Ore 13, cibo pronta consegna

Di
Redazione Millionaire
9 Agosto 2012

Affari in pausa pranzo: ecco come funziona il delivery alla scrivania. Neoimprenditori realizzano nuovi catering. Luci (e ombre) dell’attività

Pausa pranzo, quanto mi costi! Sedersi a una tavola calda oggi costa il doppio rispetto al 2001, ovvero circa 11,95 euro. E intorno alla pausa è nato il business. Il caro vecchio panino ha lasciato il posto a pasti ben più sfiziosi. La “schiscetta” funziona ancora, ma sono ben 25 milioni i pasti che vengono consumati ogni giorno lontano dalle mura domestiche e sono sempre più numerosi gli imprenditori che organizzano il servizio di consegna, recapitando il pranzo negli uffici. Il momento è quello giusto, ma aprire un’attività di questo tipo richiede un’ottima organizzazione. Intanto, per poter gestire un laboratorio che si occupi della preparazione dei “cestini” è fondamentale l’iscrizione al Rec (Registro esercenti il commercio). Il modulo si scarica qui: www.moduli.it/item.php/983, poi occorre fare richiesta al Comune e attendere il benestare della Asl. Generalmente è sufficiente un locale da 35 a 75 mq che possa comprendere la zona laboratorio, il magazzino e il bagno per il personale. «Rispetto all’apertura di un normale ristorante, aperto al pubblico, un catering che si occupa solo di delivery, permette di dimezzare le spese per l’arredo e per il personale, ma per avviare un’attività ben organizzata bisogna mettere in conto almeno 100mila euro» spiega Patrizio Di Martino, 31 anni, titolare a Roma di Sushi House (www.sushihouse.it), catering specializzato in sushi, sashimi e altri manicaretti giapponesi.

Come farsi trovare

Questo tipo di ristorazione inoltre deve essere molto curato per altri aspetti. Primo fra tutti la comunicazione, perché, essendo spesso “invisibili”, bisogna farsi trovare, soprattutto dalle aziende che possono includere l’offerta nei buoni pasto. Per scoprire come convenzionarsi e come entrare nel circuito, cliccate su www.buonipasto.it. La normativa fiscale dei ticket, invece, la si trova al link: www.buonipasto.it/it/p-20.normativa_fiscale.html. Oltre alla comunicazione, bisogna mettere in conto la creazione di un sito efficiente attraverso il quale si possano effettuare gli ordini on line. Abbiamo provato per voi alcuni siti di catering stranieri specializzati in delivery: www.grubhub.com/sf/pranzo-pizza, www.orderlunch.com, www.just-eat.co.uk, http://eat24hours.com. In alternativa, ci si può appoggiare a portali che permettono di ordinare on line il pasto scegliendo tra le proposte di vari catering. Tra questi, www.myfood.it

Occhio al trasporto

Vanno ben calcolate anche le zone che si intende servire (in base ai mezzi di trasporto a disposizione). La distanza è infatti uno degli elementi chiave da mettere a punto per non trovarsi poi in difficoltà, soprattutto in un’attività per la quale essere rigorosi nei tempi di consegna è fondamentale. L’impresa è delicata se si decide di servire sia il caldo sia il freddo. Il catering “freddo” non su­bisce alterazioni e non si rovina durante il tragitto, ma i tempi di consegna devono essere sempre rispettati e ben calcolati. «Io servo sushi di qualità, e per farlo devo saper scegliere bene il pesce, conservarlo adeguatamente e tenere conto del packaging, che funziona da biglietto da visita per il pasto» aggiunge Di Martino.

«Farsi pubblicità è fondamentale in questo settore perché intorno al momento del pranzo le offerte sono tante. Volantinaggio, campagne radio, presenza su Internet. Inoltre, vanno curate le relazioni con le aziende per entrare nel circuito dei buoni pasto» aggiunge Di Martino, che ha anche lanciato un franchising. La fee di affiliazione è di 15mila euro (più 3.000 all’anno come contributo per il marketing e lo sviluppo). Ma quanto si guadagna? «Dipende dai diversi fattori e dalla capacità di trovare i clienti, ma si va da circa 3.000 euro al mese, per arrivare anche a 100mila» conclude Di Martino.

Intanto a Milano hanno grande successo i delivery biologici, mentre c’è anche chi tra i ristoratori di Roma punta a formule di take away. Da Gina, vicino a Villa Borghese, è possibile prenotare il cestino Picnic: è attrezzato di piatti, bicchieri, tovaglia e thermos per il caffè, con all’interno panini imbottiti, insalata di frutta, dolcetti e una bottiglia di vino (http://ginaroma.com). Due porzioni: 40 euro.

