Nella ricerca incessante di comodità e praticità, un numero crescente di italiani sta optando per il servizio di consegna di cibo a domicilio. Secondo un recente rapporto di The European House-Ambrosetti, ben il 71% degli italiani utilizza le piattaforme di food delivery, contribuendo ad un mercato in rapida crescita valutato a 1,8 miliardi di euro, con un tasso di crescita annuo del 39%. Sebbene questo sviluppo porti indubbi benefici economici, solleva anche preoccupazioni legate alla sicurezza alimentare.
Uno studio condotto da SiLa, un laboratorio specializzato in analisi microbiologiche alimentari, per la rivista “Gambero Rosso” ha rivelato dati inquietanti. In un contenitore utilizzato per la consegna di cibo da una delle maggiori piattaforme di food delivery, sono state identificate oltre 200 colonie di batteri.
Questi organismi, localizzati sul fondo e sulle pareti laterali del contenitore, sono il triplo di quelli che si troverebbero sul pavimento di un ristorante che è stato sanzionato per violazioni della sicurezza alimentare dai Nas (Nuclei Antisofisticazioni e Sanità).
Mentre i ristoranti fisici sono soggetti a controlli rigorosi da parte dei carabinieri, delle Asl (Aziende Sanitarie Locali) e dell’Ispettorato Centrale per la Repressione delle Frodi, il panorama della regolamentazione per il food delivery rimane incerto. Ad esempio, non è chiaro chi sia responsabile della verifica delle condizioni di trasporto del cibo.
Le linee guida esistenti indicano che i cibi deperibili, cotti e da consumare caldi, dovrebbero essere mantenuti ad una temperatura compresa tra 60 e 65 gradi Celsius, mentre quelli destinati al consumo freddo dovrebbero essere conservati a temperature inferiori a 10 gradi. L’inosservanza di queste norme potrebbe fornire un terreno fertile per la proliferazione di batteri, con rischi potenziali per la salute dei consumatori.