Prendo un rifugio, ne faccio un business

Di
Redazione Millionaire
10 Agosto 2012

Si spengono le luci. Notte, silenzio. D’estate le stelle sono così fitte che non puoi contarle. E, dopo poche ore, l’alba illuminerà le cime di luce rosata. D’inverno il paesaggio è fiabesco.

Siamo in un rifugio, in quota o a mezza montagna. Una costruzione semplice, eppure accogliente, dove gli amanti della natura, delle camminate e della neve trovano cibo, un letto pulito, servizi e un gradevole calduccio.

Le nostre montagne, dalle Alpi agli Appennini, sono presidiate da centinaia di rifugi

Molti sono di proprietà di privati, ma gran parte, costruiti da almeno una cinquantina d’anni, appartengono al Cai, Club alpino italiano, che ne affida la cura e la conduzione ai rifugisti, amanti e conoscitori della montagna, che spesso si tramandano la gestione di padre in figlio. Vivono del loro lavoro e, in alcune location privilegiate, guadagnano molto bene.

Non sono solo imprenditori, semplici ristoratori o albergatori, ma persone che fanno precise scelte di vita. Oggi la gestione di un rifugio diventa una concreta opportunità d’impresa, con prospettive di sviluppo

A nessuno si promettono guadagni facili. Tanta fatica e impegno. Ma anche giornate piene di soddisfazioni autentiche.

Da luogo di passaggio a meta

«Il rifugio una volta era un luogo di tran­sito, oggi è una meta» spiega Samuele Manzotti, presidente della commissione centrale rifugi e opere alpine del Cai.

In montagna va molta più gente. Gli escursionistiin estate raggiungono il rifugio, mangiano, riposano e poi tornano a casa. In alcuni casi, si fermano anche a dormire.

D’inverno si lavora soprattutto durante il weekend e ci si avvale, in alcuni casi, di motoslitte, teleferiche o impianti di risalita. Nella rete Cai, sono pochissimi i rifugi collegati con una strada. In alcuni casi, si trovano in luoghi impervi, raggiungibili dopo ore di cammino per esperti.

Il problema principale, in mancanza di vie percorribili con auto o fuoristrada, è l’approvvigionamento

La maggior parte, magari consorziandosi con altre strutture, noleggia un elicottero. Costa circa 25 euro al minuto, più Iva.

Il gestore di oggi deve avere un carattere forte e resistenza psicologica alla solitudine e a condizioni climatiche avverse.

«Per attirare gente deve puntare su individualità e atmosfera» spiega Egidio Bonapace, ex gestore per 21 anni del rifugio Graffer-Al Grosté, aperto tutto l’anno, nelle Dolomiti del Brenta.

«Ogni rifugio ha la sua storia ed è il rifugista che può trasmetterla, con calore, emozioni. Ma bisogna e si può fare quadrare i conti».

Su cosa si guadagna?

Nel rifugio si mangia e si dorme. Per mantenere le premesse solidaristiche dell’ospitalità in montagna, il Cai impone un tariffario, che i gestori devono esporre. Le tariffe crescono, a seconda della categoria dei rifugi. Si parte da 10 euro per i soci Cai fino a 30per i non soci, per un posto letto con coperte.

Per la mezza pensione, al pernottamento si aggiungono 10-15 euro. In alcuni rifugi, si paga lo smaltimento dei rifiuti: 3 euro.

Nei rifugi Cai non esiste obbligo di consumazione (si paga però il posto a tavola, il riassetto e smaltimento rifiuti), ma nella ristorazione i margini crescono, quanto più il gestore offre una cucina ricca e variata. Spesso, il rifugio si fa una fama anche per questo e diventa una meta per consumare un pasto in allegria.

Quanto si guadagna?

«Le cifre reali sono un mistero» spiega Manzotti. «Il rifugista piange sempre per gli scarsi guadagni. È vero che esistono le stagioni piovose, gli anni difficili, che riducono la redditività nei sette-otto mesi di apertura.

Ma pochi gestori falliscono. E dopo 20 anni, molti di loro aprono un ristorante. I guadagni ci sono. In ogni caso, una conduzione familiare riduce le spese per il personale e garantisce utili».

Come si diventa gestori?

Si acquista (o si affitta) l’immobile da privato. In questo caso, i prezzi dell’immobile sono influenzati dalla presenza di strade e dalle condizioni del fabbricato. Alternativa: si gestisce uno di quelli del Cai o di altri club, Comuni o Comunità montane, enti locali.

Gli affitti variano da 6.000-7.000 euro l’anno, per quelli con pochi posti letto e a tavola e scarso afflusso di utenti, a 60mila e più, per quelli di grandi dimensione e capienza, in luoghi molto frequentati.

Il Cai ha 432 rifugi, a una quota media che oltrepassa 2.000 metri, cui si aggiungono 244 ricoveri e bivacchi, molto più piccoli, con l’essenziale per riposare, non custoditi, e un altro centinaio di strutture, tra punti di appoggio e capanne sociali.

Come e dove affitto?

