».

daniele crepaldi

Sono giorni frenetici in cui si incontrano ogni giorno per decidere come promuovere il brand: «Abbiamo puntato alla fine su due strategie, una dal basso reclutando ambassador nelle scuole e nelle università. Sono 250 in tutto. Firmano un contratto con noi e vendono i nostri prodotti. Diventano veri e propri portavoce della filosofia del brand, ne parlano, lo divulgano sia offline che online. E poi una strategia dell’alto: abbiamo contattato testimonial del mondo rap, emergenti o più conosciuti che potevano aiutarci nella promozione».

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Oggi distribuiscono i loro prodotti in temporary shop e negozi (una cinquantina in tutta Italia). Esportano a Budapest e in Giappone: c’è un fan che ha creato un sito per vendere le loro felpe e snapback (berretti a visiera piatta): «Abbiamo raggiunto il primo obiettivo: 120mila euro di fatturato. Puntiamo a triplicarlo nel prossimo anno. Non è facile, siamo partiti da zero, non abbiamo genitori che fanno impresa, ma la voglia di crearci un futuro tutto nostro sta vincendo su tutti gli ostacoli».

Ecco i consigli del team di Dolly Noire

1.  Forma un team con competenze complementari. «Noi lo abbiamo fatto. Oltre a me e a Daniele, ci sono Gioiele Castelvetere, laureato in Design della Comunicazione e Federico Ferrero, laureato in Economia e Commercio. In quattro copriamo varie competenze, marketing, finanziarie, commerciali e di design».

2. Coinvolgi i fan nella creazione e distribuzione. «È una strategia che funziona e ci sta dando molte soddisfazioni. Abbiamo indetto un concorso all’interno del sito in cui ognuno può partecipare alla parte creativa, inviarci grafiche e fare business con noi».

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3. Non avere paura di puntare su una nicchia, potrebbe crescere in futuro. «È quello che è successo con il rap che da genere di nicchia è diventato oggi quasi nazional popolare. Non è un caso che l’ultimo Sanremo Giovani, la manifestazione più popolare che c’è nella musica, sia stato vinto da un rapper».

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4. Va bene la tecnologia ma funzionano anche attività tradizionali. «Oggi si fa un gran parlare di startup tecnologiche che per carità sono una risorsa e un bene per il Paese. Ma anche business tradizionali, come la moda e la cucina, funzionano. Specie se sei italiano e li hai già nel tuo dna».

5. Guadagna, risparmia e reinvesti. «È una strategia che non ti rende ricco, almeno all’inizio, ma ti permette di migliorare il prodotto, innovarlo, farlo più bello e di maggiore qualità».

INFO: http://www.dollynoire.com/

Giancarlo Donadio

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