space economy

Imprenditori spaziali

Di
Tiziana Tripepi
10 Agosto 2023

Visionari italiani che hanno intuito prima degli altri le opportunità commerciali della New Space Economy. Le loro aziende crescono, assumono, raccolgono capitali. Space Economy: un mercato che nel mondo ha raggiunto un valore di 464 miliardi di dollari e che nel giro di un decennio arriverà a 737 miliardi (dati Euroconsult).   

 

Luca Rossettini, un dottorato in propulsione spaziale avanzata al Politecnico di Milano, ha lanciato la prima missione commerciale al mondo di trasporto orbitale. Guido Parissenti, PhD in Ingegneria elettrica al Politecnico di Milano, sta realizzando la prima costellazione di picosatelliti privata italiana. Francesco De Stefano, Mba alla Columbia Business School, ha aperto il più grande centro produttivo di stampa 3D di grandi dimensioni in Europa. Sono gli imprenditori dello spazio. «Quando si parla di economia dello spazio, la prima grande distinzione è tra upstream, cioè le aziende che producono le infrastrutture spaziali (dotazioni di bordo, componenti per le stazioni spaziali, bracci robotici per la movimentazione di satelliti, nanosatelliti), e downstream, che include tutti i servizi sviluppati a terra partendo dai dati raccolti dai sistemi in orbita», spiega Paolo Trucco, responsabile scientifico dell’Osservatorio Space Economy della School of Management del Politecnico di Milano. «Dati e immagini satellitari, spesso elaborati con l’aiuto di algoritmi di intelligenza artificiale, possono essere utili all’agricoltura, agli operatori di infrastrutture energetiche e di trasporto, alle istituzioni che vogliono monitorare la qualità dell’aria, alle assicurazioni». 

 

Guido Parissenti, Apogeo Space

 

A ottobre i primi picosatelliti italiani per le telecomunicazioni IoT

C’è chi progetta e costruisce satelliti. Come Apogeo Space, nata nel 2015 dall’iniziativa di Guido Parissenti, ingegnere aerospaziale, e Primo Attinà, fisico, che stanno lavorando alla prima costellazione privata italiana di picosatelliti (pesano meno di 1 kg). Cominceranno a essere lanciati nello spazio a gruppi di nove a ottobre 2023, per arrivare a un centinaio nel 2027. Obiettivo: fornire un servizio di telecomunicazione per l’IoT, l’Internet delle cose. «Come un’azienda di telecomunicazioni porta la voce da un punto all’altro della crosta terrestre, così noi portiamo la connessione dati, anche là dove non c’è connettività», ha spiegato Parissenti. Un servizio b2b, utile alle aziende proprietarie di infrastrutture, o a quelle di trasporti navali, che devono monitorare la posizione dei loro container negli oceani. «Rispetto ai satelliti tradizionali, più grandi, i nanosatelliti vedono porzioni più piccole della Terra ma, grazie alla presenza più diffusa, l’aggiornamento delle informazioni è più rapido. Parissenti e Attinà hanno ricevuto l’anno scorso un round di 5 milioni di euro di finanziamento dal fondo di venture capital Primo Space. 

 

Luca Rossettini, D-Orbit

 

Crescono i servizi in orbita

Ma i satelliti vanno anche lanciati (l’unica base spaziale al momento disponibile per gli europei è SpaceX di Elon Musk) e posizionati nei punti giusti dell’orbita. A offrire questo servizio di “logistica spaziale” è D-Orbit, una delle prime start-up italiane di Space Economy, fondata nel 2011 da Luca Rossettini. Ha costruito una piattaforma satellitare, messa in orbita da un lanciatore, all’interno della quale sono integrati diversi satelliti appartenenti ai vari clienti. Una volta in orbita, questa piattaforma si sgancia per trasportare i satelliti nei punti dove è previsto che vengano rilasciati. «Siamo come i distributori dell’ultimo miglio», ha spiegato Rossettini. «Il Falcon è la nave cargo che da un altro continente porta la merce al porto, noi siamo quelli che la distribuiscono porta a porta». A oggi sono 10 gli ION Satellite Carrier (questo il nome della piattaforma) lanciati nello spazio. D-Orbit ha registrato in questi anni una crescita incredibile, con ricavi nel 2022 di 11 milioni di euro, quattro volte superiori a quelli del 2021. 

