Dall’Islanda agli Usa all’Europa: così Siggi ha conquistato il mondo con il suo yogurt. Storia di un successo
Siggi (si legge Sigghi) è alto, magro, ha i capelli lunghi e un look da ragazzo. È islandese, ma da giovane è andato a studiare negli Usa. E lì si è reinventato un prodotto che non riusciva a trovare nei supermercati americani: lo yogurt skyr (più denso e meno calorico di quelli sul mercato). Ne ha prodotto una sua versione, ha fondato un’impresa, ha realizzato i tassi di crescita più alti sul mercato. Nel 2017 era il più venduto negli Usa nella catena Whole Foods Market, nel 2018 ha fatturato 200 milioni di dollari. Poi ha venduto la sua Siggi’s alla multinazionale Lactalis. Una exit che di certo ha fatto di lui un uomo ricco (la cifra non è stata divulgata). Ora Siggi continua a seguire la sua creatura nel ruolo di ambassador, divulgatore della cultura dello skyr e certificatore della qualità del prodotto. Millionaire lo ha intervistato.
Chi sei? Presentati ai lettori.
«Mi chiamo Siggi Hillmarsson, ho 42 anni, sono islandese. Da ragazzo, con la famiglia mi sono trasferito negli Usa. Dopo aver conseguito un master in Business administration, ho lavorato come consulente alla Deloitte».
Perché hai deciso di intraprendere con uno yogurt?
«Da piccolo avevo una dieta sana in cui questo yogurt islandese di tradizione millenaria aveva un posto privilegiato. Quando ci siamo trasferiti negli Usa, siamo rimasti colpiti dalla lista degli ingredienti dei prodotti che trovavamo al supermercato: tantissimi, poco chiari, molto artificiali. In particolare, risaltava la quantità di zuccheri, anche negli yogurt . E lo skyr mi mancava».
E allora hai deciso di produrlo tu, ma in che modo?
«Con una ricetta che mia madre mi aveva mandato dall’Islanda, dopo averla copiata da una vecchia rivista trovata nella biblioteca di Reykjavik. I primi tentativi li ho fatti nella cucina di casa mia. La ricetta è semplice, ma non facile: si usa latte scremato (il quadruplo di quanto ne serve per un vasetto di yogurt normale), si fa affiorare la panna. I primi tentativi, a fi ne 2004, sono stati terribili. A inizio 2005 mi ero già perfezionato. Ma a casa non potevo raggiungere un grande standard qualitativo. La temperatura è molto importante e nelle case di New York fa sempre o troppo caldo o troppo freddo».
Come sei passato dall’hobby all’impresa?
«Ho iniziato a frequentare un caseificio fuori città. Qui ho preso lezioni e affittato il laboratorio: tre giorni a 100 dollari. In ufficio dicevo che andavo a sciare, perché sarei risultato troppo bizzarro nel dire che andavo a produrre yogurt! Quando mi sentii pronto, produssi 300 vasetti di skyr e li feci assaggiare ad amici e familiari. Uno dei miei professori mi disse che avrebbe fi nanziato la mia impresa. Tramite un’amica arrivai a una catena di negozi alimentari, che si offrì di vendere il mio skyr. Avevo il primo finanziatore e il primo distributore: sono partito»racconta Siggi.
Lasciare un lavoro sicuro per un salto nel vuoto…
«Ho lottato contro ogni avversità. In molti, anche fra gli amici, mi dicevano che era un’impresa folle, ma io non ho mai smesso di crederci. Mi sono detto che anche se avessi fallito, lo avrei fatto per portare avanti qualcosa a cui tenevo: l’Islanda e il cibo sano. Ho sempre saputo che avrei finito per lavorare per me stesso, per realizzare qualcosa in proprio».
Chi ti ha finanziato?
«Il professore che mi aveva incoraggiato per primo. Poi amici e familiari. In seguito, investitori del settore che mi hanno portato anche il loro know-how».
Come è cresciuto Siggi’s?
«Un momento di svolta è stato il primo mercatino locale in cui ho venduto i miei yogurt, nell’estate 2006: sold out già il primo giorno. Molti vasetti li ho regalati, per farmi conoscere. Alla fine dell’anno dopo, sono stato contattato dalla catena di cibo sano Whole Foods Market, interessata ai miei prodotti. A breve, ho iniziato a vendere nei principali negozi degli Usa, compresi i caffè Starbucks, dove siamo l’unico yogurt a marchio proprio. Nel giro di poco tempo, sono passato da una produzione artigianale a una industriale».
È stato subito tutto facile?
«No, certo, non lo è mai con un prodotto innovativo. I consumatori andavano educati. Negli Usa si erano abituati a tagliare i grassi, ma continuavano a consumare cibi troppo zuccherati. E poi lo skyr era diverso dagli yogurt a cui erano abituati: più denso, meno dolce. Non solo, costava di più. Per divulgarlo, ci siamo appoggiati a medici, nutrizionisti, addetti ai lavori. In breve siamo arrivati a essere venduti in 25mila negozi. E quando abbiamo fatto boom, non avevamo le capacità produttive per soddisfare la domanda. Abbiamo dovuto ristrutturarci per produrre quantità maggiori in minor tempo. E ora, dopo il successo negli Stati Uniti, in Canada e in Australia, è arrivato in Europa. Dopo Gran Bretagna, Francia e Croazia, è il turno dell’Italia».
Che cosa insegna la tua storia?
«Si afferma chi sa risolvere un problema. Io sono partito da me stesso e da un bisogno che volevo soddisfare. In un Paese con il record di obesità, mi sono reso conto che di un prodotto come lo skyr c’era bisogno. Anche adesso che ho venduto Siggi’s, rimango nel gruppo come ambassador».
Che consigli dai agli aspiranti imprenditori?
«Abbiate pazienza e tenacia: per costruire un’impresa ci vogliono tanto tempo e tanto lavoro. Fate qualcosa che vi appassiona. I soldi e il successo sono importanti, ma passano. I vostri valori restano» conclude Siggi.
Tratto dall’articolo “Sono il re degli skyr” pubblicato su Millionaire di maggio 2019. Per acquistare l’arretrato scrivi a abbonamenti@ieoing.it