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Papà di un bambino autistico crea la pizza del cuore

Di
Silvia Messa
16 Aprile 2018

Ha immaginato un posto dove i ragazzi con autismo possano svolgere un lavoro vero. Un posto dove affermare, facendo, la propria dignità. Ecco l’idea alla base di PizzAut, il nuovo form di pizzeria ideato da un gruppo di genitori tra Milano e Brianza. Tra loro, Nico Acampora, 46 anni, papà di un bimbo di 9, autistico. Si occupa di politiche giovanili, ma PizzAut lo coinvolge a tempo pieno.

Come è nata l’idea?

«L’idea è venuta a me e altri genitori. Era il 2016, pochi giorni al 2 aprile, la giornata mondiale dell’autismo: creare un “laboratorio di inclusione sociale”. I nostri figli sono ancora piccoli, ma cresceranno. L’autismo non è una malattia, non si “guarisce”, ma si possono migliorare abilità e competenze. Nei prossimi anni, adulti con autismo, sempre più numerosi, cercheranno di integrarsi nello “strano mondo dei normali”, avere amici, affetti, una casa, un lavoro. In fondo, dignità. È necessario che la società risponda a questa richiesta. Noi ci stiamo provando dal basso».

Dall’idea all’impresa: i primi passi?

«Abbiamo creato il sito, lanciato un crowdfunding: bastano 10 euro per partecipare. L’obiettivo è raccogliere 60mila euro».

Come vi siete fatti conoscere?

«Ci hanno chiamati alla trasmissione Tu si que vales, a settembre. I ragazzi, con un educatore, hanno servito la pizza ai giudici. E hanno dimostrato quello che possono fare». I fondatori di Pizzaut, con Lallo, Alessandro, Francesco, Simo e Chiara, tutti maggiorenni e autistici, provano a fare la pizza sul campo, per tanta gente. «A Cernusco sul Naviglio abbiamo organizzato “Un assaggio di Pizzaut” presso un circolo Arci: potevamo accogliere 400 persone, ne sono venute 1.000. A giugno, ci siamo appoggiati alla Spilleria, locale a Cassina de’ Pecchi: 500 persone servite, in tre serate. I ragazzi sono stati incredibili, sia nel sostenere i ritmi di lavoro sia coi clienti».

Perché la formula funziona?

«La pizza è ottima, un pizzaiolo esperto ci aiuta, volontariamente. Poi è “buona”, nel senso che aiuta una buona causa, genera un buon clima».

Tutti i ragazzi possono fare i camerieri?

«Si scelgono quelli che hanno capacità di relazionarsi con gli altri, con l’aiuto della psicologa Simona Ravera, che si occupa di 20 anni di autismo. I ragazzi affrontano una fase di formazione tecnica, cui collabora una catena di pizzerie, con 80 ristoranti in Italia. In sala c’è un educatore, che fa il cameriere coi ragazzi, e la psicologa. I turni di lavoro sono al massimo di tre ore, non ogni giorno. A fine serata c’è la tavolata dei lavoratori. Le mance sono motivo di orgoglio. Così il fatto di prepararsi, uscire, recarsi al locale». La dottoressa Ravera specifica che molte persone con autismo sono e saranno in grado di lavorare. «Magari ci insegneranno qualcosa che abbiamo scordato: il ritmo naturale delle azioni, la dedizione al lavoro, la concentrazione al compito, la gioia di sentirsi utili».

Che cosa prevede il progetto?

«Per il crowdfunding, offriamo pizze e “mattoni” di un muro che dedichiamo ai sognatori (mattoni, grossi matti!), in chi crede che possiamo farcela» spiega Acampora. «Vogliamo aprire uno, due locali Pizzaut. Il primo nell’hinterland di Milano, dove un comune ci concederà uno spazio da ristrutturare. Ma se qualcuno volesse cedere il suo locale, lo valutiamo».

INFO: www.pizzaut.it

Tratto dall’articolo “Pizza. Purché sia buona” pubblicato su Millionaire di novembre 2017. Per acquistare l’arretrato scrivi ad abbonamenti@ieoinf.it

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