Passione cioccolato

Di
Redazione Millionaire
6 Agosto 2012

Il cioccolato è un business che lascia spazio a chi sa inventarsi qualcosa di nuovo. Millionaire è andato a caccia di idee e ha trovato storie d’impresa tutte da copiare

La scienza della nutrizione lo ha recentemente confermato: il cacao è un cibo anti-invecchiamento. Non solo: migliora l’umore, aiuta le performance sessuali, attenua le cefalee. Fa bene insomma alla salute (e al portafoglio di chi lo vende o produce). E gli italiani lo sanno. La passione per il cioccolato non è infatti storia recente, eppure i consumi aumentano. Ne mangiamo quattro kg a testa ogni anno. Il cacao dimostra così anche la sua forza di mercato: più di 263mila le tonnellate di cioccolato prodotte nel 2008 in Italia, a fronte di un giro d’affari di oltre 3mila milioni di euro. Cresce il numero delle piccole imprese di settore: circa 600 gli artigiani che se ne occupano in modo esclusivo, con un fatturato di oltre 350 milioni di euro. «Gli italiani sono molto bravi con il cioccolato a livello artigianale, dove creano nuovi abbinamenti con il cibo: e questo è proprio il trend dei prossimi mesi. La sinergia con altri prodotti, dal caffè al gelato, aiuta a superare il punto debole del cioccolato: la stagionalità, con il calo della domanda da maggio a settembre» spiega Eugenio Guarducci, fondatore e presidente di Eurochocolate (www.eurochocolate.com), la manifestazione in programma a  Perugia dal 16 al 25 ottobre, con 200 espositori e 190 tonnellate di “cibo degli dei” a disposizione.

«Convince la nostra formula, che presenta il prodotto in strada anziché in padiglioni fieristici e consente agli operatori di tastare con mano le richieste degli acquirenti» aggiunge Guarducci. Il bello del cioccolato, dal punto di vista degli affari, sta dunque nella sua versatilità: nelle prossime pagine,  idee e business “a base di cacao”. Tutte da copiare.

Noi lo facciamo davanti a tutti (a tutte le ore)

È lo slogan scritto sulle pareti di un locale con laboratorio dove cioccolato e frutta vengono “manipolati” davanti al cliente, in infinite declinazioni. Così un imprenditore vince la sua scommessa e, a sei mesi dall’avvio, punta ad aprire 10 nuovi locali

Una location d’impatto in via De Amicis a Milano, tutta vetrate, e un laboratorio a vista dove si prepara il gelato al cioccolato in infinite declinazioni dalle sette del mattino fino a mezzanotte. Si chiama CioccolatItaliani il negozio aperto lo scorso febbraio da Giovanni Ferrieri. Cioccolateria, gelateria, caffetteria e ristorante al tempo stesso: un progetto a 360 gradi pensato per vincere la stagionalità del cacao. «Serviamo la colazione fino alle 11, con panino di pasta brioche con cioccolato caldo. Poi pranzo, merende per bambini, dopocena. Dai gelati alle degustazioni di più qualità disposti su un vassoio che ne indica il gusto» racconta Ferrieri. L’iniziativa nasce dalla passione di Ferrieri per il cioccolato, dalla sua esperienza nella ristorazione e dalla constatazione della bravura italiana nella trasformazione. «Il nostro lavoro inizia con la selezione della materia prima sul luogo di produzione: ci rechiamo in Venezuela, nello Sri Lanka… Lì troviamo anche i cioccolati monorigine che proponiamo a nostro marchio nel locale. Ci distinguiamo poi per l’allestimento: il gelato è prodotto in un laboratorio a vista, ogni mese ne proponiamo un gusto diverso a seconda della stagione, con retrogusto di pesca, uva… Abbiamo poi un caveau refrigerato dove conserviamo una tonnellata di cioccolato a vista» prosegue Ferrieri. Il concept di CioccolatItaliani è stato testato con l’apertura a inizio 2008 di un locale in un centro commerciale di Napoli, in cui l’offerta è limitata alla gelateria, al servizio bar e alla vendita di tavolette. «Organizzare un team di consulenti e collaboratori, dal maître chocolatier all’interior design è stato complicato e dispendioso: il solo allestimento per il locale è costato 800mila euro circa» continua Ferrieri. Per ora però l’investimento sembra più che azzeccato: da febbraio a fine luglio 2009, il punto vendita milanese ha fatturato 600mila euro e le previsioni per fine anno puntano a raggiungere 1,2 milioni, a fronte di uno scontrino medio sugli otto euro. Comprensibile quindi il progetto di apertura di altri locali con lo stesso format, tutti di proprietà diretta: 10 nei prossimi cinque anni, a cui se ne aggiungerebbero altri a New York, Lugano, in Inghilterra e nell’Est Europa. «Il progetto è impegnativo, lo so. Ma i risultati di Milano indicano che il format funziona» conclude Ferrieri.

