L’home swapping cresce, in tutto il mondo. Chi scambia la casa in vacanza risparmia, fa scelte
ecofriendly, socializza. E chi gestisce gli scambi vede crescere il suo business.
In vacanza, senza spendere per l’hotel o l’appartamento in affitto: si può, con l’home swapping.
Il sistema è semplice. Si mette la propria casa a disposizione di un gruppo di persone che fanno la
stessa cosa. Individuata l’abitazione che interessa, si contatta chi la mette a disposizione e si
propone lo scambio. L’uno soggiornerà presso l’altro per un certo periodo, godendo di un ambiente
attrezzato e confortevole, inserito in un tessuto sociale e in una zona tutta da scoprire, in città e zone
conosciute e attrattive, ma anche in piccole località lontane dalle rotte turistiche.
In alternativa allo scambio classico diretto, c’è lo scambio differito, dove uno dei due proprietari fa
slittare la sua vacanza in un altro periodo, o lo scambio tramite punti, che prevede l’accumulo di
punti o crediti, quando si cede la casa, utilizzabili per averne una a scelta in un altro momento. In
alcuni network si può offrire ospitalità, senza andarsene. Un modo per conoscere altri membri con
cui fare amicizia o scambio, in seguito.
Un fenomeno che cresce
Ogni 2 minuti nel mondo si conclude uno scambio casa. L’home swapping in epoca di sharing
economy è un fenomeno in crescita esponenziale, come altre forme di ospitalità, tra cui gli affitti
brevi e l’hosting, che però monetizzano meglio. Lo evidenzia una ricerca del 2020 dell’University
of the West of England, Bristol, UK. Lo scambio casa produce una ricchezza diversa: fa
risparmiare, valorizza immobili e luoghi, che si mettono in mostra e attirano gente. Fa vivere case
sfitte e seconde case, anche inserite in circuiti di hosting, come Airbnb. Risponde ai bisogni di chi
sceglie un turismo non convenzionale, crede nella condivisione e nel consumo collaborativo, per
ridurre l’impatto ambientale. Tutti principi anticrisi dell’economia della condivisione, che insegna i
vantaggi dell’accesso temporaneo ai beni e la bellezza di vivere in un posto, anche in vacanza,
come chi ci abita tutto l’anno. Senza sprechi e riducendo la nostra carbonfoot print.
I pionieri e le declinazioni
L’home swapping non è una novità. Le prime reti sono nate settant’anni fa. Nel 1953 un professore
di New York, David Ostroff, lancia lo scambio casa con altri insegnanti. Il passaparola allarga il
giro e il primo Ostroff’s “Vacation Exchange Club” diventa Homelink Home Exchange network,
ora diffuso in tutto il mondo, con 27 rappresentanti nazionali. Nel 1981 collabora anche con
Intervac, altro network nato da insegnanti nel 1953, tra Svizzera e Olanda, che attualmente
favorisce gli scambi casa tra 30 mila famiglie in 50 paesi del mondo.
La storia di Homelink esemplifica il cammino di molte reti: dalla stampa di cataloghi delle case a
disposizione, si passa negli anni 90 al portale sul web, che semplifica e velocizza l’iscrizione e
l’offerta delle case, nonché i contatti, gli accordi per lo scambio tra chi le abita, le recensioni.
Il business scatta quando l’organizzazione lascia l’associazionismo per sviluppare un modello
imprenditoriale dove tutti guadagnano, a cominciare dal portale, che produce profitti, dà lavoro a
persone, crea referenti in aree geografiche, sviluppa servizi e vivacizza indirettamente il tessuto
economico dei luoghi dove le case attirano nuovi abitanti temporanei.
Chi scambia deve corrispondere un canone annuale al portale: le tariffe variano nei vari network,
dai 100 euro circa in su. Ma, dicono le reti, sborsa fino al 95% in meno rispetto a quanto
spenderebbe in un hotel o altra struttura turistica. I portali in genere offrono modulistica,
informazioni, consigli su come proporre e predisporre al meglio l’abitazione, formule assicurative…
Alcuni si specializzano. Thirdhome punta sul lusso e sullo scambio non simultaneo delle seconde
case. Fondata nel 2010 da Wade Shealy negli Usa, oggi ha 14mila proprietà in oltre 100 paesi. La sua fee di ingresso è alta, ma le abitazioni disponibili hanno un valore medio di oltre 2,4 milioni di
dollari e sono in location esclusive.
