Angelo Inglese

Angelo Inglese e le sue camicie come opere d’arte

Di
Melania Guarda Ceccoli
10 Luglio 2022

Ginosa, a 20 km da Matera, è un piccolo paese della Puglia, conosciuto per la Gravina, una straordinaria formazione archeologica di anfratti, grotte e chiese scavate nella roccia.

È anche la sede di G. Inglese, nota agli appassionati di sartoria, e catapultata sulle prime pagine dei giornali nel momento in cui Angelo Inglese è stato selezionato dal principe William, duca di Cambridge, per realizzare la camicia per il suo matrimonio.

Questa eccellenza del Made in Italy ha vestito primi ministri, prìncipi, capi di Stato e personalità in tutto il mondo.

È qui che il maestro della sartoria porta avanti una tradizione di famiglia iniziata nel 1955, con la nonna che cuciva camicie con le sue macchine Singer.

Angelo Inglese aveva solo 20 anni quando, mancato il padre, decide di prendere in mano le redini dell’azienda che altrimenti avrebbe chiuso i battenti, dando vita così alla terza generazione di una dinastia di sarti di Ginosa di Puglia.

Ginosa

La vostra è un’azienda di famiglia che mette insieme tradizione e artigianalità, ma in un’era tutta digitale. Qual è il vostro segreto?

«Cerchiamo sempre di portare avanti l’idea di tradizione, qualità, un prodotto contemporaneo che possa piacere a tutti. I nostri capi non hanno né tempo né un’utenza precisa. Non passa mai di moda. Tutti questi ingredienti, messi insieme, fanno il segreto della nostra azienda».

C’è ancora voglia di imparare il mestiere artigianale?

«I social e i nuovi mezzi di comunicazione non riescono a coinvolgere i giovani nel mondo dell’artigianato. E mancano scuole specializzate, che servirebbero non solo per le aziende di settore (che non trovano personale qualificato), ma soprattutto per le nuove generazioni che, prima o poi, dovranno confrontarsi con l’artigianalità.

Le istituzioni e le imprese dovrebbero creare progetti, anche utilizzando i social, per assicurare ai giovani un lavoro in questo settore. A oggi questo è un grande problema.

Stiamo vivendo un momento in cui tutti stanno tornando alle cose semplici e tradizionali, quindi oggi più che mai c’è bisogno di competenza e conoscenza».

Come siete arrivati a vestire personaggi come Donald Trump e il principe William?

«I giapponesi sono stati i primi a innamorarsi delle mie camicie.

Proprio grazie all’ex Primo ministro giapponese Yukio Hatoyama infatti, si deve il primo vero boom di notorietà. Visto che Hatoyama indossava sempre le nostre creazioni, un giorno si presentò in pubblico con una camicia stravagante, che fu definita “fashion disaster”, la stampa pensò fosse una nostra produzione, ma in realtà non l’avevamo creata noi.

Allo stesso tempo però, questo evento ci diede moltissima visibilità. Da lì in poi infatti, personalità e vip hanno bussato alla nostra porta, arrivando così anche a Donald Trump e al principe William.

Il valore aggiunto sicuramente è dovuto alla qualità del prodotto.

Il nostro cavallo di battaglia è la camicia su misura, prima sviluppata su carta, tagliata a mano e poi assemblata con macchine lineari. Tutto il resto è fatto a mano, fino alle asole e alle iniziali. A volte occorrono fino a 30 ore di lavoro».

AngeloInglese

Qual è stato il momento più difficile e il più bel traguardo raggiunto in questi anni?

«Circa 20 anni fa ho acquistato una struttura nel centro storico di Ginosa ed era iniziato un sogno.

Avevamo iniziato il restauro del seicentesco Palazzo dell’Arciprete, durato 8 anni, poi ci fu uno smottamento tra centro storico e centro nuovo.

Purtroppo si sono persi anni di lavoro e ancora oggi non c’è una strada per poter continuare i lavori di ristrutturazione.

Il palazzo doveva raccontare la nostra storia, avevamo pensato di spostare lì le nostre attività e portare i clienti a far vedere le nostre lavorazioni.

Ginosa è a 20 km da Matera ed è molto suggestiva. Avremmo fatto conoscere il nostro territorio.

Dopo questo problema siamo rimasti nella piccola sede storica e non abbiamo potuto portare avanti il sogno di offrire un servizio ai lavoratori e al turismo in generale.

Volevamo tornare a vivere quel centro storico con altre attività, far tornare a vivere il borgo.

Il traguardo più bello non si riduce a un unico momento, ma è quello che vivi tutti i giorni, quando hai clienti soddisfatti, i rapporti che instauri con loro, tra amicizia e rispetto».

Quali sono le prospettive future per il marchio Inglese?

«Difficile pensare a un nuovo progetto. Abbiamo aperto le porte a possibili investitori, ma vogliamo un partner che condivida le nostre idee.

La tutela del prodotto e la qualità vengono prima di tutto. Vorremmo invece puntare sul digitale, facendo conoscere ciò che facciamo, chi siamo e dove viviamo.

Non vogliamo fermarci alla solita vendita online, vogliamo aprire le porte al nostro laboratorio per far vedere come lavoriamo».

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