David Casalini fondatore di StartupItalia

David Casalini: «Vorrei un’altra Olivetti. Se arrivate al potere, siate gentili»

Di
Redazione Millionaire
4 Febbraio 2020

Ha una cultura incredibile sul mondo delle startup. Le conosce una a una (e in Italia sono più di 10mila). Si muove con disinvoltura tra le istituzioni che si occupano di innovazione. Conosce i grandi imprenditori, parla direttamente con i rettori delle università. Cita numeri, indagini, ricerche. Si batte perché il sistema Paese inizi a considerare le startup come imprese vere e proprie. Spinge sulla cultura dell’inclusione e perché le donne in Italia diventino più facilmente imprenditrici. Lui si chiama David Casalini, 43 anni, è il founder di StartupItalia, la più grande community di imprenditori, fondatori e studenti. Nata nel 2016, sta raggiungendo numeri da record. Nel 2019 ha firmato una delle più grandi campagne di equity crowdfunding in Italia. Definita campagna monster, ha conquistato oltre 2.000 investitori e raccolto quasi 3 milioni di euro (la media è circa 1.600 euro a investitore ma c’è chi ha investito fino a 150mila euro). C’è di più. Casalini ha creato anche l’Open Summit (#SIOS), il più grande summit per startup in Italia. La IV edizione si è tenuta il 16 dicembre in collaborazione con l’Università Bocconi di Milano. La prossima sarà in Sardegna, il 26 e il 27 marzo: due giorni di eventi a Cagliari e Sassari per il SIOS Sardinia Edition.

Casalini e StartupItalia sono diventati l’immagine della nuova Italia che tutti vogliamo veder decollare.

Ma se gli fai i complimenti, ti risponde: «Il merito è di Riccardo Luna, che per primo ha creduto in questa cosa (per poi uscirne un anno dopo, ndr)». Poi fa i nomi di tutti quelli che lo hanno aiutato a crescere (Luca Librenti e Marco Pratellesi da subito, Paolo Barberis di Nana Bianca e Marco Montemagno, che l’hanno portata a un nuovo livello) e di un team guidato da Anna Chiara Gaudenzi, con Chiara Trombetta e Francesca La Spada che ogni giorno trasformano le sue idee in realtà.

Non è un potente. Anzi dal potere e dal suo paradosso prende le distanze.

«Ho letto il libro di Dacher Keltner che ha fatto nascere in me una nuova consapevolezza. Il libro si intitola The Power Paradox. E il paradosso è questo: guadagniamo potere grazie alla parte migliore di noi. Che è la capacità di risolvere problemi, di avere idee, la simpatia, l’empatia, la gentilezza. Queste stesse capacità, e qui c’è il paradosso, non appena siamo al potere, le perdiamo. Diventiamo egocentrici, paranoici, ci mettiamo su un piedistallo e non ascoltiamo più nessuno. Ci dicono che per funzionare devi essere cattivo. Ma non è così. Non funziona più così, lo dimostrano anche le “sardine” di questi giorni. C’è un mondo fatto di persone più semplici, ma che fanno anche cose importanti, che sono basate sui loro legami, sull’educazione e il rispetto verso gli altri. Se penso a un futuro per i miei bambini, penso a un mondo fatto da chi innova, da chi ha merito e da chi si basa sui legami e sull’empatia».

Ci sentiamo alle 9.30 di un sabato mattina e sarà perché è sabato o perché Casalini è proprio così, che l’intervista inizia con le riflessioni di questo libro e dei nuovi scenari anche per chi fa startup. «Tutto ciò non vuol dire tornare a essere figli dei fiori. Credo che questo approccio sia il modo migliore per fare impresa e per creare posti di lavoro».

Qual è il futuro che immagini?
© Stefano Guindani

«Vorrei un’altra Olivetti. Vorrei imprenditori che fanno crescere il Paese e i propri dipendenti, in un circolo virtuoso. Non ho niente contro chi offre pasti a domicilio, ma dobbiamo pensare anche a chi, pagato 2 euro, in bicicletta, sotto l’acqua, a qualsiasi ora, ci porta a casa il cibo. Dobbiamo immaginare un futuro diverso. È arrivato il momento per tutti di riconoscere che le startup sono imprese e come tali vanno sostenute. Perché non lo facciamo?».

Spiegami meglio…

«Io sono nato in Toscana, mia moglie Chiara mi ha fatto innamorare della Costa Azzurra: Piombino poteva essere la nostra Cap D’Antibes. Oggi è un promontorio, terribile, sormontato da acciaierie in disgrazia da decenni. Siamo sempre lì ad aiutarle: questo si chiama “accanimento terapeutico”. Eppure pochi km sotto, a Grosseto, c’è Sfera Agricola, una startup creata un anno e mezzo fa da Luigi Galimberti, 45 anni e un passato nell’edilizia. Ha già raccolto quasi 20 milioni di euro, assunto 220 persone, facendo innovazione di processo: utilizza insetti buoni anziché trattamenti chimici e produce pomodorini più sani che già trovi nei supermercati. E non è la sola azienda che funziona…».

