Pietre e catene luccicanti. Perline, stoffa, cuoio. Trendy e di moda, anche in tempi di crisi. Millionaire ha indagato tra i tanti “anelli” della catena commerciale dell’accessorio, in Italia, per capire chi guadagna e come
Pietre sfavillanti, catene luccicanti, oro, argento. Ma anche stoffa, cuoio, resine. Bellissimi e fashion, i bijou sono diventati un accessorio indispensabile nel guardaroba femminile. Ma chi c’è dietro? In primo luogo, artigiani che inventano pezzi unici o quasi con i materiali più disparati, lavorando da soli. E piccole aziende che disegnano e realizzano parti di “gioielli” che poi loro stessi o altri assemblano. Poi, gli importatori che si riforniscono in India e Cina e trovano in Italia uno sbocco di mercato. Infine, abbiamo negozi e reti specializzate, comprese le catene internazionali di pronto moda. Anche le griffe hanno fiutato il business e offrono una propria linea di bijou e accessori, spesso prodotti da terzisti, a prezzi abbordabili.
Il comparto è sfaccettato, con tanti attori a vari livelli. «I bigiottieri sono tantissimi. Pochi i produttori, molti i rivenditori. Quello che si respira è una tenuta del settore» spiega Cristina Calestani, portavoce di Clubbi, che associa una sessantina di produttori italiani. «Lavorano tutti e non si lamentano. I clienti (catene, negozi, grossisti, non quelli finali) comprano meno merce, ma procedono a più ordini». In forte crescita il mercato del fai da te, a uso personale o per una piccola attività artigianale con rivendita. Lo conferma Chiara Sanpietro, titolare dell’azienda Elegance by Noris. «L’articolo medio-fine made in Italy si vende meglio all’estero. Ha costi superiori a quello di provenienza orientale, più commerciale, quindi lo vendono solo pochi negozi selezionati. In Italia sopravvivono bene le aziende piccole e versatili. Con otto dipendenti, due sedi, alcuni terzisti che collaborano con noi, siamo già una realtà abbastanza grande, in questo settore. Sta funzionando il nostro showroom di Varedo: abbiamo molti clienti che si forniscono direttamente da noi, soprattutto di componenti per l’hobbistica. Saltano quei passaggi che uccidono chi rivende (e il cliente finale). Un pezzo che noi vendiamo a 10 euro, in negozio si trova a 60».
Investimenti bassissimi
I casi di microartigiani imprenditori sono migliaia. E questo dimostra che il business c’è. L’attrattiva è il fatto di poter cominciare davvero con investimenti bassissimi: poche decine di euro per piccoli quantitativi di perline e chiusure, un set di pinze, fili ed elementi metallici…
Molti vivono bene, alcuni ricavano solo un reddito integrativo, perché i conti vanno fatti molto bene. «La gente guarda e non compra. Anche se ha davanti una collana molto bella, se supera 20-25 euro il prezzo sembra sempre troppo alto» racconta Cris P. La sua storia è tipica: segue un corso per infilare le collane e si appassiona a nodi e perline. Poi inizia a venderle alle amiche e nei mercatini della sua zona, a sud di Milano. «Spesso danno spazi gratuiti o quasi. Durante la settimana prepari quello che vendi il sabato e la domenica». Cris, dopo alcuni mesi, decide di aprire un negozio, con articoli di merceria e bigiotteria per il fai da te. «I prezzi vanno sempre tenuti al minimo. Se vendi a cinque euro, non devi spendere più di due euro di materiali. Quello che non si valuta sono le ore di lavoro. E alla fine ho chiuso. Ero in un centro troppo piccolo, le iniziative promozionali, come i corsi e gli stage, non attiravano abbastanza clienti e quello che guadagnavo se ne andava in affitto e spese. Oggi, a casa, faccio lavori creativi e di infilatura». Il problema di Cris è comune e riguarda artigiani e negozianti, in posizioni non centrali: la scarsa visibilità e la difficoltà nel vendere i propri lavori artigianali a un prezzo adeguato.