INFO: www.cioccolatitaliani.it

Impara l’arte e mettila…

A Milano un piccolo negozio vende cioccolato a forma di scarpe, violini e barche a vela. «Giro il mondo a caccia di stampi originali da riempire di cioccolato»

Cioccolato sì, ma a forma di scarpa, cellulare, barca a vela, violino, quadro, presepe. L’arte del cioccolato, negozio milanese aperto a dicembre 2007 da Björn Frederik Nielsen, milanese 36 anni, è noto in città per la gadgettistica “dolce” ma anche per i 60 tipi di praline del suo assortimento.

«Il progetto è nato con la collaborazione di un grande maître chocolatier di cui avrei dovuto distribuire le creazioni in esclusiva: contenuto l’investimento iniziale, sui 30mila euro per un arredamento essenziale. In pochi mesi però la collaborazione è saltata e sono rimasto solo: per non mandare tutto a monte ho trasformato il negozio in una “vetrina” per l’eccellenza italiana. Del resto avevo già trovato una location prestigiosa, nei pressi del tribunale, con quattro vetrine». Punto forte, la possibilità di acquistare squisitezze da tutta Italia in confezioni sfuse. «Sul momento confeziono a richiesta un vassoio con una sola creazione al caffè di Andrea Slitti da Monsummano, una di Denis Buosi da Varese con l’assenzio, una al gianduia da Giraudi di Alessandria… L’oggettistica invece è nostra: giro il mondo e acquisto stampi fantasiosi, e poi mi avvalgo di un laboratorio per riempirli al cioccolato» prosegue Nielsen. Nei paraggi del suo negozio la concorrenza è quasi inesistente e i suoi prezzi sono abbordabili: si parte da cinque euro fino a un massimo di 60-80, lo scontrino medio è di 10-15 euro. Il fatturato: 60mila euro circa, ma l’affitto del locale è di 2mila euro al mese. «Il commercio di cioccolato ha anche dei limiti. In primo luogo la stagionalità: se è vero che a Natale e Pasqua devo ricorrere all’aiuto di due persone in negozio, da maggio a settembre può capitare di incassare 10 euro al giorno. E poi, la mentalità italiana: la gente ha ancora un’idea del cioccolato come dono, non come piacere personale, in alternativa ai pasticcini. Sono però convinto che il segreto del successo di un negozio che vende cioccolato sia una location a fortissimo passaggio pedonale» conclude Nielsen.

INFO: tel. 02 54019419

Un italiano a São Tomé fa il miglior fondente del mondo

Fiorentino, si laurea in Agronomia tropicale e parte per l’Africa. Dopo anni passati a coltivare caffè, si butta sul cioccolato. Storia di un’azienda a conduzione familiare che non teme le multinazionali

