pizza berberè

«Cercavamo una pizza buona, non c’era. L’abbiamo inventata»

Di
Silvia Messa
16 Gennaio 2018

I fratelli Matteo e Salvatore Aloe arrivano dalla Calabria, ma la loro avventura nella ristorazione comincia a Bologna, dove studiano Economia con una tesi sul marketing. Aprono la loro prima pizzeria Berberè nel 2010, a Castel Maggiore. Oggi, hanno 31 e 38 anni, e hanno sette locali di proprietà. Il loro obiettivo: servire pizze buonissime, in modo gentile, in posti bellissimi. Hanno persino avviato Radio Alice, a Londra, un locale in partnership con Emma King, fondatrice di Gail’s Artisanal Bakery.

Alle spalle della loro pizza, c’è la ricerca sugli ingredienti (farine elaborate con Alce Nero, prodotti da presidi Slow Food) e lo studio degli impasti, sottoposti ad antichi metodi di panificazione. Non le definiscono pizze gourmet, ma “artigianali, stagionali, leggere e gustosissime”. Le pizze sono servite una alla volta, in fette, così che i commensali possano gustare più sapori, con birre artigianali, vini biodinamici e bevande italiane. Gli ambienti cambiano nei vari locali, sono caldi, le pareti arricchite da wall painting, manifesti e oggetti di design. La cucina è a vista. Una web radio, Pizza or Vinyl, diffonde musica per intenditori.

Perché moltiplicarvi?

«Proponiamo un prodotto ottimo a prezzi competitivi: l’apertura di nuovi locali ci permette di mantenere l’equilibrio economico. La gestione di tutti i locali è diretta, possibile solo se s’investono risorse nella formazione delle persone» spiega Salvatore.

Dall’idea all’impresa: quanto avete impiegato?

«Ci abbiamo messo tre anni prima di ottimizzare la ricetta della nostra pizza e standardizzare il processo produttivo, in modo che l’esperienza di gusto fosse uguale in ogni locale».

Che scelte avete fatto?

«Per ogni apertura abbiamo cercato una location che rispecchiasse il nostro mood, in quartieri che hanno una forte identità. Posti dove una bella pizzeria ci sta bene, dove vivono persone, si ritrovano gli amici».

Che ruolo vi riservate?

«Curiamo la gestione e lo sviluppo del progetto, delle nuove aperture, della ricerca, formiamo i manager responsabili e interagiamo con loro» risponde Matteo, forte delle sue esperienze nelle cucine di grandi chef. «Ci siamo ispirati ai restaurant group internazionali, dove ci sono persone addette anche ai più piccoli particolari: sono quelli che fanno la differenza. Io mi occupo di standardizzare i processi di creazione delle pizze in menu stagionali e del progetto di crescita interna delle persone. Salvatore ricerca le location».

Quanto costa un ristorante?

«Gli investimenti vanno da 300mila a 500mila euro. Le scelte di qualità aumentano i costi, almeno quelli iniziali. La speranza è che la vita residua dei locali e il miglior comfort possano allungare la fase del loro ammortamento come una pizza con ingredienti di qualità fidelizza le persone più a lungo».

Sono pizze costose?

«Il prezzo deve essere accessibile, non è semplice se usi materie prime di qualità, ma bisogna cercare valore nelle altre maglie della catena: si parte da 5,90 euro per una pizza pomodoro, aglio e prezzemolo a un massimo di 13,50 euro per quelle riccamente farcite con salumi. Il menu stagionale è composto da 15 pizze, con prodotti provenienti da contadini e allevatori scelti secondo parametri di lavoro, di impiego della terra, di lavorazione delle materie prime a “zero compromessi”, l’85% da agricoltura o allevamento biologico».

A Londra, avete aperto in partnership: potreste farlo di nuovo?

«A Londra senza un partner già operativo sarebbe stato impossibile provarci. Per il momento l’Italia e Londra ci impegnano tantissimo, ma la formula può essere replicata».

INFO: www.berberepizza.it

Tratto dall’articolo “Pizza. Purché sia buona” pubblicato su Millionaire di novembre 2017. Per acquistare l’arretrato scrivi ad abbonamenti@ieoinf.it

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