La via del franchising
Ma esiste una terza via, per vendere bijou: il franchising. Con l’affiliazione, si può aprire un negozio, dove l’affiliante aiuta nella scelta della location, nell’allestimento più efficace e nella creazione di un mix di merce vendibile. Obiettivo: garantire una certa redditività. Varie le reti attive in Italia, La più famosa è Accessorize, insegna ormai internazionale: 500 punti vendita nel mondo, 56 in Italia, di cui 9 in franchising. I suoi segreti? Uno scontrino medio sui 20 euro e un assortimento di accessori che parte dal bijou ma arriva alle borse, ai foulard, cappelli, cinture, scarpe e persino biancheria intima. Tutti ideati in Gran Bretagna e realizzati in Oriente (India, Cina) e in Italia (pelletteria). «La varietà di assortimento è un elemento importante per affrontare la concorrenza. Altro aspetto, è il rapporto qualità/prezzo: i prodotti sono curati, attenti alle tendenze e innovativi» spiega Nicola Mangini, direttore generale Accessorize per il Nord Italia. L’affiliante va bene: il fatturato è cresciuto del 20% l’anno scorso, con ottimi utili e settembre è partito con un più 16%. La rete Accessorize si amplierà, soprattutto al Sud, con negozi diretti. Il franchising si limita al Nord. A tutti, affiliati o no, un consiglio: «Chi apre dev’essere imprenditore, direttore, commesso. Così si fanno gli affari».
La creatrice solitaria
«Non buttate, reinventate»
Inizia smontando e reinventando vecchie collane della madre. Usa fili di bronzo e argento lavorati a maglia o all’uncinetto, secondo uno schema complesso di sua invenzione. E crea “gioielli” bellissimi. Così Antonella Saccone si è trovata una piccola clientela tra conoscenti e mercatini, ampliata grazie alla presenza su Facebook con il suo marchio, Il sole che ride. Recupera quello che c’è già, con il valore aggiunto del suo gusto e della sua manualità. «Da Roma mi sono trasferita a Poggio Mirteto (Ri). Qui dedico il mio tempo soprattutto a recuperare e trasformare vecchi bijou, collane di pietre e spille che nessuno mette più. Le materie prime le trovo nei mercatini e dai grossisti della mia zona o me le forniscono i clienti. In una collana da 25 euro, in genere, non impiego più di 5 euro di materiale. Il resto è tempo e creatività. Ho imparato da sola, partendo da una dispensa sulle perline, comprata in edicola. Quello che mi piace davvero non è infilare le perle. Ma inventare qualcosa di bello. E lo faccio direttamente per il cliente, senza intermediari. Così riesco ad avere un minimo di guadagno e soddisfazione».
INFO: antonella.saccone@libero.it
L’artigiana in bottega
Da sei perle a quattro negozi
Arte e creatività erano già il suo pane: attrice, costumista, moglie di un attore, Silvia Corti aveva lasciato il teatro per fare la mamma. Nel 1989 a Marrakech scovò su una bancarella sei antiche perle di vetro veneziane. «Mi sembrava di avere trovato un tesoro. M’interessai a quei materiali, comprai libri, cominciai a creare collane. Ho venduto le prime a Varigotti, nel 1990, a un mercatino. Piacevano moltissimo e cominciai a pensare a un negozio. E un amico antiquario mi propose in affitto (bassissimo) il suo negozio nella Chinatown milanese. Era il 1992, anche quello un periodo di crisi. L’idea di vendere perline sciolte, in piattini, me la suggerì un’amica, che l’aveva vista a Parigi. Ma volevo fare, non solo aspettare che la gente comprasse. Iniziai a creare collane. Alcune finirono in servizi di moda di giornali e questo fece conoscere il mio lavoro». Dalle riviste è partito il tam tam che ha fatto conoscere le creazioni di Silvia. Ora ha quattro negozi: Milano, Torino, Finalborgo e Spotorno. «Ci sono molte spese e i contributi per il personale incidono molto sul business. Ancora adesso faccio fatica a dare il giusto prezzo a quello che faccio. La concorrenza è grande. Il mio consiglio? Cercate un’idea vostra, non copiate. La manualità migliora con la pratica».
INFO: www.granievaghi.com
Silvia Messa, Millionaire 11/2009