Claudio Corallo, fiorentino, dopo una laurea in Agronomia tropicale, nel 1974, si è trasferito in Africa. Produce con i figli un cioccolato nel luogo d’origine, a São Tomé, al largo nella costa africana. Le sue barrette hanno una percentuale di cacao compresa tra 60 e 100%: il settimanale Time le ha definite una “luxury che tende al Nirvana”. La sua storia però inizia nell’86, mentre coltivava caffè nell’ex Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo. «Mio cognato mi portò dei campioni di piante di cacao, risvegliando così il mio interesse» ricorda Corallo, che fino al 1996 ha continuato a occuparsi solo di ciò che serve per un buon espresso: aveva acquistato due piantagioni abbandonate con l’obiettivo di recuperare antiche varietà quasi scomparse. «Era un luogo ancora intatto: mia moglie era la prima donna bianca che gli indigeni vedevano. Lì i trasporti si facevano a dorso di bue e io potevo vivere come amo, cioè con semplicità, senza oggetti inutili. Sono venuto in Africa perché adoro la foresta, che in questa zona è un ambiente gentile. Qui posso vivere nei campi, riscoprire gli odori, sentire la potenza positiva di questo ambiente e riceverne la carica di cui ho bisogno per vivere come desideravo fin da ragazzo, con la possibilità di poter inventare qualcosa di nuovo» racconta Corallo. Importantissima per lui l’esperienza di produzione agricola di caffè, di cui ha rivoluzionato molte operazioni, tostatura compresa. «Sul posto comprendi che tutto ha un riflesso sul risultato finale: il tipo di terreno, la potatura, il tipo di raccolta…». Il mercato gli dava ragione: negli anni 80 Corallo dava lavoro a oltre 1.000 persone e il suo caffè veniva servito nello storico locale Florian di Venezia. Ma nell’89 il crollo del settore segnava una drammatica battuta d’arresto all’attività. «Dalle 1.350 sterline alla tonnellata il prezzo del caffè era caduto a 350: io ne avevo in magazzino 800 tonnellate. Molti in quel periodo si suicidarono, ma io non volevo lasciare tutto».

La svolta: il libro Cent’anni di solitudine

«Mi ritirai nella foresta alla ricerca di una soluzione. Portai con me una lettura a lungo rimandata, Cent’anni di solitudine: qui si racconta di un villaggio sperduto in cui i personaggi lottano contro un destino avverso che mi sembrava parallelo al mio. Lo leggevo cercando auspici positivi per la mia vita». Dopo sei mesi nella foresta, la soluzione: collaborare con altri coltivatori locali e salvare così gli affari. Il progetto era azzeccato ma la situazione politica troppo rischiosa lo induce nel 1996 a trasferirsi nello Stato centroafricano di São Tomé e Príncipe, un arcipelago nel Golfo di Guinea al largo delle coste africane occidentali. Lì le piantagioni di cacao erano abbandonate e, per di più, di una qualità considerata poco pregiata. Ma Corallo era già abituato a partire svantaggiato: nove gli anni di lavoro necessari a ottenere il risultato desiderato e a trasformare la produzione da casalinga a industriale, ma ecosostenibile in ogni sua fase. Per ottenere aromi delicati ancora una volta ha modificato la coltivazione: cinque-sei metri di spazio tra una pianta e l’altra, ricorso a piante alte di protezione per evitare pesticidi, lavorazione solo manuale, fermentazione di 9-17 giorni anziché di 4-6, per di più eseguita controllando la temperatura e costruendo anche la macchina della tostatura.

Cioccolato per intenditori

Così, scoperto per caso in una piccola bottega di São Tomé da un giornalista del britannico Daily Telegraph, grazie a un solo articolo il prodotto riceve un’attenzione mediatica che in breve tempo scatena un tam tam diffuso in Europa e oltre Atlantico. «Il nostro 100% non è amaro: la dolcezza non gli viene dall’aggiunta di zucchero ma dalla sua naturale potenza. Si gusta a una temperatura di 27-28 °C, per sentirne al meglio il profumo» sottolinea Corallo. Il suo prodotto più venduto però è il 75%, impreziosito da uvetta macerata nel liquore di cacao che lui stesso produce.

INFO: www.claudiocorallo.com

il degustatore con cinque sensi

Il suo è uno dei mestieri più belli del mondo: Luigi Biasetto (foto a sinistra), 42 anni, diplomato maître chocolatier nella storica mecca del cioccolato di Bruxelles e titolare dell’omonima pasticceria padovana (www.pasticceriabiasetto.it), è consulente per aziende internazionali di settore, dalla belga Barry Callebaut alla francese Valrhona. Ha vinto la Coppa del mondo della pasticceria nel 1997.

In che cosa consiste il suo mestiere?

«Spesso metto a punto un prodotto già esistente: le modifiche richiedono anche un anno di lavoro. Il mio obiettivo? Raggiungere un gusto preciso, magari più dolce senza però aggiungere zucchero, oppure più amaro ma sempre rotondo».

