Usare le “smart drug” per migliorare le prestazioni cognitive, da sani, è “poco intelligente”.

Usare le “smart drug” per migliorare le prestazioni cognitive, da sani, è “poco intelligente”.

Di
Angelica Giambelluca
23 Ottobre 2023

Basta un poco di zucchero e la pillola va giù. E di colpo si diventa più produttivi, veloci, pieni di energia. La direbbe così oggi Mary Poppins, a vedere come le smart drug, i farmaci che aumentano le capacità cognitive di chi li assume, stiano prendendo campo tra studenti universitari e professionisti che puntano a performare in modo sempre più brillante. Ma sono farmaci per persone malate, non sane. E gli effetti collaterali a lungo termine su chi ne abusa, senza averne clinicamente bisogno, non sono stati studiati. 

Ergo, abbiamo un problema di salute pubblica silente, ma importante. Parliamo soprattutto di tre farmaci – metilfenidato, modafinil e destroanfetamina – usati ad esempio nei pazienti con ADHD (deficit di attenzione e iperattività) ma che oggi sono assunti anche dagli studenti universitari per prepararsi agli esami più difficili, e dai professionisti per combattere la narcolessia, lavorare di più e dormire di meno. 

Usare le “smart drug” per migliorare le prestazioni cognitive, da sani, è “poco intelligente”.

Aumenta il consumo di PCE a livello globale

In un sondaggio con decine di migliaia di partecipanti, pubblicato sull’International Journal of Drug Policy, gli autori hanno riscontrato come l‘uso di smart drug per fini non medici in Usa sia passato dal 20% nel 2015 al 30% nel 2017. Nel medesimo periodo, in Francia è passato dal 3% al 16%, mentre nel Regno Unito è cresciuto dal 5% al 23%. Le prove aneddotiche sull’efficacia di questi farmaci suggeriscono alcuni benefici, come maggiore concentrazione, motivazione più intensa e maggiore energia per stare al passo con una cultura che valorizza il duro lavoro. Tuttavia, l’uso non medico delle smart drug ha superato di gran lunga la ricerca scientifica, e gli studi esistenti mostrano benefici misti. Usarle come fossero caramelle, soprattutto senza nessuna necessità clinica certificata, potrebbe avere degli effetti sul lungo periodo che ad oggi non sono stati adeguatamente analizzati

Aumenta la produttività, ma cala la qualità

Ma partiamo intanto dal dilemma principale: questi farmaci aumentano davvero le abilità cognitive? A rispondere a questi dubbi ci ha pensato un gruppo di ricercatori dell’Università di Melbourne e dell’Università di Cambridge che – con un lavoro pubblicato su Science Advances – suggeriscono come questi farmaci, invece di rendere gli utenti più intelligenti, sembrano in realtà danneggiare le prestazioni cognitive. Gli autori hanno testato gli effetti dei tre farmaci già citati – metilfenidato, modafinil e destroanfetamina – su un compito cognitivo progettato per simulare più da vicino le complessità dei problemi reali che affrontano le persone che potrebbero far uso di queste sostanze: riempire completamente uno zaino secondo spazi e pesi specifici. Ai partecipanti è stato chiesto di scegliere un sottoinsieme di oggetti con pesi e valori diversi da inserire in uno zaino. Sono stati somministrati i tre farmaci e un placebo. Quello che ci si aspettava era l’aumento della motivazione e dello sforzo dedicato al compito, con un aumento generale della qualità della prestazione. Risultato? I farmaci non hanno influenzato significativamente la probabilità di trovare una soluzione per il problema dello zaino, ma hanno causato una significativa diminuzione del valore complessivo raggiunto. Inoltre, i partecipanti hanno impiegato più tempo e fatto più mosse (mettendo e togliendo oggetti dallo zaino) mentre erano sotto l’effetto dei farmaci, indicando un aumento dello sforzo. Quando erano sotto l’effetto delle sostanze, alcune persone tendevano a essere meno coerenti nelle loro scelte, il che ha influenzato negativamente la qualità dello sforzo. Ma non finisce qui: i farmaci hanno avuto un effetto dannoso anche sull’efficacia delle prestazioni, benché aumentassero la ricompensa soggettiva e riducessero lo sforzo percepito.  In breve, le smart drug spingevano gli utenti a lavorare di più, ma con risultati meno produttivi: un quadro di miglioramento cognitivo poco convincente.

Cosa intendiamo per produttività

Produrre, produrre, produrre. Se possibile velocemente, e in modo efficiente. Questo è il mantra del nostro tempo. Ma come ha dimostrato questo studio, la produttività non è sempre sinonimo di intelligenza autentica. Sembra che alcune smart drug possano aumentare la motivazione e la voglia di lavorare, ma ciò non si traduce necessariamente in una migliore capacità di pensiero sistematico o risultati di alta qualità. Sebbene questa ricerca rappresenti solo un singolo studio con un campione di 40 partecipanti, e quindi i risultati non possono essere generalizzati completamente, è interessante notare che il compito cognitivo scelto per la simulazione era particolarmente difficile e progettato per approssimare le situazioni del mondo reale. Ciò solleva la questione di cosa possa andare male sotto l’influenza delle smart drug e di come queste possano influire sulla vita quotidiana in modi imprevisti.

I rischi a lungo termine 

Queste sostanze possono anche comportare rischi a lungo termine che ancora non sono stati adeguatamente valutati. Altri studi mostrano che il miglioramento farmacologico delle capacità cognitive individuali potrebbe danneggiarne altre, senza avere un effetto significativo sulla capacità complessiva di un individuo. Gli effetti negativi possono verificarsi quando queste sostanze vengono utilizzate insieme ad altre medicine, a dosi elevate di caffeina o da individui più sensibili alle sostanze o con predisposizione a determinate malattie mentali. Sarebbe pertanto utile confrontare i benefici, i costi e i rischi delle smart drug con altre strategie e pratiche di miglioramento cognitivo più tradizionali, come un’alimentazione sana, l’attività fisica e il sonno adeguato, per capire meglio il loro ruolo e impatto.

 

Usare le “smart drug” per migliorare le prestazioni cognitive, da sani, è “poco intelligente”.

Articolo pubblicato su Millionaire di settembre 2023.

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