«Il Cai ha un ufficio centrale (www.cai.it, tel 02 2057231), ma è bene scegliere la regione e la zona di interesse, e rivolgersi alle sedi locali del Cai. Sono loro a indire bandi, dove si specificano i requisiti desiderati nel rifugista. Poi si analizzano i candidati, ci si conosce. E si sceglie. Dopo la firma del contratto, si comincia. Non esistono periodi di prova. Per un certo periodo, il Cai ha imposto solo contratti annuali.

Oggi il Cai prospetta contratti di sei anni, rinnovabili per altri sei. Un periodo che consente anche investimenti economici e un ritorno adeguato» spiega Manzotti

Tra i club regionali, la Sat, Società alpinistica tridentina, ne ha 34 su 120 totali in Trentino. Ogni parco nazionale ha il suo patrimonio di immobili. Propone contratti annuali, che si rinnovano tacitamente di anno in anno, salvo problemi. (www.sat.tn.it, tel. 0461 981871).

«I rifugi restano in mano allo stesso gestore anche per 15-20 anni. Poi, si lascia il posto a gente più giovane. Sono pochi quelli che mollano solo dopo un paio di anni» spiega Bruno Angelini, direttore della Sat.

Per fare il rifugista occorrono requisiti particolari:

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  •  conoscere la montagna e i luoghi specifici
  •  essere guida alpina o di mezza montagna
  •  avere esperienza nella gestione di una struttura
  •  conoscere le modalità per allertare i soccorsi e prestare i primi interventi
  •  avere una famiglia di supporto, serietà
  • consigliabili anche doti psicologiche, di accoglienza e ascolto
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La burocrazia

I rifugi sono disciplinati dalle leggi sul turismo emanate dalle Regioni e rientrano tra le attività extralberghiere. Per la burocrazia in apertura e le modalità di gestione, nonché i requisiti tecnico-edilizi e igienico sanitari, meglio cercare su Internet le leggi in vigore nella propria Regioneo rivolgersi all’Assessorato regionale al turismo.

Per l’avviamento, in diversi Comuni sono già operativi gli Sportelli unici per le attività produttive (Suap).

Da fare:

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  • Apertura Partita Iva.
  • Comunicazione unica da trasmettere online al Registro delle imprese della Camera di commercio, previa acquisizione di firma digitale e posta elettronica certificata.
  •  Richiesta autorizzazione comunale.
  •  Richiesta classificazione delle strutture ricettive.
  • Comunicazione delle caratteristiche e dei prezzi della struttura.
  • Denuncia di inizio attività ai fini della pubblica sicurezza e del rispetto delle norme vigenti in materia di prevenzione incendi
  •  Autorizzazione sanitaria per i locali.
  • Dichiarazione di inizio attività per la somministrazione alimentare e igiene degli alimenti (Haccp).
  • Valutazione del rischio.
  • Aiuti. Al momento gli unici aiuti pubblici per sostenere gli investimenti iniziali sono quelli previsti da leggi regionali. Rivolgersi agli uffici della propria Regione

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Storia 

Claudio Prada, 30 anni, perito elettrotecnico, e Chiara Benedetti, 27, una laurea in Design della comunicazione. Si sono innamorati e sposati.

Da due anni hanno in gestione dal Cai il rifugio Buzzoni, 1.590 m s.l.m, a Valsassina (Lc), Prealpi orobiche: 85 mq su tre piani. «Il precedente gestore ha perso la vita sotto una slavina, battendo il sentiero per un gruppo. Così il Cai ha fatto un bando. Io ero della zona, ho passato molte estati dando una mano in un rifugio, me la cavo con tutti i lavori di manutenzione» racconta Claudio. Il rifugio è aperto anche d’inverno, neve permettendo, nei weekend. Si raggiunge solo a piedi, con tre ore di cammino da Introbio e un paio dai Piani di Bobbio.

La vita è dura, il pranzo è il momento più critico. In media, ad agosto, abbiamo 30 persone a tavola, anche 50 di sabato o domenica

Per la spesa, ci danno una mano e “spalle” i nostri parenti, che ci riforniscono di carne e formaggio.

Dopo le 14.30, si lavano i piatti: abbiamo solo una lavabicchieri, il resto a mano. Poi si prepara la cena. Ci sono 25 posti per il pernottamento. Il rifugio è piccolo, ma c’è moltissimo lavoro».

Un po’ di conti

 

L’affitto costa 3mila euro l’anno, pagabili in quattro rate. A giugno gli incassi sono stati di 2.000 euro, a luglio 3.500, ad agosto 7.000: il guadagno reale è la metà. Il pranzo costa 18 euro al cliente, la mezza pensione 35.

Claudio ha investito circa 600 euro per corsi sulla sicurezza, la gestione degli alimenti e il pronto soccorso. «Claudio d’inverno fa l’elettricista. Io cercherò qualcosa nel mio campo» dice Chiara.

Il loro consiglio a chi vuol fare il gestore: amare il silenzio e la solitudine. Ma anche il rapporto con la gente. Avere buone gambe e non temere la fatica: si lavora anche 12 ore e più al giorno.

www.rifugiobuzzoni.it

 

Silvia Messa

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