Criptovalute: scommessa travestita o rivoluzione economica ancora incompiuta?

Di
Marco Fontana
21 Gennaio 2025

Parlare in toni meno trionfalistici di criptovalute, nei giorni in cui il Bitcoin registra l’ennesimo record e Trump e Melania si portano a casa milioni (o miliardi) di dollari con il loro meme coin, sembra anacronistico. Ma proprio in questo momento di euforia riteniamo opportuna una riflessione sulla loro ambizione che potrebbe trovare in Trump l’esecutore finale, ma finora la realtà è ben altra.

Le criptovalute sono nate con un obiettivo ambizioso: sostituire il denaro tradizionale. Bitcoin, Ethereum e i loro numerosi “cugini digitali” promettevano di rendere le banche obsolete, offrendo una forma di valuta autonoma, trasparente e universale, gestita su registri digitali incorruttibili, noti come blockchain.

Tuttavia, dopo più di un decennio, è tempo di chiederci: questa promessa è stata mantenuta?

Guardando i dati, sembra proprio di no. Secondo un rapporto della Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) negli Stati Uniti, solo il 4,8% delle famiglie possiede o utilizza criptovalute, e tra quelle senza conti bancari (la fascia teoricamente più avvantaggiata dalla decentralizzazione delle cripto), la percentuale scende a poco più dell’1%. Ma c’è di più: la stragrande maggioranza degli utenti di criptovalute, oltre il 92%, le considera esclusivamente un investimento, mentre solo il 4,4% le usa per effettuare acquisti. Un paradosso per uno strumento che ambisce a essere una “valuta”.

 

Perché le criptovalute non sono (ancora) diventate moneta?

La funzione primaria del denaro è quella di essere un mezzo di scambio. Ma perché questo sia possibile, è necessario un accordo collettivo sul suo valore. Oggi, anche se nessuna valuta legale come il dollaro o l’euro ha valore intrinseco, la loro accettazione universale è garantita da istituzioni solide e da governi che le rendono spendibili e stabili. Le criptovalute, al contrario, non godono di questa fiducia generalizzata.

Il loro valore è straordinariamente volatile: un bitcoin può valere 100.000 dollari un mese e crollare a metà il mese successivo. Questa instabilità le rende impraticabili come mezzo di pagamento. Come afferma Hanna Halaburda, economista della NYU Stern School of Business, “Se pensi che il prezzo salirà, non le spenderai per un caffè. Se pensi che il prezzo scenderà, le venderai subito. Non sono un mezzo di pagamento, ma una sorta di chip da casinò.”

 

La cripto come strumento di investimento: hype o rivoluzione?

È evidente che oggi le criptovalute non sono (ancora) utilizzate come moneta. La loro principale attrattiva è quella di essere un asset speculativo. Per molti, investire in bitcoin è una scommessa su un futuro ipotetico in cui il sistema finanziario globale adotterà queste tecnologie. Ma è una scommessa, non una certezza. Almeno per il momento – è d’obbligo ribadire.

Gli investitori in criptovalute spesso mostrano una fede quasi religiosa: anche di fronte a crolli significativi, rimangono fedeli alla filosofia del “HODL” (tenere, senza vendere). Tuttavia, questa resilienza è più emotiva che razionale. A differenza di un’azione di Microsoft o di un’obbligazione governativa, le criptovalute non hanno un valore intrinseco legato a beni reali o a flussi di cassa futuri. Non producono nulla, non sono associate a un’azienda che genera profitti, e non sono supportate da un governo.

 

L’illusione di una rivoluzione per i non bancarizzati

Un argomento spesso utilizzato a favore delle criptovalute è la loro capacità di fornire servizi finanziari a chi non ha accesso al sistema bancario tradizionale. Ma anche qui i risultati reali sono deludenti. Prendiamo l’esempio di El Salvador, il primo Paese al mondo a rendere bitcoin valuta legale. Malgrado il governo abbia offerto incentivi generosi per adottare un wallet digitale e accettare pagamenti in bitcoin, la maggior parte dei salvadoregni non ha abbracciato questa tecnologia. Molti hanno semplicemente convertito i bitcoin ricevuti in dollari e li hanno spesi, confermando che la valuta tradizionale rimane preferita.

La verità è che, in Paesi con sistemi bancari robusti e valute stabili, le criptovalute non offrono vantaggi significativi. Negli Stati Uniti, ad esempio, il 95,8% delle famiglie ha un conto bancario. Perché mai dovrebbero usare bitcoin per acquistare beni, quando dollari e carte di credito funzionano in modo più semplice, sicuro e stabile?

 

Un futuro incerto

Questo non significa che le criptovalute siano prive di utilità. In contesti con istituzioni finanziarie deboli o valute instabili, come in Venezuela o Nigeria, alcune forme di cripto, specialmente gli stablecoin, stanno trovando applicazioni pratiche. Ma questi casi sono eccezioni, non la regola.

Se le criptovalute vogliono realmente trasformarsi in una nuova forma di denaro, dovranno superare diverse sfide: ridurre la loro volatilità, ottenere una fiducia più ampia e offrire vantaggi tangibili rispetto ai sistemi esistenti. Come sottolinea Darren Aiello, professore di finanza alla Brigham Young University, “Perché le criptovalute abbiano valore come mezzo di pagamento, dobbiamo iniziare a essere pagati in esse. Solo allora potremmo vedere una vera bitcoinizzazione.

 

Una provocazione, non una verità assoluta

È importante sottolineare che questa analisi rappresenta un’opinione personale e non necessariamente il punto di vista di questa testata giornalistica. Lo scopo è stimolare una riflessione critica su un fenomeno che, al di là dell’hype, solleva interrogativi cruciali sul futuro del denaro e degli investimenti. Le criptovalute sono davvero una rivoluzione o semplicemente una nuova forma di gioco d’azzardo? La risposta, per ora, sembra pendere verso la seconda opzione, ma dall’America potrebbero cambiare tutto in pochi mesi, o meglio, in pochi giorni.

 

 

 

 

 

 

 

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