Google ha rivoluzionato l’uso del logo. Arricchendolo, deformandolo, trasformandolo. E ha fatto scuola. La strategia non è cosa da tutti, ma insegna: sorprendere il proprio consumatore si può. Ecco come
In alcuni giorni dell’anno, il logo del motore di ricerca più famoso del mondo si presenta in modo diverso. Talvolta le sue lettere si trasformano in oggetti e forme, altre volte è inserito in un disegno più ampio o riflette uno stile pittorico particolare. Quel giorno è una ricorrenza: una festa nazionale, l’anniversario della nascita di un personaggio famoso, un evento speciale come i mondiali di calcio o l’eclissi lunare. I loghi così realizzati si chiamano doodle e sono diventati un vero fenomeno, che attira curiosità e interesse tra gli internauti di tutto il mondo. Tanto che ormai il termine doodle, che letteralmente significa “scarabocchio”, identifica proprio queste “variazioni sul tema” del logo di Google. Ma di cosa si tratta e soprattutto a cosa serve?
«Quest’operazione si chiama destrutturazione del marchio, ed è una pratica che esiste da almeno 10 anni, concettualizzata nella West Coast americana» spiega Maurizio Milani, titolare dell’omonimo studio di graphic design a Milano (www.milanidesign.it). «I primi loghi sono nati dopo la Prima guerra mondiale e, dopo tanti anni, non si riusciva a inventare più niente di nuovo. Così alcuni graphic designer hanno iniziato a creare marchi “in movimento”, cioè con una parte fissa che ne garantisce la riconoscibilità, e una “variabile”, che può essere sostituita a piacimento.
Da Google ad Absolut, non solo un’operazione di marketing
«Con questa idea Google ci sorprende, ci coinvolge, ci fa dialogare con lei» esordisce Maurizio di Robilant, uno dei massimi esperti di brand advisory, fondatore della RobilantAssociati (www.robilant.it). Ma non è stata la prima azienda a fare un esperimento del genere. Prima di lei ci ha pensato Absolut, la multinazionale svedese produttrice della famosa vodka, che ha giocato, e continua a farlo, intorno alla sua bottiglia, diventata un’icona di lifestyle, grazie alla collaborazione con artisti delle più diverse discipline». Dal 1985 a oggi nomi come Andy Warhol, Keith Haring, Maurizio Cattelan, Mimmo Rotella, Jean Paul Gaultier, Tom Ford, hanno reinterpretato a loro modo la bottiglia. E nel luglio scorso la multinazionale ha chiesto a un gruppo di artisti di nuova generazione di esprimersi liberamente, a partire da un campione della bottiglia in tela grezza, chiamato “Absolut blank”. «Con questa nuova campagna vogliamo essere i catalizzatori di un movimento creativo globale, che comprenda non solo graphic design ma anche pittura, scultura, cinematografia, arte digitale, installazioni luminose. E desideriamo anche portare anche il nostro pubblico a interagire e partecipare» ci spiegano dalla Absolut.
Ma operazioni come quelle di Google e Absolut non sono da tutti. Il logo (più precisamente il “logotipo”, che sta a indicare la parola), così come il marchio (il segno grafico), rappresentano la marca di un’azienda, cioè tutto quello che l’impresa è, i valori in cui crede, ciò che si propone di offrire. Per poterci “giocare”, bisogna essere una marca forte e aver costruito una credibilità. «È un lusso che non tutti possono permettersi. Anzi, per una marca piccola può essere addirittura controproducente, perché rischia di farle perdere l’identità» continua di Robilant.
Per chi muove i primi passi
Come deve fare un’azienda a progettare logo e marchio? «Innanzitutto bisogna avere ben chiara la propria mission, cioè dove si vuole andare, cosa succederà nel futuro. E Google con i doodle comunica di essere un’azienda viva, sempre al passo con i tempi» interviene Milani. «Poi puntare sulla semplicità. Il segno dev’essere semplice e il nome facilmente memorizzabile, oltre che coerente con la propria attività. Soprattutto per un’impresa nuova, è sempre meglio inserire il nome oltre che il simbolo. Il problema oggi è trovarne uno che non sia ancora stato registrato».