Raccontami un’altra storia…

«Guarda Corrado Passera: era al potere in una grandissima corporate, è stato anche ministro. Eppure è ripartito da zero in un settore impossibile: quello delle banche. Ne ha creata una nuova e ce l’ha fatta. Ha assunto 300 persone, ha raccolto con una Spac 600 milioni di euro partendo dall’Italia (è la seconda più grande raccolta d’Europa). Due mesi di vita, la banca c’è, funziona e sta finanziando le imprese. Vorrei saltasse questa divisione tra startup o imprese tradizionali. Dovremmo dire: ci sono imprese che funzionano e imprese che non funzionano».

Bello, sì!

«Anche in provincia, mi viene in mente la Tecnoprobe di Cernusco Lombardone (Lc), 500 brevetti registrati. Nel 2019 acquisisce un’azienda americana per 40 milioni di euro e annuncia investimenti per almeno 100 milioni nei prossimi anni. Eppure viene considerata un’impresa tradizionale, ma come? Altro esempio: Enel. Lavora con 250 startup in tutto il mondo, non ha fatto investimenti in nessuna di queste. Ci lavora e stop, ma avere per cliente o come partner qualcosa che fattura 70 miliardi l’anno e che ti porta sul mercato in tutto il mondo è una grande accelerazione per una startup. Penso a Nozomi, oggi di grande successo in California, è partita proprio come fornitore di Enel. Due ragazzi che da soli hanno fatto un round, assunto 70 ingegneri informatici in tutta Italia e sono un grande esempio. Dobbiamo creare le imprese del futuro. E questo è un modello che tante aziende italiane possono copiare. Non è facile, ci sono ancora molte difficoltà…».

Quali sono?

«Siamo il Paese con la più alta percentuale di Neet (Not in Education, Employment or Training). I ragazzi che non studiano e non lavorano sono 2.189.000 secondo l’Istat. Siamo il fanalino di coda dell’Europa per donne imprenditrici o nei settori tecnologici. Eppure c’è un’altra faccia della medaglia. Le ragazze che studiano al Politecnico di Milano hanno voti più alti dei loro colleghi. C’è di più. AllìOpen Summit Stefano De Nicolai dell’Università di Pavia ha presentato una ricerca dedicata ai Chief Innovation Officer, chi nelle grandi aziende guida i processi innovativi. Due dati: 1) Le aziende con un Cio hanno risultati migliori di chi non ce l’ha. 2) Se il Cio è una donna, il quadro è ancora più roseo. Le domande a questo punto sono: allora perché ci sono poche professoresse al Politecnico e, se fanno carriera, guadagnano meno dei colleghi? Perché i Cio donna sono ancora pochissime se portano risultati migliori? Sono dati, non è buonismo. Dobbiamo cambiare l’approccio».

Come?

«Se dici a un ragazzo che è laureato in Ingegneria e perfettamente collegato con il mondo: “Vieni a fare uno stage da noi” e poi per il primo anno e mezzo gli farai fare le fotocopie, non andremo da nessuna parte. Oggi i ragazzi preferiscono fare una startup e, anche se nel 90% dei casi andrà male, alla fine avranno capito tante cose e saranno “perfetti” per ripartire o da assumere. Sarà cosi, che noi lo vogliamo o no. Per questo dobbiamo sostenere questo mondo…».

Lo dimostra anche la vostra storia…

«Sì. Quando siamo partiti 4 anni fa, ci dicevano: non arriverete da nessuna parte, non ci sono startup, non ci sono soldi. E poi siete così pochi, come creerete una community? Non era vero che eravamo in pochi. Siamo partiti da chi aveva voglia di fare e abbiamo scoperto di essere in tantissimi. E in questa cosa partita piccola, non premeditata, si sono incrociate persone con gli stessi valori che, anche se con obiettivi diversi, si sono messe insieme, per spingere tutte nella stessa direzione. E con noi è cambiato il mondo attorno. Oggi abbiamo in arrivo un fondo nazionale di un miliardo disponibile per le startup italiane».

Consiglio per le startup?

«Fate qualcosa di semplice, che sia subito internazionale e uscite dal mood che in Italia non ci sono i soldi. Basta fare una campagna di equity crowdfunding per raccogliere i primi 50mila-100mila euro. Vi basteranno per mettere a terra un’idea e avere una validazione del mercato. Se non li raccoglierete, vuol dire che l’idea non funziona e dovrete fare altro».

Consiglio per le imprese?

«Puntate sui giovani, date loro libertà di sperimentare: vi porteranno l’innovazione, vi aiuteranno ad adottare le nuove tecnologie e a lavorare in tutto il mondo. Infine, per tutti, il messaggio di Keltner: “Se arrivate al potere, siate gentili”. StartupItalia è la riprova di quello che c’è scritto in quel libro: se tante persone spingono dalla stessa parte, poi le cose succedono».

Tratto da Millionaire di dicembre-gennaio 2020. 

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L’apertura dell’articolo pubblicato su Millionaire di dicembre-gennaio 2020
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