qualità e packaging, arriva Lattughino

Hanno mollato un lavoro in una grande azienda di moda e si sono messi in proprio con un delivery di qualità. Tre soci sotto i 40 anni, dopo un’attenta analisi di mercato e con la passione per il cibo, hanno avviato un anno fa a Milano Lattughino, punto di ristoro e delivery di prodotti bio. «Lavorando sul set e nella moda ci siamo accorti che i catering che servono gli uffici hanno spesso una qualità scadente. La gente vuole mangiare bene e in modo sano. Abbiamo intravisto un’opportunità e così l’abbiamo studiata a fondo. Poi, messi insieme i nostri risparmi, 100mila euro in tre, siamo partiti» racconta a Millionaire Stefano Capelli, 32 anni. «Consegniamo dalle insalate più classiche agli hamburger più elaborati, il nostro tempo di lavorazione e consegna non va oltre 45 minuti totali. Abbiamo puntato molto sul packaging che abbiamo fatto studiare su misura. Un pasto medio recapitato da Lattughino va da 9 a 15 euro, più tre euro per la consegna. Siamo soddisfatti dei risultati, nessuno di noi tornerebbe più indietro, ma le difficoltà sono numerose ogni giorno. Bisogna offrire un prodotto sano e genuino e controllare tutto nei minimi dettagli. L’organizzazione è fondamentale: si devono servire un certo numero

di persone contemporaneamente, nella stessa ora». Lattughino sta aprendo un secondo punto vendita a Milano e valuta nuovi imprenditori per lo sviluppo del marchio in franchising solo nel capoluogo lombardo. La fee d’ingresso potrà oscillare tra 10mila e 18mila euro l’anno. «Nelle altre zone d’Italia stiamo pensando invece a forme di cogestione» conclude Capelli.

INFO: www.lattughino.com

stile americano in ufficio

Per chi era stanco della solita pausa pranzo un po’ noiosa, California Bakery (www.californiabakery.it) ha portato in mezzo alle scartoffie, un’offerta in puro stile americano, con un servizio delivery per gli uffici milanesi attivo dalle 8 alle 18. Caroline Denti, vulcanica ideatrice del format insieme al marito Marco D’Arrigo, permette ai passanti di gustare dalle 7 alle 24, ogni giorno della settimana, i piatti più tipici della tradizione d’Oltreoceano, preparati con materie prime di altissima qualità.

Quanto costa al cliente un menu?

«Lo scontrino medio è di circa 15 euro (direttamente in boutique o da asporto) ed è quindi appena più “salato” rispetto alla media, ma chi viene da noi trova un’atmosfera e un servizio che paga volentieri. Ai futuri imprenditori, infatti, consiglio di curare molto la presentazione del prodotto e l’unicità di quello che si serve: se la qualità è evidente, si è disposti a spendere qualche euro in più. Da tempo per il delivery prendiamo gli ordini mediante www.myfood.it».

Quali sono i passaggi per creare un locale come il vostro?

«Il primo consiste nel cercare un locale con canna fumaria e che sia ampio almeno 200 mq, verificando presso il Comune se ci siano licenze libere per la zona in cui si intende aprire (andate allo sportello con i dati catastali del locale). A questo punto avete bisogno dei permessi delle Asl (affidatevi a un architetto per far sì che tutto venga fatto a norma ed evitare lungaggini). Durante questa fase non trascurate la realizzazione di spogliatoi per i dipendenti e dei bagni. Ricordate che, all’inizio, alle spese per il locale, si sommeranno anche caparre e i “tempi morti” durante i quali non si fattura».

Quanto può costare un locale così?

«Se fatto su misura può costare circa 450mila euro, ma se si vuole fare solo il servizio di delivery possono bastarne la metà».

Quanto fattura uno dei vostri negozi?

«Un milione e mezzo l’anno».

La nostra proposta

locale “solo coperto” può funzionare?

Complice la crisi, la “schiscetta” torna in ufficio. Anche avvocati e manager si portano il pranzo da casa. Ma sono in tanti a non avere un posto dove consumarlo in pace. L’idea di un locale free, nel senso di aperto anche a chi “non consuma” ce la siamo fatta venire noi di Millionaire e l’abbiamo sottoposta a Pietro Marigo, business developer e vincitore della prima edizione milanese dello Startup Weekend.

Potrebbe funzionare un’impresa che prevede l’apertura di un locale solo “coperto”?

«Sì, ma va formulata bene in due direzioni. Deve produrre guadagno e non deve essere un rifugio ingestibile, soprattutto nelle grandi città. Basterebbe controllare gli ingressi con una formula di tesseramento: chi si abbona (pagando una quota) “striscia” il pass ogni volta che entra ed esce dal locale, in questo modo la sua “presenza” è tracciabile. Ci vuole poi un “supervisore” che tenga anche i tavoli in ordine.

Come si guadagna?

«Meglio avere un locale di proprietà. Poi conviene restare aperti solo alcune ore al giorno. Oltre a un abbonamento per l’ingresso (potete calcolare un euro al giorno), i guadagni collaterali possono essere i più svariati. Dai coperti di cui ci si serve, fino alle macchinette che erogano caffè, dolci, ma anche spuntini (ci sono anche quelle che sfornano pizza istantanea come www.sitos.it, www.food2go.it)».

Come rendere unico il locale?

«Qui sta la difficoltà. Bisogna conferirgli un’anima. Per esempio, si può scegliere di creare un angolino caldo e casalingo (con caminetto, forno a legna, stoviglie e arredi eco) oppure si può creare un ambiente molto contemporaneo, con televisore per seguire le notizie, microonde a ogni tavolo per scaldare le vivande».

Manuela Longo, Millionaire 2/2011

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