Aumento della popolazione, scarsità dei terreni, emissioni di gas serra stanno spingendo innovatori di tutto il mondo a studiare nuovi modi per produrre alimenti. La tecnologia viene in aiuto.
Da qualche anno innovatori di tutto il mondo cercano di trovare nuove strade per produrre cibo. A spingerli è l’aumento della popolazione del pianeta, che nel 2050, secondo le previsioni, raggiungerà 9,8 miliardi, un numero di persone tale da rendere insufficienti l’allevamento e l’agricoltura convenzionali. Influiscono anche la riduzione delle aree di terra coltivabile e le emissioni di gas serra, il 20% delle quali è associato alla produzione di alimenti. Occorre infine tenere conto degli effetti di pandemie, inflazione, cambiamenti climatici, volatilità dei prezzi delle materie prime. Le soluzioni si cercano anche e soprattutto con la tecnologia. Una startup di Singapore, Sophie’s Bionutrients, che produce una bevanda proteica ricavata da farina di microalghe coltivate in bioreattori, ha fatto un calcolo che dà la misura del problema e indica anche una delle possibili soluzioni: se oggi per ottenere una tonnellata di proteine di origine bovina occorrono 1,4 milioni di metri quadri di terreno, l’equivalente derivato dalle alghe richiede soltanto 200 metri quadrati di spazio nei bioreattori.
Quali sono le principali tecnologie e gli ostacoli per produrre il cibo del futuro?
Antonio Grifoni, Ventures Associate di Plug and Play, piattaforma di open innovation che connette startup di tutto il mondo con grandi aziende che vogliono innovare, anche nel campo del food&beverage, suddivide le tecnologie in tre macrocategorie: «La prima – spiega – è quella che porta alla produzione di cibo plant based, che fa uso cioè di ingredienti che provengono dal mondo vegetale. Proteine come quella del pisello o di altri legumi sono estratte con un processo che si chiama estrusione, poi processate con aggiunta di altri ingredienti». È ciò che fa Hi-Food, azienda della provincia di Parma specializzata nella produzione di ingredienti innovativi a base vegetale e clean label (o “etichetta pulita”, significa che non sono presenti additivi e simili). «A partire dalla proteina del pisello produciamo granuli che vendiamo alle aziende clienti per la realizzazione di prodotti vegetali come ragù, polpette e burger, che replicano le strutture dei prodotti tradizionali a base di carne», hanno raccontato i fondatori. L’azienda, nata nel 2012, lavora in stretta collaborazione con l’Università di Parma. L’anno scorso è stata acquisita da CSM Ingredients, società lussemburghese attiva nella ricerca, innovazione e produzione di ingredienti alimentari.

Dalla cellula animale alla carne “coltivata”
«La seconda categoria di tecnologie è quella che porta alla produzione della cosiddetta carne coltivata o “colturale” o, come indicato da un recente documento della FAO, carne a base cellulare», continua Grifoni di Plug and Play. «Il punto di partenza in questo caso è proprio la cellula di un animale (vivo) che è estratta tramite biopsia e inserita in un bioreattore, affinché possa riprodursi. Non si tratta di carne geneticamente modificata». In Italia c’è una start-up che per prima sta esplorando proprio questo campo. Si chiama Bruno Cell, e un investitore privato nel mondo del food ne sta finanziando la ricerca.
«Il bioreattore è un macchinario dove sono ricreati gli stessi meccanismi fisiologici che avvengono all’interno dell’animale», spiegano Stefano Biressi e Luciano Conti, professori di biologia all’Università di Trento, che stanno portando avanti la ricerca per conto della startup. «Quello che si ottiene è un “ammasso cellulare” che poi dovrà essere fatto maturare per creare una struttura più complessa, come il tessuto di una bistecca o di un macinato. Ciò avviene attraverso la stampa 3D o la colonizzazione delle cellule in tessuti spugnosi, dove sono stimolate a differenziarsi in tessuti connettivi, muscoli e grassi (il cosiddetto scaffolding)».
La parte più difficile da realizzare è proprio quest’ultima e per il momento la ricerca (alla quale sta collaborando anche l’Università di Tor Vergata) è focalizzata sulla crescita ottimale delle cellule nei bioreattori. «Il problema è trovare il sistema per far crescere nel modo migliore queste cellule a costi più bassi», aggiungono. Nel mondo, solo Singapore e Israele hanno dato approvazione definitiva alla carne coltivata. A Singapore esiste l’unica macelleria al mondo dove acquistarla (Huber’s Butchery) e un ristorante con file d’attesa lunghissime. Mentre un’azienda che si chiama Good Meat fornisce il pollo coltivato.
Fermentazione e agricoltura molecolare
«La terza categoria riguarda tutto quello che viene prodotto con i processi di fermentazione», continua Grifoni. «Una tecnica che già conosciamo perché applicata da tempo nella fabbricazione della birra, ma in questo caso usata per la produzione di proteine alternative». C’è la fermentazione di precisione, con la quale si modificano geneticamente microrganismi come lieviti, batteri e alghe per la produzione di proteine del latte. I formaggi della britannica Better Dairy sono prodotti così. Così come il latte di Remilk, startup israeliana che ha annunciato l’apertura in Danimarca della più grande sede di produzione di latte ottenuto con la fermentazione di precisione. «Poi c’è la fermentazione delle biomasse, utilissima per la produzione di funghi come il mycelium, ingrediente altamente proteico che può essere usato come ingrediente aggiuntivo nella produzione di carne e pesce», conclude Grifoni. «Un’alternativa è rappresentata dall’agricoltura molecolare, che negli ultimi due decenni ha fatto passi da gigante. In questo caso si introducono geni di animali veri direttamente nei semi delle principali colture alimentari: le piante diventano così delle “fabbriche” di proteine bovine e suine». È il mondo del “geneticamente modificato”, rappresentato dalla startup argentina Moolec, la prima in questo campo a essersi quotata in Borsa, con una valutazione di circa 500 milioni di dollari.

Regolamentazione, scalabilità, gusto: tre ostacoli da superare
Secondo una previsione di Boston Consulting Group, entro il 2035 le proteine alternative rappresenteranno probabilmente il 10-11% di tutta la carne, i frutti di mare, le uova e i latticini consumati nel mondo. Ma ci sono ancora tre grandi ostacoli da superare: 1) i costi ancora troppo alti e, di conseguenza, la bassa scalabilità di molte soluzioni; 2) il gusto e la consistenza di queste alternative, sulle quali c’è ancora un po’ da lavorare; 3) il complicatissimo iter burocratico necessario per ottenere le autorizzazioni in Europa, dove i novel food (cioè i prodotti alimentari e ingredienti innovativi di cui non sussista esperienza di consumo anteriore al 1997) devono essere autorizzati dalla Commissione europea, in accordo con gli Stati membri riuniti nel Comitato PAFF (Plants, Animals, Food and Feed), dopo l’esito di valutazione scientifica di EFSA (European Food Safety Authority).
Articolo pubblicato su Millionaire giugno 2023.