«Cosa faceva esattamente la nostra intelligenza artificiale? Mi vergogno a dirlo, ma non lo so» dichiara uno degli ex dipendenti di Kellify, uno sviluppatore entrato in azienda nel 2021 dopo aver investito nella società 100 mila euro. «Avevamo decine e decine di prodotti».
Kellify, azienda fondata a Genova nel 2017 e attiva sulle nuove frontiere dell’intelligenza artificiale, a fine ottobre ha dichiarato istanza di insolvenza. All’alba dei quattro anni di attività chiude i battenti dopo aver raccolto 4,3 milioni di euro da investitori e dipendenti, dichiarando un fallimento poco chiaro e senza dare alcuna spiegazione a riguardo. «Cosa faceva esattamente la nostra intelligenza artificiale? Mi vergogno a dirlo, ma non lo so» dichiara uno degli ex dipendenti di Kellify, uno sviluppatore entrato in azienda nel 2021 dopo aver investito nella società 100 mila euro. «Avevamo decine e decine di prodotti. Intelligenza artificiale applicata agli sport, al mercato dell’arte, alle materie prime, al vino, alla pubblicità. Se ne creavano in continuazione. Lavoro in questo settore da molti anni. Conosco la storia di Kellify dall’inizio. All’inizio sono stato investitore, poi quando sono diventato dipendente nel 2021, ho capito che di prodotto c’era pochissimo».
Ancora non sono note querele o azioni legali sul caso, che però ha lasciato un grande amaro in bocca a chi ci ha creduto, investendo e lavorando all’interno dell’azienda. Secondo una ricerca condotta da Italian Tech, la scorsa primavera, il fondatore di Kellify si è dimesso dalla sua carica di amministratore per problemi di salute. Da quel momento in poi non si è saputo più nulla, buio totale, solo una lettera destinata agli investitori in cui esponeva i suoi problemi di salute. Poco dopo però, l’azienda è fallita lasciando chi ci ha lavorato e chi ci ha investito senza alcuna dichiarazione. «Troppi debiti. È l’unica motivazione di cui siamo a conoscenza». Chi parla però non vuole essere identificato.
Chi è il fondatore di Kellify?
A fondare la società è stato Francesco Magagnini, descritto da tutti come “carismatico, con una personalità magnetica e dotato di un’intelligenza superiore”. In quattro anni è stato capace di raccogliere 4,3 milioni di euro, convincendo investitori e dipendenti stessi a investire nella società che avrebbe rivoluzionato il settore delle intelligenze artificiali. Per anni è stato un volto piuttosto noto nel panorama delle startup italiane, un ottimo oratore a detta di tutti “Con doti che gli consentono di convincere chiunque”. Oggi però, il sospetto che si è instaurato in tutti i suoi ex stakeholder è che dietro le sue parole, dietro la promessa di creare una società in grado di scalare il mercato globale dell’intelligenza artificiale, non ci fosse nulla se non marketing, relazioni con i media e buone referenze. «Dietro l’azienda non c’era altro che marketing e comunicazione» affermano i dipendenti e gli investitori che hanno lavorato e investito nella società, incolpando in alcuni casi anche la propria miopia.
In base ai bilanci che Italian Tech ha potuto leggere, nel 2017 la società ha chiuso con una perdita di 7.040 euro. Nel 2018 le perdite diventano 483.332 euro. Nel 2019 751.712 euro. Nel 2020, ultimo bilancio che Italian Tech ha potuto verificare, le perdite diventano 1,441 milioni, a fronte di ricavi dalle vendite pari a 3.000 euro. I sospetti di dipendenti e investitori si racchiudono attorno alla convinzione che tutto il capitale raccolto sia stato speso per pagare manager, consulenze e marketing.