Sono publican lavoro con le bionde (ma non disdegno le scure)

Di
Redazione Millionaire
10 Agosto 2012

Aprire un beer pub che serva solo birra artigianale. Alla spina o a pompa. Dolce o amara. Il trend è nuovo e destinato a crescere. A patto che la birra sia di qualità

Italia sempre più terra di publican, gestori di pub dove si beve solo birra artigianale, non pastorizzata, spesso neppure filtrata, senza coloranti né conservanti. Solo pochi anni fa i microbirrifici non arrivavano a 50 e oggi sono quasi 400. Un’idea alternativa per distinguersi dai tanti locali anonimi e che promette un buon guadagno è quella di aprire un beer pub. «In un contesto di mercato più che favorevole, sono le birre artigianali di ultima generazione ad avere le migliori potenzialità di crescita» sostiene Nicola Utzeri, editore di www.fermentobirra.com, il primo web magazine dedicato alla birra di qualità. Merito dei tanti festival organizzati per promuoverle, del forte interesse mediatico, ma soprattutto dei consumatori che dimostrano di preferire la qualità alla quantità, anche quando bevono birra». Al momento, in tutta Italia, i beer pub che vendono esclusivamente birra artigianale non sono nemmeno 200 e si trovano in prevalenza al Nord e a Roma, dove sono anche meta di moltissimi turisti. Sono locali che funzionano alla grande persino in zone semisperdute, se si fanno efficaci azioni di divulgazione sul territorio e si sfruttano le enormi potenzialità di Internet tra social network, blog e portali del settore come www.cronachedibirra.it e www.movimentobirra.it

Dolci, amare, italiane, straniere

Come emergere? «La differenza la fa soprattutto il publican – continua Utzeri – che deve saper trasferire al pubblico con passione la propria cultura birraria, interpretarne i gusti e guidare la scelta». Massima cura va sempre prestata al servizio, a cui gli amanti della birra fanno molta attenzione, e bisogna tener vivo il locale con l’organizzazione di degustazioni e happy hour.

«I beer bar si caratterizzano per l’ampia gamma di birre in vendita, tutte rigorosamente artigianali: anche 40-50 spine nei locali più grandi, di cui alcune a rotazione per avere un po’ di tutto tra dolci, amare, di vari stili, italiane e straniere, e una carta di 200-300 birre in bottiglia, da bere sul posto e/o da asporto» commenta Teo Musso (foto a pag. 55), produttore della birra artigianale Baladin e proprietario dell’Open Baladin di Roma e del punto pilota di Piozzo in provincia di Cuneo, con nuove aperture in programma nelle maggiori città italiane e la possibilità di entrare in partnership (www.birreria.com).

Spillatura o pompa?

È consigliabile introdurre almeno tre-quattro birre a pompa, diffuse nei Paesi anglosassoni, da azionare con la forza del braccio anziché la classica spillatura. Sono senza anidride carbonica, non hanno schiuma e piacciono a molti perché non gonfiano lo stomaco e sono poco alcoliche. Per soddisfare i birrofili doc vale la pena trattare birre di cosiddetti “vintage” o in edizione limitata. Quasi tutti scelgono di fare la ristorazione, spesso solo con panini, piadine, tartine di salumi e formaggi tipici.

Investimenti e ricavi

«Per aprire un beer pub può bastare un locale di 40-50 metri, da arredare con creatività per dargli una personalità unica: protagonista deve essere il bancone, poi ci vogliono espositori e scaffalature per le birre in bottiglia e le immancabili lavagne con la carta delle birre (anche a sorpresa) e il menu del giorno» spiega Manuele Colonna, socio insieme a Fabio Zanioli del “Ma che siete venuti a fà” (www.football-club.com), aperto nel 2001 a Roma Trastevere e definito il miglior pub al mondo dal sito di rating della birra (www.ratebeer.com).

Tra impianto di spillatura (10mila-15mila euro per 10-15 spine, compresa la cella frigorifera), il bancone (a partire da 4mila-5mila euro, in base alla dimensione e alla qualità), l’arredamento e la predisposizione dei locali, si parte da 50mila euro fino a 200mila-250mila euro per un megapub di 300-400 metri con una cinquantina di spine e decine di tavoli. In più c’è il costo per rilevare una licenza di somministrazione (vedi box), che può richiedere anche decine di migliaia di euro, a meno che l’amministrazione comunale ne rilasci di nuove, soprattutto se si decide di aprire l’attività alla periferia di una grande città o in un paese minore. Con 15mila-20mila euro si compra la prima fornitura di fusti e birra in bottiglia, mentre se si fa da mangiare ci vogliono almeno altri 5mila euro per quel minimo di scorte. Se l’attività è di piccole-medie dimensioni il capitale rientra nell’arco di uno-due anni. Il prezzo della birra artigianale non si discosta molto dal prodotto industriale: una birra piccola da 0,2 cl viene venduta a 3,5-4 euro mentre una media da 0,4 cl costa 5-6 euro. Considerato che le spine costano in media 3,5-4 euro al litro, il ricarico è circa del 200%, tenuto conto di un 15% di prodotto che va perso con la spillatura. Ci sono però anche spine da 2-3 euro al litro dove i guadagni sono maggiori. Il ricarico è più basso sulle vendite in bottiglia dove il prezzo al pubblico viene raddoppiato. A far guadagnare più di tutto è sempre la ristorazione che ha margini di oltre il 300-400%. Alla fine quanto ci si ritrova in tasca? «Tolte le spese di affitto, personale (in un locale di 100 metri bisogna essere almeno in quattro-cinque), utenze, commercialista e altri costi generali, resta anche il 30% dei ricavi (ante imposte)» dichiara Manuele Colonna. Considerato che ci sono locali che il sabato sera fanno più di 600-700 scontrini a una media di 8-10 euro l’uno, si potrebbe dire: buona birra a tutti.

