L’azienda italiana che ha cambiato il mondo del calcio

Di
Redazione Millionaire
10 Aprile 2017

Tre ragazzi liguri hanno creato da zero un nuovo mercato, diventando un punto di riferimento per il mondo del calcio. Matteo Campodonico, Simone Falzetti e Pier Saltamacchia hanno creato Wyscout, una piattaforma che contiene i dati di 300mila calciatori di tutto il mondo. Nel settore lo usano tutti.

Da Chiavari alla conquista del mondo. Millionaire ha intervistato Matteo Campodonico e ha scoperto una storia che sembra una favola.

Come è nata l’idea di Wyscout?       

«Dalla mia esperienza da calciatore. Era il 2004, avevo un allenatore che ci faceva vedere i video per insegnarci a giocare. Me li ricordo ancora tutti. È li che ho capito della loro importanza come strumento di formazione. Intanto mi sono laureato in Economia e ho iniziato a lavorare. Prima, analista di una società di informatica, poi in banca. A un certo punto ho capito che volevo fare un’azienda mia. Fino a quel tempo, facevo analisi di bilanci di società e startup, vedevo tutti questi ingegneri e mi sono tornati in mente i video del mister Podasso, che usava le VHS. Mi sono detto: “Perché non usare una mia idea?”, attualizzandola con mezzi più moderni. Si parlava di dvd allora, non di Internet. Con un mio amico, Simone Falzetti, ci siamo detti: “Possiamo fare questo lavoro di analisi!”.

E come avete fatto?

«Abbiamo comprato una telecamera, un portatile e abbiamo cominciato ad andare nei campi locali a fare video. Abbiamo riscontrato che l’idea funzionava. Nel 2004 non esisteva la parola startup, ne abbiamo fatta una senza saperlo. Abbiamo costituito una società, poco dopo si è aggiunto un terzo socio, Piermaria Saltamacchia. Ora i soci sono aumentati. Abbiamo cominciato dalle categorie dilettanti per poi arrivare alle società di calcio professionistiche».

Come sono stati i primi tempi?

«La domenica mattina io e Simone andavamo per i campi di calcio della Liguria, compravamo le cassettine per registrare, i cavalletti dai cinesi per fare i video, arnesi che si rompevano subito. Il “manfrotto” (cavalletto professionale per foto, ndr) per noi costava troppo… 100 euro. Il primo ufficio è stato l’appartamento di Simone, a Genova. Lui studiava Beni culturali, Pier studiava Storia. Appassionati, ma non malati di calcio. Tutti i miei amici lavoravano e mi prendevano in giro.

Come pensavate di fare business?

«Siamo partiti da un’idea, ma ci abbiamo messo 5 anni per trovare la nostra strada, cambiando 5 nomi. Quando fai un’impresa parti da un’idea, ma poi la cambi, la modifichi, la elabori, la ripensi, cambi il modello. La nostra prima azienda si chiamava Sport Video Service: andavamo a riprendere le partite e facevamo a tutti gli effetti un servizio video. Io avevo un lavoro in banca e non potevo essere amministratore, dovevo avere un socio accomandatario. Mi hanno detto “Fallo fare a tua sorella”. Lei poi si è ritrovata a pagare multe per 10 anni… Quindi è nata l’idea della piattaforma. A quel punto il mio capo mi ha detto: “o lavori in banca o fai l’imprenditore, non puoi fare le due cose. Scegli. Ti do un anno, pensaci e poi torni. Ho preso l’aspettativa».

Il primo problema?

«I soldi. Per tre anni ho lavorato senza prendere stipendio. All’inizio siamo partiti con i contributi europei per l’acquisto dei materiali. I primi finanziamenti da privati sono arrivati a fine 2007, fatturavamo circa 100mila euro. Abbiamo incontrato Antonio Gozzi, imprenditore e presidente di Federacciai e della squadra di calcio di serie B Virtus Entella, anche lui come me di Chiavari. Gli è piaciuta l’idea ma anche il fatto che uno di Chiavari provasse a fare una cosa un po’ diversa. Ci ha dato circa 250mila euro e siamo partiti».

Quando avete capito di avercela fatta?
«Nel 2010 abbiamo cominciato a vendere la piattaforma di scouting ed è arrivato il primo cliente straniero, la società di calcio inglese Wigan Athletic. Lì abbiamo capito che era la nostra strada. Il prodotto piaceva ed è stato il mercato che ha iniziato a chiamarci Wyscout. Abbiamo circa 300mila giocatori sulla piattaforma. Gran parte del lavoro è sui video, siamo una fabbrica moderna vera e propria: produzione di contenuti e sviluppo di software. Abbiamo chi gestisce la raccolta video, chi analizza le partite. Diamo lavoro oggi a circa 300 persone in tutto il mondo, 80 in Italia».

Che risultati economici avete raggiunto?
«Siamo leader mondiali, è una nicchia ma il potenziale di mercato è gigantesco, oggi stiamo facendo il 20% di quello che possiamo fare. C’è un enorme margine di crescita, ora il nostro fatturato è di 6-7 milioni di euro l’anno, in costante crescita di un milione all’anno da quando siamo partiti. Ma ci aspettiamo tanto di più».

Progetti futuri?
«Tanti. Big data, scindere il dato dal contesto e modellarlo sul cliente, anche nel campo delle scommesse ad esempio. Poi anche il concetto di piattaforma open, uno spazio in cui i calciatori possono caricare i loro cv e i contatti».

Un consiglio per chi vuole intraprendere?

«Ci vuole tanta buona volontà perché è molto difficile. Servono tante competenze e devi averle tutte, non basta solo l’idea. Se hai un’idea, deve cercare appoggio. La chiave oggi è l’innovazione, anche se stai aprendo un bar. Tanti giovani ci scrivono che vogliono fare impresa legata al calcio. Così abbiamo decidere di condividere la nostra esperienza e aprire a Chiaviari un incubatore. Si chiama Sport & Tech Business Incubator, è stato realizzato grazie a un fondo che promette di finanziare 5-6 seed l’anno. Metteremo a disposizione anche uno spazio fisico, perché ciò aiuta molto per conoscere il settore, i potenziali clienti. Esempio: se viene Nike da noi, fa un giro magari nell’incubatore, vede 2-3 cose che le piacciono e magari nasce qualcosa».
INFO: https://wyscout.com, www.wylab.net/incubator

La versione integrale dell’articolo è disponibile sul numero di Millionaire di febbraio 2016

 

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