Invece c’è chi punta sul design e su case dotate di personalità. Agust Juste ed Eva Calduch, designer
di Barcellona, hanno creato Behomm, un network tra creativi.
Un progetto globale
Home Exchange è una rete che detiene il 93 % del mercato globale, con 150mila membri in 145
Paesi, in crescita del 50% nel 2023. Negli ultimi quattro anni, Emmanuel Arnaud, Amministratore
Delegato, e Charles-Edouard Girard, Presidente Esecutivo, hanno raccolto un totale di 50 milioni di
euro. Sono partiti con GuesttoGuest, la prima società, poi acquisiscono negli anni Trampolinn,
Itamos, HomeForHome e Knok. Nel 2017 entrano HomeExchange, pioniere americano, che poi
diventa il brand del gruppo, la canadese Echangedemaison e NightSwapping.
«Il nostro obiettivo era unire i punti di forza di queste diverse piattaforme in un'unica grande
comunità. Più riuniamo gli scambiatori di case del mondo, più opportunità di scambio ci saranno e
più renderemo i viaggi accessibili al maggior numero possibile di persone» spiegano i fondatori.
L’azienda ha 130 dipendenti e sedi a Cambridge, nel Massachusetts, e a Parigi. È certificata B Corp
dal settembre 2022. Il suo modello di business si basa su un abbonamento di 160 euro all'anno, che
comprende scambi illimitati, un servizio di assistenza, assistenza in caso di cancellazione o
inadempienza, protezione in caso di danni materiali e diversi vantaggi per i soci.
«Puntiamo sulla conciliazione» spiegano i fondatori «in equilibrio tra la necessità dei residenti di
continuare ad avere alloggi disponibili anche nelle zone turistiche più ambite e il bisogno degli
amministratori locali di fare della loro città una destinazione accogliente per chi la visita: in questo
modo si bilancia lo sviluppo del turismo con la conservazione degli alloggi in affitto per integrare il
mercato alberghiero esistente. A differenza di alcuni modelli di locazione turistica ammobiliata, lo
scambio casa non porta a una perdita di alloggi in affitto a lungo termine disponibili per i residenti
locali. Su HomeExchange il 70% delle abitazioni sono prime case».
I numeri e l’Italia
Home Exchange segnala che sono già stati pianificati oltre 50mila soggiorni nel 2024. L’anno
scorso tramite il portale sono avvenuti 324.000 scambi (+52%), oltre 17mila nel nostro Paese, il
quarto mercato più attivo su HomeExchange.
La resistenza a mettere la propria casa in mano ad altri fa parte del nostro Dna, ma Home Exchange
assicura che nel 99,7% degli scambi non ci sono danni o imprevisti. Sta di fatto che nella
community italiana (6.258 membri) sono stati già pianificati 3400 gli scambi per il 2024. Le città
privilegiate sono Roma, Firenze, Venezia, Milano, e Torino, le regioni sono Lazio, Toscana,
Lombardia, Veneto, e Sicilia.
Molti i pro, all’insegna della condivisione e del relax. Un contro dell’home swapping? «Richiede
tempo, non si può trovare uno scambio in tre clic. Possono essere necessarie diverse settimane per
parlare con i membri e concludere uno scambio. È un processo più lento, che si contrappone al
consumismo. Un freno per alcuni, in un’epoca in cui tutto può essere fatto molto velocemente».
Lo scambio casa può essere declinato in modo imprenditoriale da un proprietario di casa o di più
case? «HomeExchange è privo di qualsiasi logica finanziaria, non ci sono transazioni tra i membri,
tutto si basa sull'ospitalità e sulla fiducia. Non c'è quindi modo di trasformarlo in un business».
Eppure nel mondo non ci risulta che operi un’associazione sovranazionale, che unisca gli operatori
e i network scambio casa con obiettivi comuni e una deontologia condivisa.
Un motivo ci sarà, anche economico, se ogni piattaforma gestisce, cura e fa crescere il numero dei
propri iscritti, nel mondo.