La crescente attenzione dell’opinione pubblica nei confronti dei temi legati alla sostenibilità non fa sconti neanche al Bitcoin. Da diversi anni infatti i critici della criptovaluta regina hanno messo sotto accusa l’eccessiva quantità di energia necessaria a produrre la moneta virtuale.
Tutta colpa di Satoshi!
Per capire di cosa stiamo parlando bisogna fare un passo indietro e spiegare per sommi capi cosa sono la blockchain e il mining. La prima è un registro dati decentralizzato, condiviso, crittografato e immutabile. Somiglia a un raccoglitore ad anelli e ogni foglio di carta contenuto al suo interno è assimilabile al blocco sul quale vengono trascritte informazioni che non si possono né cancellare né stracciare. Il loro inserimento e la validazione sono vincolati a un meccanismo di consenso distribuito su tutti i nodi della rete.
Quando Satoshi Nakamoto (pseudonimo dietro il quale si cela il fondatore della blockchain Bitcoin, ndr) progettò nel 2008 la sua “catena a blocchi”, egli decise che, in assenza di intermediari come le banche centrali, la nuova valuta doveva essere elargita come premio a coloro i quali fornivano la potenza di calcolo essenziale a convalidare le operazioni. Attività per la quale occorrono dei supercomputer che competono tra loro per confermare le transazioni di Bitcoin attraverso una gara a chi risolve prima problemi matematici complessi. Questa modalità di generazione viene definita mining, sulla falsa riga dei minatori che estraevano l’oro dai giacimenti auriferi.
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