Facciamo due conti

› 50mila euro: investimento minimo per impianto di spillatura con 10 spine e il bancone.

› 15mila-20mila euro: prima fornitura di fusti di birra.

› Una birra da 0,2 cl si vende a 3,5-4 euro.

› Una birra da 0,4 cl si vende a 5-6 euro.

› 200% il ricarico.

› Utili uguali a 30% dei ricavi.

La burocrazia

Requisiti per fare il mestiere

Il titolare. Come tutti i pubblici esercizi, anche i beer pub prevedono per il titolare il possesso dei requisiti morali-professionali stabiliti dall’ex iscrizione Rec e soprattutto c’è l’obbligo di licenza comunale per l’attività di somministrazione con eventuale servizio di tavola fredda e/o calda.

L’autorizzazione. I locali devono avere l’autorizzazione sanitaria della Asl (meglio richiedere un sopralluogo preventivo prima della stipula del contratto di affitto) e la certificazione Haccp per l’igiene degli alimenti. Diverse Regioni hanno reintrodotto il libretto di idoneità sanitaria per il personale.

I documenti. Necessario, inoltre, aprire la Partita Iva e fare in via telematica la Comunicazione Unica di avvio dell’impresa (ComUnica) al Registro della Camera di commercio che lo comunica all’Agenzia delle Entrate, Inps e Inail. È prevista un’autocertificazione per la valutazione del rischio d’impresa (D. Lgs. 81/08), la comunicazione al Comune degli orari di apertura e la richiesta di autorizzazione per l’insegna. Infine, se si vuole posizionare su strada qualche tavolino bisogna fare domanda per l’occupazione del suolo pubblico e pagare annualmente una tassa in base ai metri occupati.

La storia

Da 0 a 3 locali in tre anni

Il BQ è la storia di tre locali di successo dove si vende solo birra di prima scelta, aperti in meno di tre anni nel centro di Milano (www.b-q.it). Il proprietario è Paolo Polli, 45 anni e da sempre una passione per la birra artigianale. è partito con 100mila euro e il locale di via Losanna. Rientrato dall’investimento dopo un anno, ha aperto altri due locali.

Come partire con il piede giusto?

«Per essere un bravo publican, oltre a tanta passione, ci vuole competenza. Ci sono parecchi corsi organizzati dalle associazioni (io presiedo www.degustatoribirra.it), che in poche lezioni forniscono un’infarinatura, dopo di che ci si può aiutare moltissimo con Internet, le fiere e la visita dei locali più rinomati del mondo».

Come si fa a scegliere la birra artigianale?

«In base alla qualità, comprando da produttori/distributori solo dopo aver assaggiato di persona. I birrifici artigianali, nazionali e non, si trovano facilmente sul Web (www.fermentobirra.com, www.mondobirra.org) o rivolgendosi alle associazioni di categoria come l’AssoBirra (www.assobirra.it) e l’UnionBirrai (www.unionbirrai.com). Nella scelta del mix da proporre tra marchi italiani e stranieri, è bene tener conto anche degli eventuali flussi turistici della zona per andar incontro ai gusti degli avventori».

Pro e contro del business?

«È un’idea nuova che riscuote molto successo e che dà buoni risultati quando si fanno almeno 100 litri di spine e qualche decina di bottiglie al giorno. Però, con la birra artigianale bisogna saperci fare, non solo perché la spillatura richiede percorsi e tempi mirati, ma anche per la cura e la pulizia dell’impianto e nello stoccaggio dei fusti, data la forte deperibilità del prodotto non pastorizzato».

chi ti finanzia

›  Tra le opportunità pubbliche di finanziamento in corso, si segnala il D. Lgs n.185/2000 Titolo II – per le Microimprese che prevede, per società di persone con progetti di investimento fino a 129mila euro, l’erogazione di contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati che  possono coprire il 100% delle spese ammissibili. Per il primo anno c’è anche un fondo perduto sui costi di gestione.

INFO: www.invitalia.it

 

›  È opportuno, inoltre, rivolgersi all’Assessorato Attività produttive della propria Regione per verificare l’esistenza di eventuali aiuti concessi dall’Ue o dalle amministrazioni locali a tasso scontato, a fondo perduto o come credito d’imposta.

per saperne di più

Su carta

Un’altra birra!, di Massimo Acanfora. 265 birrifici artigianali in Italia. Luoghi, storie e persone di un mondo in “fermento”. Altreconomia, 13 euro, www.altreconomia.it

sullo smartphone

BeerMobile… la App di Heineken Italia per scoprire le migliori birre e birrerie d’Italia. Scaricabile gratis su www.beermobile.it

Monica Gadda

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