Perché da oggi è anche un affare (serio) per imprese e territori. Il sigillo UNESCO diventa una leva potente per città, borghi e aree interne, capaci di trasformare trattorie, mercati e tradizioni locali in un patrimonio vivo, che ogni giorno genera valore
Non è solo una vittoria culturale. È una mossa strategica. Con l’ingresso ufficiale della cucina italiana nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, l’UNESCO certifica qualcosa che il mercato globale aveva già intuito: il cibo italiano non è solo eccellenza gastronomica, ma un sistema economico, identitario e competitivo.
Per la prima volta nella storia dei riconoscimenti UNESCO viene premiata una tradizione culinaria nella sua interezza. Non un singolo piatto, ma un modello fatto di biodiversità, sostenibilità, gesti quotidiani, filiere locali e relazioni sociali. Un patrimonio vivo, che ogni giorno genera valore.
«La cucina italiana è un rito collettivo riunito in 60 milioni di cucine diverse», ha commentato Massimo Bottura. «Non è solo un insieme di piatti o ricette, ma un linguaggio universale fatto di gesti antichi, che permette di condividere valori, appartenenza ed è anche pratica sociale». Una definizione che racconta bene perché questo riconoscimento non riguarda solo chef e ristoranti, ma l’intero Paese.
Tradotto per chi fa impresa: la cucina italiana diventa un asset ufficiale del Made in Italy. La candidatura – dal titolo “Cucina italiana fra sostenibilità e diversità bio-culturale” – mette al centro temi oggi decisivi per consumatori, investitori e policy maker: lotta allo spreco, riduzione del consumo di risorse, tutela dei territori, inclusività. Valori che possono trasformarsi in posizionamento, storytelling e vantaggio competitivo. Per le aziende del food e dell’agroalimentare, il riconoscimento rafforza la credibilità sui mercati internazionali e aggiunge peso nella battaglia contro l’Italian sounding, che ogni anno vale miliardi sottratti alle filiere autentiche.
«Per noi cuochi ha un valore particolare – ha spiegato lo chef Niko Romito a Repubblica – è un riconoscimento importante del nostro lavoro ma anche una grande responsabilità. Dobbiamo rispettare questo patrimonio culturale, custodirlo e, allo stesso tempo, essere in grado di interpretarlo, farlo evolvere. Identità e tradizione hanno radici profonde, ma non sono, e non possono essere, statiche. La tradizione non è intoccabile; è data da un insieme di valori essenziali che guidano una crescita continua».
Il turismo è l’altro grande beneficiario. Oggi si viaggia sempre più per mangiare, per scoprire territori attraverso la tavola, per vivere esperienze autentiche. «Quando parliamo di cucina, stiamo parlando dell’Italia», ha ricordato Peppe Zullo. «Anche il turismo è legato in gran parte ai sapori della nostra tavola». Il sigillo UNESCO diventa così una leva potente per città, borghi e aree interne, capaci di trasformare trattorie, mercati e tradizioni locali in motori di attrattività economica.

C’è poi il fronte dell’innovazione: food tech, tracciabilità, logistica sostenibile, packaging intelligente, piattaforme digitali per valorizzare le filiere. La tradizione non viene congelata, ma legittimata come base su cui costruire il futuro. Il messaggio per imprenditori e startupper è chiaro: la cucina italiana non è solo una storia da raccontare. È una piattaforma su cui investire. E da oggi, è anche patrimonio dell’umanità.
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