Quali i requisiti per emergere come assaggiatore?

«Innanzitutto riuscire a superare qualsiasi condizionamento, anche culturale. Non è un mestiere facile: questa attività coinvolge i cinque sensi, anche il “suono” che fa il cioccolato quando si spezza è importante. Fondamentale conoscere la materia al meglio: per analizzare il cioccolato io parto dalla tostatura delle fave di cacao. Il vero professionista ha sperimentato molto, sbagliato molto e fa sempre ricerca».

Come si comincia?

«Per chi parte da zero, è necessario mettere in conto almeno un anno a tempo pieno da impiegare in degustazioni guidate da maestri, visite ai laboratori degli artigiani più noti, letture e sopralluoghi nelle piantagioni di origine. Così si impara che la pianta esposta al sole dà frutti più scuri, che la vicinanza di altre coltivazioni può donare retrogusti fruttati… Da non sottovalutare, nella formazione, le tavole rotonde organizzate nei festival cittadini».

Quanto si guadagna?

«Gli assaggiatori hanno poco tempo libero: una consulenza assorbe almeno una settimana di lavoro e comporta degustazioni, relazioni, incontri con i responsabili tecnici, a fronte di una fattura di circa 3mila euro».

Io, scrittore dolce

Giornalista, appassionato del cibo degli dei, scrive un libro sul cioccolato che si trasforma in business

Gigi Padovani, giornalista de La Stampa, ha scritto il libro Conoscere il cioccolato (Ponte alle Grazie, 15 euro, www.conoscereilcioccolato.com).

Perché scrivere un libro sulla “bevanda degli dei”?

«Il cioccolato, al pari del vino, è cultura: conta su tradizioni di lavorazione, diversità nella coltivazione… E la percezione dei consumatori è cambiata: da classica merenda per bambini oggi è considerato un prodotto legato al piacere. Per accorgersene basta considerare le pubblicità, in cui il cioccolato è presentato nella sfera della seduzione».

Da dove è nata la sua passione?

«Sono nato ad Alba e ho sempre avuto la passione per la Nutella, a cui ho dedicato due libri. L’interesse per il cioccolato mi ha portato a viaggiare per conoscere artigiani, fare degustazioni, raccogliere documentazione… È stata la casa editrice a propormi di organizzare il materiale e presentarlo in modo divulgativo: molti addetti ai lavori mi hanno confessato di aver scoperto nelle mie pagine nuove informazioni». Il libro, nato per passione, è presto diventato un business: a tre anni dall’uscita le vendite non calano e Padovani continua a ricevere inviti per presentare l’opera, oltre a essere stato coinvolto in diverse iniziative come CioccolaTò (www.cioccola-to.com), manifestazione torinese che lo scorso marzo ha ospitato incontri culturali e cene letterarie a tema. Perché il suo libro ha riscosso tanto successo?

«Per la particolarità della pubblicazione, che non contiene né una foto né una ricetta ma si rivolge ad amatori e professionisti per illustrare storia, ingredienti, tecniche: non tutti sanno la differenza tra un dragée (pralina con un cuore a scelta tra mandorla, chicco di caffè o altro) e un manon (qui il ripieno è di un diverso tipo di cioccolato: alla vaniglia, allo zucchero filato…)».

Il cioccolato di Torino che tutti conoscono

Intervista a Guido Gobino, maestro piemontese che è diventato il cioccolatiere per antonomasia dei torinesi. Dagli Agnelli in giù…

Quale il segreto del suo successo?

«In aggiunta alla qualità della materia prima che uso, penso sia la fantasia. Torino ha una grande tradizione per il cioccolato, ma mancava un po’ di rinnovamento. Così ho rivisitato le vecchie ricette: una strategia adatta ad attirare gli appassionati, sempre alla ricerca di novità».

Come è riuscito a superare suo padre, grande maestro del cioccolato?

«è stato un percorso lungo. A differenza di mio padre, ho avuto l’opportunità di viaggiare e conoscere nuovi mercati. Una volta tornato, ho pensato alle differenze nei gusti del pubblico rispetto al passato: così ho trovato spazio per mettere a punto un’offerta diversa».