Quanto a colori e font, non c’è una regola. Dipende dal tipo di marca e di azienda, dal mondo che vogliamo rappresentare. «Il consiglio è quello di rivolgersi a un professionista. Meglio investire una piccola somma su questo aspetto essenziale della costituzione di un’impresa, anche perché cambiare il marchio in una fase successiva può rappresentare un problema e un costo aggiuntivo».
Quando fare una modifica
Quella di ridisegnare i marchi è diventata un’abitudine consueta, in alcuni casi una mania. Ma bisogna fare una distinzione. Una cosa è fare piccoli ritocchi, spesso necessari perché nel corso degli anni occorre adeguarsi ai nuovi codici visivi. Altro è apportare cambiamenti sostanziali, perché l’azienda si deve riposizionare sul mercato. «Quest’ultima operazione è molto delicata: e se non è fatta a regola d’arte rischia di essere controproducente» commenta di Robilant.
Ma come dev’essere un marchio nell’era di Internet? «Dal punto di vista grafico non ci saranno grandi cambiamenti» spiega di Robilant. «Ma dal punto di vista concettuale sì: se il marchio in passato rappresentava una garanzia di qualità e una riserva di reputazione di un’azienda, oggi è uno strumento di relazione con i suoi consumatori e i suoi azionisti. E l’esempio di Google lo ha dimostrato. Mi collego a Google e vedo un’immagine animata con la neve che cade. Penso: “È simpatico, lo hanno fatto per me”. Anche se non ho i mezzi di Google posso comunque trovare un modo di dialogare e stupire il mio interlocutore. Internet fa sì che la marca sia in grado di parlare con i suoi consumatori, tutto sta a trovare il modo giusto per farlo».
E google brevetta l’idea
È l’agosto 1998, Larry Page e Sergey Brin, i due giovani fondatori, vogliono prendersi una settimana di vacanza per partecipare al Burning Man, un festival che si tiene ogni anno nel deserto del Nevada (e di cui Millionaire ha parlato nel numero di luglio-agosto 2009). Chi avrebbe badato ai loro server? Nessuno. Decidono così di comunicare agli utenti la loro assenza sull’home page del sito, disegnando dietro la seconda “O” del logo un omino stilizzato, che rappresenta appunto il burning man, il fantoccio di legno che viene bruciato ogni anno alla fine del festival. Per un po’ Larry e Sergey non si rendono conto di aver inventato qualcosa di rivoluzionario. Ma in seguito, i due fondatori si accorgono che quando inseriscono degli “scarabocchi” nel logo, più utenti si collegano al sito. Tanto che nell’aprile 2001 ne depositano il brevetto, proprio con la seguente motivazione: “Sistemi e metodi per indurre gli utenti ad accedere a un sito web”. Il secondo doodle è di Dennis Hwang, uno stagista che ha disegnato la “presa della Bastiglia”. Oggi c’è un vero e proprio team di doodler, che ogni giorno riceve e seleziona migliaia di proposte da ogni parte del mondo. Nel 2005 iniziano i concorsi per le scuole, i Doodle for Google. Quest’anno per la prima volta, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ne è stato organizzato uno anche nel nostro Paese. La scuola che ha rappresentato il doodle vincitore, ha ricevuto dotazioni tecnologiche per un valore pari a 25mila euro. Chiunque può partecipare: proposals@google.com
