Il crowdinvesting italiano resiste, ma stenta a crescere
Esattamente un anno fa, il nuovo regolamento europeo ECSP (European Crowdfunding Service Providers Regulation) entrava in vigore, tracciando un percorso normativo comune per il crowdfunding in Europa. La trasformazione del mercato è stata notevole, ma osservando i dati emerge un elemento sorprendente: il mercato italiano del crowdfunding è riuscito, pur con le sue ridotte dimensioni, a sostenere ben 40 piattaforme attive, con costi operativi non indifferenti e una concorrenza internazionale agguerrita.
Italia: un mercato vivace, ma non senza sfide
Secondo i dati ESMA (European Securities and Markets Authority), sono 223 le piattaforme di crowdinvesting registrate in Europa, con l’Italia al secondo posto per numero di operatori. Ben 40 piattaforme italiane (ma non sono un po’ troppe per il mercato italiano?) hanno ottenuto l’autorizzazione a operare sotto il nuovo regolamento, la maggior parte delle quali già attiva prima dell’ECSP. Di queste, solo quattro sono nuovi entranti, segnale che l’ambiente italiano del crowdfunding continua ad attrarre, ma lascia ancora poco spazio per nuovi attori.
È interessante osservare che, tra le 40 piattaforme autorizzate, sei sono “ibride”, cioè operano sia in capitale di rischio (Equity) sia in prestiti (Lending), un modello di business che offre opportunità sia agli investitori che agli imprenditori, permettendo di diversificare il portafoglio di investimenti o le fonti di finanziamento. Ciò potrebbe indicare una tendenza futura verso una maggiore flessibilità operativa e specializzazione.
La competizione con gli operatori esteri
Accanto agli operatori italiani, il registro ESMA riporta 37 piattaforme estere autorizzate a operare in Italia, in gran parte provenienti da Francia e Spagna, paesi che contano rispettivamente 12 e 9 operatori. Questa presenza straniera accresce la competizione, imponendo agli attori italiani di confrontarsi con standard spesso più avanzati e strutture di costo vantaggiose. Le piattaforme estere, infatti, beneficiano di un’ampia esperienza operativa e, in alcuni casi, di normative interpretate con maggiore flessibilità nei paesi d’origine, soprattutto per quanto riguarda i processi di iscrizione e di onboarding degli investitori.
L’esempio più evidente è il caso delle piattaforme spagnole, che sfruttano processi di adesione semplificati, aumentando così le conversioni e, potenzialmente, il successo del proprio modello di business. In Italia, invece, gli obblighi normativi impongono procedure più rigide, limitando talvolta la capacità delle piattaforme di attrarre investitori con facilità.
Scenari futuri: consolidamento, specializzazione e nuove figure professionali
Nel prossimo futuro, la crescente competizione porterà a diversi scenari possibili per le piattaforme italiane:
Consolidamento del mercato
La presenza di numerosi attori potrebbe favorire fusioni e acquisizioni. Le piattaforme con maggiore solidità finanziaria potrebbero assorbire quelle più piccole, puntando a massimizzare le economie di scala e a rafforzare la propria offerta di investimento.
Specializzazione per nicchie di mercato
Alcune piattaforme si stanno già orientando verso settori specifici, come il real estate o le energie rinnovabili. Questa specializzazione permette di rispondere a esigenze specifiche, con maggiore attrattività per gli investitori interessati a segmenti di mercato definiti.
Aggregatori e Club Deal
Gli elevati costi di ingresso e le complessità normative potrebbero favorire la nascita di piattaforme che aggreghino più attori tramite partnership o club deal, semplificando l’accesso e la gestione del crowdfunding per i piccoli investitori.
Operatori di filiera
L’apertura del mercato europeo sta attirando nuovi protagonisti che operano come fornitori di servizi per il crowdfunding. Si prevedono quindi collaborazioni con fintech specializzate in gestione dei wallet digitali, antiriciclaggio e istituti di pagamento.
Il ruolo cruciale delle istituzioni
Le istituzioni italiane dovranno monitorare attentamente il mercato, garantendo un bilanciamento tra protezione degli investitori e stimolo all’innovazione. Un altro aspetto cruciale riguarda l’armonizzazione delle normative a livello europeo: l’Italia corre il rischio di rimanere penalizzata se le piattaforme estere continueranno a beneficiare di normative meno stringenti. Per essere competitivi, sarà necessario che il quadro normativo italiano evolva per consentire processi di adesione più rapidi e snelli, senza però compromettere la sicurezza.
Una riflessione: Crowdfunding, leva per l’economia reale?
Sostenere 40 piattaforme di crowdfunding in un mercato relativamente piccolo come quello italiano potrebbe sembrare una sfida ardua. Tuttavia, l’Italia ha dimostrato di possedere un ecosistema vivace e resiliente, che ha saputo adattarsi e mantenere un ruolo di rilievo in Europa. Per mantenere questa posizione, sarà però fondamentale investire nell’innovazione, nella trasparenza e nella qualità dei servizi.
Solo attraverso queste direttrici, il crowdfunding può diventare una leva significativa per il finanziamento dell’economia reale in Italia, offrendo alle piccole e medie imprese (PMI) uno strumento alternativo per l’accesso ai capitali e promuovendo un modello di sviluppo partecipativo e sostenibile.
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