A 70 anni è un mito del rally mondiale. Il 3 gennaio Fabrizia Pons torna in Arabia Saudita: «Nella dimensione più essenziale ritroverò il senso di questa ultima avventura»
Prima dei motori c’è stata un’altra disciplina: la danza classica. «Ho fatto danza dai quattro ai quattordici anni», ha raccontato al Corriere della Sera. Poi il motocross, le gare, le fratture, un incidente serio che la costringe a cambiare strada. «Quando mi svegliai dall’operazione, cercai subito il piede. Lo trovai. Ma non potevo più correre con la moto, così passai ai rally». Non un piano, ma una traiettoria che prende forma passo dopo passo. Stop. Reset. Go.
Il suo talento vero emerge presto nella navigazione. «Navigare è la cosa più bella del mondo», dice. Precisione, studio, concentrazione assoluta. «Bisogna fare attenzione a ogni centimetro di strada». Ed è forse per questo che, a 70 anni, il telefono continua a squillare. «Come faccio a fermarmi?», si chiede, quasi divertita.
Il prossimo 3 gennaio Fabrizia Pons tornerà ancora una volta alla Dakar, in Arabia Saudita. A 70 anni. E sarà l’ultima. Non per un colpo di scena, ma per una scelta consapevole, raccontata con la stessa lucidità con cui ha sempre affrontato le gare. «Questa sarà l’ultima. Continuo solo perché corro con un pilota simpaticissimo, Luciano Carcheri. Insieme ci facciamo grandi risate e, alla fine, è questo che rende tutto bello», ha spiegato a La Stampa.
Pons non ha bisogno di presentazioni: oltre 220 gare disputate, 88 nel Mondiale, cinque vittorie, una carriera che ha attraversato Africa, Europa e Medio Oriente. Prima donna a vincere il Rally di Sanremo nel 1981 con Michèle Mouton, navigatrice storica di campionesse e campioni, figura iconica di un motorsport che ha visto cambiare tutto, tranne una cosa: la sua passione.
Quella che affronterà a gennaio non è una Dakar “comoda”. Niente motorhome, niente grandi assistenze. «Siamo tra i pochissimi senza assistenza. Dormiamo in tenda, montiamo tutto da soli, prendiamo la sacca dal camion e cerchiamo un posto nel bivacco. Lavoro vero», racconta al quotidiano torinese. E con un’auto vecchia – «una Isuzu» – la fatica raddoppia. Ma è proprio lì, nella dimensione più essenziale, che Pons ritrova il senso di questa ultima avventura.

La Dakar, oggi, non è più una sfida al limite da vincere a ogni costo. È condivisione, ironia, resistenza. «Parto stanca, ho avuto una stagione intensissima», ammette. E quando torna a casa, la aspettano i nipoti. Un richiamo nuovo, potente, che pesa quanto chilometri e bivacchi.
Oggi studia le tappe con l’evidenziatore in mano, ma la preparazione è diversa. «Appena prendo l’evidenziatore arriva il mio nipotino meraviglioso che mi chiede se voglio giocare. Allora sto un po’ con lui, poi gli propongo di giocare con le macchinine. E mentre lui è vicino a me, io studio», ha spiegato al Corriere della Sera, con un’immagine domestica che vale più di qualsiasi discorso sull’equilibrio tra vita e carriera.
Quando tornerà dalla Dakar, i nipoti le faranno la stessa domanda di sempre: «Nonna, dov’è la coppa?». Lei sorride. «Non sapevo di essere nata per essere nonna. Così come non sapevo di essere nata per essere navigatrice. La vita è sorprendente ed è proprio questo il bello».
Non un addio malinconico, dunque, ma una scelta piena. L’ultima Dakar di Fabrizia Pons non chiude una storia: la completa. E lo fa nel modo che le somiglia di più. Con passione, lucidità e la libertà di dire, semplicemente, quando basta.
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Photo cover: Instagram (Chazel Technologie Course)