La transizione digitale è ancora un obiettivo lontano per molte piccole e medie imprese italiane. Il 16% considera il digitale un costo, solo per il 35% è uno strumento fondamentale per costruire il futuro dell’azienda. È un punto di forza invece per le Pmi “large”, quelle che superano i 50 milioni di fatturato o i 250 dipendenti. Lo rivela la ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi della School of Management del Politecnico di Milano.
Lo studio mette in evidenza le differenze tra Pmi “più grandi” e quelle in senso stretto. Il 71% delle prime mostra un profilo “convinto” o “avanzato”, rispetto al 50% delle altre. Solo il 29% delle “large” rientra invece nelle categorie degli “analogici” e dei “timidi” (rispetto al 50% delle Pmi). Il digitale è considerato un costo solo dal 2% delle imprese più grandi. Per il 61% è uno strumento cardine. In entrambe le categorie risulta ancora carente l’attività di formazione svolta per i dipendenti e per il management.
«Circa 250mila Pmi sono in grado di produrre intorno al 40% del fatturato nazionale e di assorbire oltre il 30% della forza lavoro: numeri che fanno comprendere non solo l’importanza del ruolo giocato dalle Pmi in Italia, ma anche l’attenzione che il Paese deve loro dedicare per salvaguardare questo patrimonio economico e sociale» commenta Claudio Rorato, direttore dell’Osservatorio.
Sono state messe tre filiere del made in Italy a confronto: agroalimentare, arredo e moda.
Il primo settore è il più numeroso, con 54mila imprese attive. Le Pmi rappresentano il 49% del fatturato complessivo di filiera (pari a circa 192 miliardi di euro) con una media di 3,5 milioni di euro per ogni realtà. Circa 18 addetti per impresa. L’arredamento ha 8mila Pmi attive. A livello di fatturato rappresenta la metà degli oltre 37 miliardi dell’intera filiera (con una media di 4,3 milioni) e 23 addetti per impresa. Le Pmi della moda sono 19mila, con fatturato medio di 3,9 milioni (54% del comparto) e circa 22 addetti per impresa.
La transizione digitale è accompagnata da una transizione green. Il 58% delle Pmi Large ha adottato o è interessato ad adottare soluzioni per ottenere una riduzione dell’impatto energetico. Il 48% è interessato a rating ESG, mentre il 61% ha introdotto (o si propone di farlo) pratiche di Corporate Social Responsibility.
«Prima di parlare dei singoli, però, dobbiamo parlare di responsabilità del sistema: troppo spesso sentiamo parlare di arretratezza delle imprese, di scarsa cultura digitale degli imprenditori, di visioni poco evolute» aggiunge Rorato. «Le associazioni di categoria, le filiere, le supply chain, gli istituti finanziari, la classe politica, la pubblica amministrazione, gli hub territoriali per lo sviluppo digitale devono fare la loro parte per creare le condizioni che permettano di fare impresa. Solo a quel punto, le responsabilità individuali di fare o non fare potranno essere attribuite alle singole organizzazioni».