Come si supera il problema della stagionalità?

«Agosto è da sempre il mese in cui si chiude per fare manutenzione ai macchinari. Negli altri mesi si vendono granite o altre bevande fresche a base di cioccolato, oppure i nostri “ricoperti”, come ginger rivestito di cioccolato bianco e menta, arance candite avvolte nel cioccolato… Ma i veri appassionati consumano la tavoletta anche a Ferragosto».

Un consiglio per chi è alle prime armi.

«Il cliente vuole sensazioni. E un cioccolatiere innamorato del suo mestiere cerca di offrirgliele. Molti invece propongono il cioccolato senza metterci niente di personale: acquistano le materie prime dalle aziende di settore ma non le vivificano con la propria creatività. E sbagliano».

Anche il divano viola del suo negozio punta sulla creatività?

«Lì guido degustazioni “estreme” per gruppi di sole tre-quattro persone che, dopo aver spento il cellulare, indossano una benda sugli occhi e si abbandonano alle sensazioni del cioccolato. Tanti i Vip che sono passati di qui: dal regista Werner Herzog ad Arturo Brachetti».

INFO: www.guidogobino.it

Percorsi cult per chi è a caccia del cibo degli dei

Pistoia

Andrea Slitti (www.slitti.it) di Monsummano Terme (Pt) è noto in tutto il mondo per i numerosi premi internazionali vinti dal 1993 in poi, tra cui il Grand Prix International de la Chocolaterie di Parigi e le tre stelle assegnate dalla guida di settore britannica The Chocolate Companion. Punta tutto sull’abbinamento caffè-cioccolato: Slitti ha mosso i primi passi nella torrefazione del padre, che aveva elaborato una miscela originale alla ricerca di un’eccellenza che poi ha trasmesso al figlio. Ma nel negozio pistoiese i chicchi di caffè ricoperti di fondente sono solo una delle mille attrazioni degustabili in una sala che dispone di testi sul cioccolato risalenti al Seicento. Il locale, dotato di una fontana di cioccolato liquido, dispone anche di uno showroom dedicato alle confezioni particolari.

 

Provincia di Varese

La stampa la definisce come stella emergente nel mondo dei maestri italiani. È l’unica donna nel settore. Carola Stacchezzini nel suo laboratorio Theobroma di Besozzo (Va, tel. 0332 971110) ha incantato più di un intenditore con praline allo zafferano, amarene tartufate, riso soffiato al cioccolato bianco. Dopo la scuola alberghiera, i corsi in Belgio nella sede della Barry Callebaut, Stachezzini ha fatto il “pranticantato” nella cioccolateria di un maestro di Bruxelles già vincitore di premi internazionali.

Modica

Ha attirato le attenzioni del Financial Times l’Antica Dolceria Bonajuto di Modica (www.bonajuto.it), oggi alla sesta generazione, per l’originalità con cui rivisita la tradizionale lavorazione a freddo del cioccolato tipica della città ragusana. Il “granulato” modicano qui è declinato alla vaniglia, oltre che alla cannella e al peperoncino, mentre il rum è abbinato a un 65% di cacao lavorato senza burro di cacao né lecitina di soia. Ispirandosi ad antiche ricette messicane poi è prodotto lo Xocolic, un cioccolato liquore che può essere consumato fresco oppure caldo, anche in confezioni monodose da 25 grammi.

Vigo di Fassa

Reinhard Santifaller si è laureato in pasticceria all’Università di Bruxelles dopo aver lavorato in tutto il mondo, da Bolzano a Monaco di Baviera e da Miami al Giappone. In seguito all’apertura di un negozio a Vigo di Fassa (Tn, tel. 0462 763084), Santifaller si è laureato con una tesi che include un’analisi storico-economica e uno studio organolettico a partire dalla raccolta delle fave di cacao. Nel frattempo si è fatto conoscere con i  Marmolada, cioccolatini ripieni di bacche di ginepro locale modellati a piramide e imbiancati sulla punta come la famosa vetta delle Dolomiti. E per evitare problemi di stagionalità, Santifaller produce confetture inedite, come quella al lampone e zenzero o all’ananas e rosmarino.

