Sono appena rientrato dal Salone del Franchising che si è tenuto settimana scorsa a Milano, un’esperienza che definirei illuminante sotto molti aspetti, ma non esattamente come avrei immaginato.
Curioso e motivato dall’idea di esplorare nuove opportunità, mi sono infilato tra gli stand con un misto di eccitazione e scetticismo. Mi ero preparato a scoprire il vasto mondo del franchising, nella speranza di capire se fosse davvero la strada giusta per lanciarmi in una nuova avventura imprenditoriale, facendo tesoro delle altre mie esperienze e connessioni (settore immobiliare), ma con la determinazione di esplorare altri ambiti.
Tuttavia, quella che sembrava un’opportunità unica – trovare molti format in un unico luogo – si è rivelata un intricato labirinto, dove più di una volta mi sono sentito io stesso il vero prodotto in vendita.
Appena entrato, sono stato subito catturato dai colori, dai loghi luccicanti e dalle proposte accattivanti degli oltre 130 espositori. C’erano nomi importanti, certo, e alcune realtà già consolidate a livello internazionale come McDonald’s, Old Wild West, e Anytime Fitness. Il settore food & beverage spiccava con brand famosi come Doppio Malto e La Yogurteria, ma anche con tante piccole realtà pronte a convincerti che il loro format fosse quello giusto su cui puntare. Ho citato questi brand perché li conoscevo già ed erano per me ‘fuori portata’.
Eppure, più mi addentravo tra gli stand, più mi rendevo conto di un fatto ineluttabile: non ero lì per esplorare semplicemente delle idee, ero lì per essere “venduto”.
È un paradosso interessante. Sei tu, visitatore, l’oggetto di scambio. Ogni esposizione, ogni franchisor che ti avvicina con il sorriso e il volantino pronto, sembra puntare non tanto a venderti un progetto o un’opportunità, ma a venderti l’idea che ‘tu’ puoi farcela – basta che firmi e investi. Mi aspettavo di essere conquistato da formule vincenti, soluzioni innovative, o addirittura ispirato da modelli internazionali che avevo visto in altre fiere. Invece, ho trovato due mondi ben distinti: da un lato le grandi realtà, forti e consolidate, che ti offrono supporto, ma chiedono un capitale iniziale quasi proibitivo per me (il mio budget fissato era tra i 50 e i 70 mila); dall’altro, piccole imprese che trasmettono più l’impressione di cercare fondi per crescere che un vero e solido modello di business.
Queste piccole realtà erano lì chiaramente per vendere una buona idea, o almeno così si presentavano. Ma mentre ascoltavo i pitch, non potevo fare a meno di chiedermi: quanto di quello che mi stanno dicendo è un azzardo? Quante di queste piccole aziende sono realmente pronte a sostenere un franchisee alle prime armi? Alcune mi sono sembrate addirittura ‘al limite’. C’era chi prometteva guadagni facili e rapidi, chi millantava di essere la nuova grande rivelazione nel proprio settore, ma il tutto si riduceva a poco più che un’offerta vaga e senza supporto tangibile.
È chiaro, il franchising è un settore in crescita, come dimostrano i dati: un giro d’affari che nel 2023 ha sfiorato i 34 miliardi di euro, con un incremento del 9,9% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, la qualità di molte proposte italiane lascia ancora a desiderare. Ho visto pochissime realtà internazionali che ho avuto modo di conoscere durante i miei viaggi all’estero, e questo mi ha fatto pensare. Perché, in un mercato così globalizzato, il franchising italiano sembra ancora soffrire di un certo provincialismo? Molte delle aziende italiane presenti al salone sembravano afflitte da quel “nanismo” imprenditoriale di cui tanto si parla nel nostro paese: aziende piccole, poco strutturate, con idee interessanti ma approssimate, che cercano più di cavalcare la moda del momento piuttosto che offrire un supporto reale ai futuri franchisee.
Le grandi realtà, invece, non deludono, ma il loro prezzo d’ingresso è proibitivo per un piccolo investitore come me. La sensazione generale che ho avuto, infatti, è che se non hai a disposizione almeno 200.000 euro, non hai molte possibilità di entrare in franchising con un brand solido e ben organizzato. Ci sono, certo, delle eccezioni, ma poche. Avevo ipotizzato un investimento iniziale intorno ai 50-70.000 euro, una cifra che mi sembrava ragionevole, eppure ho trovato pochissime aziende che potessero offrirmi un supporto concreto per partire con quel budget. La maggior parte dei franchisor con cui ho parlato chiedevano fee d’ingresso elevate e percentuali sul fatturato che, senza un sostegno adeguato, rischiano di soffocare un’attività prima ancora che possa decollare.
Ho imparato qualcosa di importante durante questa esperienza: le fiere sono sempre un’occasione affascinante per curiosare e lasciarsi ispirare, ma bisogna fare attenzione a non farsi travolgere dall’entusiasmo. Il prodotto, alla fine, sei tu. Tu sei l’oggetto di scambio per chi espone e cerca nuovi franchisee da reclutare. L’ispirazione? Scarsa. L’innovazione? Ancora meno.
Il franchising in Italia sembra aver imparato ancora poco dai “mostri sacri” esteri. Nonostante i numeri in crescita e l’entusiasmo palpabile, il settore sembra muoversi ancora a piccoli passi, con un’imprenditoria frammentata e approssimativa che riflette i limiti della nostra cultura imprenditoriale.
Deluso? Non esattamente. Questa esperienza mi ha confermato che, per chi vuole davvero investire in franchising, la selezione dev’essere attentissima. L’opportunità deve essere per entrambe le parti e soprattutto ci si deve avvicinare dopo una certa preparazione. Non si può prendere tutto per buono, né tantomeno fidarsi delle prime impressioni. Sono convinto che ci siano opportunità valide, ma bisogna scavare a fondo per trovarle. E, forse, il problema non è neanche il franchising italiano, ma sono io, con le mie aspettative, ad aver puntato troppo in alto o a essermi soffermato sugli espositori sbagliati.
Infine, una nota sui media presenti: mi aspettavo più giornalismo critico, più racconto oggettivo del settore. Invece, mi è sembrato che molti fossero lì più per raccogliere pubblicità dai franchisor affamati che per offrire un’analisi autentica di ciò che il settore ha da offrire, nel bene e nel male. Forse, anche questo è uno specchio della situazione.
Alla fine, il Salone del Franchising rimane una vetrina interessante, ma per chi cerca una vera opportunità imprenditoriale, c’è bisogno di molta, moltissima cautela. Di sicuro al prossimo giro andrò con le idee molto più chiare per cogliere quella che comunque ritengo ancora un’ottima modalità per avviare un’attività commerciale.
Nota di Redazione: il nome del contributore non è stato pubblicato su sua richiesta, avendo lo stesso svolto diverse interviste con altrettanti format incontrati presso il Salone.