sette regole d’oro per un logo
1. Deve essere semplice.
2. Deve avere un nome facile da memorizzare.
3. Se l’impresa è nuova, inserire nome e simbolo.
4. Verificare che il nome non sia già stato realizzato.
5. Colori e font: non c’è regola. Utili i consigli di un professionista.
6. Restyling? Sì per adeguarsi ai tempi o riposizionarsi sul mercato.
7. Nell’era di Internet, trova il modo di comunicare con il tuo utente.
Viaggio tra le modifiche di alcuni dei loghi più noti al mondo
La mela, simbolo universale di Apple
Il primo logo della Apple raffigura un’immagine di Isaac Newton seduto sotto un albero di mele (la leggenda racconta che, in seguito alla caduta di una mela, lo scienziato avesse iniziato a riflettere sulla gravitazione). Era stato disegnato nel 1976 da Ronald Wayne, uno dei padri fondatori della Apple Computer (che poi lasciò dopo appena due settimane) insieme a Wozniak e Jobs. Quest’ultimo, insoddisfatto del logo, decide di commissionarne uno nuovo a Rob Janoff, dell’agenzia Regis McKenna. «Steve mi diede un’unica indicazione: non farlo troppo lezioso» ricorda in un’intervista Janoff, che disegna la famosa mela con i colori dell’arcobaleno, rimasta come logo fino al 1999. Quanto al morso, intorno a esso si sono sviluppate diverse leggende: c’è chi dice che sia un riconoscimento ad Alan Turing, padre della moderna informatica, morto suicida nel 1954 ingerendo una mela avvelenata al cianuro, chi suppone che sia un gioco di parole tra bite (che in inglese significa morso) e byte. Ma lo stesso Janoff ha rivelato che lo ha inserito semplicemente per far capire che quella era una mela e non una ciliegia. L’ultima versione del logo Apple risale al 1998, quando Steve Jobs decide un piccolo restyling in chiave più moderna: è così che la mela si tinge d’argento e la sua forma è leggermente modificata. Apple è una delle poche compagnie al mondo a non aver inserito il proprio nome nel logo, eppure il suo simbolo è universalmente riconosciuto.
Gap : quando è meglio fare dietrofront
Il suo logo era un quadrato blu con la scritta Gap: con la sua essenzialità era una delle icone più note dell’abbigliamento americano. Nell’ottobre scorso l’azienda ha deciso un restyling, per rendere il logo più “contemporaneo e attuale”. Il quadrato blu, che prima faceva da sfondo, è diventato un piccolo quadratino piazzato in alto a destra sulla P di Gap, mentre il font Graziato è stato sostituito con l’Helvetica. Un’operazione che ha suscitato numerose critiche dal popolo della Rete e che ha comportato un ritiro immediato del nuovo logo e il ritorno a quello originario.
Fiat : «Così ho disegnato il nuovo simbolo»
«Il nuovo simbolo della Fiat prende spunto dal celebre scudo che campeggiava sul frontale delle vetture dal 1931 al 1968, quello con sfondo rosso rubino. Volevamo riproporre un momento glorioso della Fiat, il dopoguerra, quando l’azienda ha “messo gli Italiani in macchina”. Ma il marchio non doveva essere solo figlio di quello vecchio, doveva anche proiettare la Fiat nel futuro. Così abbiamo incastonato il simbolo in una cornice tonda cromata a effetto tridimensionale, che conferisce al marchio un’immagine tecnologica» ha spiegato a Millionaire Maurizio di Robilant, l’autore del recente restyling del marchio Fiat.
Starbucks e Nike: se la scritta non serve più
Quest’anno Starbucks, la catena internazionale di caffetterie originaria di Seattle, ha compiuto 40anni. E ha deciso di presentare un nuovo logo, che perde la scritta “Starbucks Coffee” e mantiene soltanto la celebre sirena verde a due code. «Abbiamo voluto seguire l’esempio di società come Nike , che a un certo punto hanno eliminato la scritta dal logo» ha dichiarato il responsabile marketing in un’intervista ad Ad Week.com.
Eni : un cane, quattro restyling
Il famoso cane a sei zampe dalla cui bocca esce una fiamma rossa, che simboleggia l’unione delle quattro ruote dell’auto e due del suo guidatore, è stato disegnato nel 1952 dal pittore Luigi Broggini.
Nel 1972 Bob Noorda, uno dei maggiori graphic designer del 900 (morto l’anno scorso), inserisce il cane in una “palina” gialla (cioè un quadrato ad angoli smussati). Nel 1998, quando l’Eni si trasforma da Ente nazionale idrocarburi in Spa, Noorda inserisce il cane un’area di forma quadrata, attraversata centralmente da un filo rosso che lo divide dal logo. «Quando disegno un marchio» spiegava Noorda «lo faccio avendo presente l’aspetto culturale, non solo quello commerciale, di un’azienda. E cerco di pensare a un’immagine che possa durare nel tempo, senza apparire subito vecchia». Risale al 2009 l’ultimo restyling del marchio dell’architetto Antonio Romano. La sua scelta stilistica vuole tradurre in immagine la trasformazione progressiva dell’Eni da compagnia petrolifera a energy company.
Tiziana Tipepi, Millionaire 10/2011