«Questo tipo di servizio ricade all’interno dei servizi in orbita (In- Orbit Services)», sottolinea Trucco, «cioè tutto ciò che può essere utile ai tanti satelliti che si trovano nello spazio: riparazione e manutenzione, sostituzione di componenti con tecnologia obsoleta, spostamento da un’orbita all’altra. È uno dei segmenti più promettenti».

 

Caracol founders

 

Componenti per lanciatori e satelliti con la stampa 3D

Anche la stampa 3D ha contribuito alla riduzione dei costi e semplificato la produzione. Ne è un esempio il successo di Caracol, azienda di manifattura additiva, fondata nel 2017 da Francesco De Stefano, Jacopo Gervasini, Paolo Cassis e Giovanni Avallone, che ha triplicato il volume d’affari nel 2022. Ha da poco chiuso un round di investimento Serie A da 10,6 milioni di euro con CDP Venture Capital e Neva SGR (oltre ai già presenti Primo Space Fund ed EUREKA! Venture). «Siamo quattro amici: due laureati in Economia e due in Design al Politecnico di Milano», racconta il Ceo De Stefano, 30 anni. Sono stati proprio i due designer, Giovanni e Paolo, innamorati della stampa 3D, a rendersi conto che le stampanti tradizionali erano troppo piccole per pezzi di grandi dimensioni: hanno così avuto l’intuizione di integrarle alle teste di estrusione dei bracci robotici che supportassero il movimento. «Nel 2015 abbiamo realizzato il prototipo, due anni dopo abbiamo fondato la società». La manifattura additiva è particolarmente indicata per costruire le componenti del settore aerospazio. «In un anno il numero di dipendenti è passato da 20 a 50, prevediamo di arrivare a 120 nel 2024», dice De Stefano.

 

Le startup che usano i dati forniti dai satelliti

Rispetto a chi costruisce satelliti o lanciatori, il downstream è il segmento che offre opportunità di crescita a investimenti più bassi e in tempi più brevi. «Siamo partiti da zero e abbiamo fatto in modo di impostare il business senza dover affrontare investimenti prima dell’aumento di capitale. Fino ad ora ne abbiamo ricevuti due, per un totale di un milione di euro», racconta Andrea Pomente, fondatore insieme a Luca Calacci di Irreo, startup romana nata nel 2019 che analizza dati e immagini provenienti dai satelliti allo scopo di stimare giornalmente il fabbisogno idrico delle colture. «Siamo in grado di consigliare all’agricoltore quanta acqua irrorare sul terreno, dove e quando farlo, sulla base di informazioni analitiche quotidiane specifiche per ogni zona e per ogni coltura del suo appezzamento, con una precisione di circa 9 metri quadri». Grazie all’intelligenza artificiale applicata all’osservazione satellitare, la startup incrocia i dati meteorologici e climatici con informazioni specifiche rilevate sulla coltura. «L’agricoltore non deve installare sonde o sensori sul proprio terreno, riceve i consigli di irrigazione direttamente sull’App: si risparmiano tempo e costi per acquisto, installazione e manutenzione». 

Latitudo 40 lavora invece sulle immagini satellitari per offrire alle amministrazioni pubbliche informazioni sullo stato di salute delle città. «Dalle foto scattate dai satelliti i nostri algoritmi di intelligenza artificiale sono in grado di rilevare la concentrazione di verde urbano, gli edifici, la temperatura del suolo, l’inquinamento e tanto altro», ha spiegato Gaetano Volpe, Ceo e cofondatore insieme a Donato Amitrano, Mauro Manente e Vincenzo Vecchio. 

«Forniamo analisi sulle isole di calore urbano, sull’evoluzione del verde pubblico, sul rischio idrogeologico dovuto alla sovraurbanizzazione. I nostri clienti sono Comuni e digital system integrator, società di consulenza che costruiscono piattaforme di dati per i loro clienti». Dove si prendono le foto? «I dati della costellazione europea Copernicus sono gratuiti. Noi li incrociamo con quelli di altri fornitori a pagamento». Nata come spin-off dell’Università degli Studi Federico II di Napoli nel 2017, Latitudo 40 ha raddoppiato il fatturato nel 2022 e prevede di chiudere il 2023 a 1,5 milioni di euro.

 

 

Articolo pubblicato su Millionaire giugno 2023

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