Londra

Dall’Inghilterra arrivano le suggestioni dell’abbinamento tra la bevanda degli dei e i fiori: Paul A. Young (www.paulayoung.co.uk) le propone nel suo fascinoso negozio londinese in cui i clienti entrano incuriositi dalla carta da parati in broccato e poi si affascinano davanti al cioccolato fresco, fatto in giornata, che scade nel giro di una settimana. Le creazioni meno estrose di Young includono tra gli ingredienti il geranio, la malva e la rosa, quelle “medie” tabacco, pepe e sale, mentre quelle più originali coinvolgono formaggio, lievito e salsa chili.

San Francisco

Nel 2007 a San Francisco, un ingegnere che ha collaborato allo Space Shuttle e il fondatore della rivista di tecnolgia Wired hanno fondato Tcho (www.tcho.com), produttrice di barrette esclusivamente fondenti dal packaging molto glamour. Classificati gli aromi secondo una ruota dei sapori creata ad hoc che si muove dal fruttato al nocciolato fino al floreale e all’agrumato, Tcho propone anche noci di macadamia ricoperte. E crede così tanto nel suo progetto da aver già distribuito stock option a tutti i dipendenti.

4 dritte per far funzionare il business

1. Occhio alla location La location deve essere di forte passaggio, il cioccolato è anche un acquisto d’impulso, e per vendere sono importanti le vetrine.

2. Vetrine esposte a nord In caso contrario il sole obbliga a usare tende di protezione che non consentono la visione della merce ai passanti.

3. Impianto di condizionamento Necessario un impianto di condizionamento che tutto l’anno stabilizzi la temperatura a un massimo di 21 °C in negozio e 18 in magazzino.

4. Conoscenza della materia prima «Il prodotto deve essere ben conosciuto: la gente non sa che un “50%” non è fondente, ma al latte, oppure che il cioccolato assorbe l’odore del cibo vicino» conclude Nielsen.

a scuola di maître chocolatier

Non esiste un percorso di studi istituzionale. Si può iniziare con un diploma turistico alberghiero oppure con un corso professionale Ipsia di Arte Bianca (noto quello di Neive (Cn), www.iisscillariof.it/neivedolciario.aspx) per poi continuare con corsi specialistici presso industrie di settore o lezioni durante le manifestazioni a tema.

Valida anche la formazione presso laboratori di professionisti già affermati, così come gli appuntamenti di degustazione con assaggiatori.

la marcia in più

Per emergere, indispensabili i corsi anche presso scuole e industrie delle nazioni con grande tradizione come Belgio, Francia e Svizzera. Un maître chocolatier è in grado di effettuare la miscelazione degli ingredienti, il concaggio (mescolazione compiuta a determinate temperature), il temperaggio (la solidificazione del burro di cacao, ottenuta con trattamenti termici di fusione e raffreddamento), il modellaggio (colata in stampi), la farcitura.

qualche indirizzo

Tra i corsi in Italia si possono citare Perugina: www.perugina.it (pagina scuola)

Barry Callebaut: www.barry-callebaut.com

Chocolate Valley: www.chocolatevalley.it Cast Alimenti: www.castalimenti.it Marangoni: www.marangonicioccolato.it Roberto Caraceni: www.corsicioccolato.it

Associazione amatori cioccolato: www.chococlub.com

i prezzi

Da 60 euro per due ore di lezione.

la burocrazia

Chi vende al pubblico cioccolato di propria produzione può essere inquadrato (legge 443/1985) nelle attività artigianali e, di conseguenza, non necessita autorizzazione amministrativa al commercio purché venda nei locali di produzione, non offra anche i prodotti di altri e gli acquirenti non consumino nel luogo di vendita. È necessaria l’autorizzazione sanitaria concessa dal Comune previo accertamento igienico sanitario: la domanda va presentata all’Asl locale. Inoltre è obbligatoria l’iscrizione all’Albo delle imprese artigiane (cui va allegata l’autorizzazione igienico-sanitaria), da eseguire entro 30 giorni dall’avvio attività. Obbligatorio poi il libretto professionale di idoneità (ex libretto sanitario), ottenibile dopo un corso organizzato da un ente autorizzato dalla Regione. Infine va aperta una Partita Iva.

Maria Spezia, Millionaire 10/2010

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