MATTHIAS CANAPINI: PIÙ CHE SCATTARE FOTO, CERCO L’UOMO

Di
Silvia Messa
24 Maggio 2016

Un giovanissimo fotoreporter racconta i luoghi di guerra. E incontra uomini e donne che vogliono vivere ancora

Matthias Canapini ha 24 anni, arriva da Fano, nelle Marche. Ha girato mezzo mondo in cerca della “gente di guerra”, con pochi euro in tasca e il bisogno di ascoltare, condividere, documentare. Con le parole e con gli scatti. Duecento foto, non una di più. Tante ne ha scattate, in viaggio. E ne pubblica 70, nel suo reportage di immagini e parole, Il volto dell’altro.

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Storie di coraggio

Matthias lo conosciamo in una galleria d’arte a Monza, Leo Galleries, il 18 maggio. Spettinato, una folta barba su un viso giovanissimo, ti guarda dritto negli occhi e non nasconde la sua emozione. Alla presentazione della sua opera, siede accanto al suo editore, Riccardo Burgazzi, che ha più o meno la sua età. Entrambi hanno dimostrato una bella dose di coraggio: uno affronta pericolosi viaggi solitari, con minime risorse economiche e una macchina fotografica, seguendo la vocazione al fotogiornalismo. L’altro ha fondato una casa editrice, in un momento di crisi ed evoluzione del mercato editoriale. Prospero Editore inizia con gli e-book e oggi investe nella carta: Il volto dell’altro, il libro fotografico di Canapino, è il suo primo volume distribuito a livello nazionale.

il volto dell'altro, Prospero editore

La scelta di Matthias

«Quello che racconto non è il mio primo viaggio. Mi sono nutrito di libri di viaggiatori non convenzionali, come Tiziano Terzani, da adolescente. E dai miei 19 ho cominciato a girare. I miei pareenti mi descrivevano guerre recenti che io ero troppo piccolo per ricordare, come il rovinoso conflitto nei Balcani. Ho deciso di partire per raccontare l’impatto del conflitto sulle persone. Le guerre non finiscono, si protraggono nell’anima della gente, il loro dolore sopravvive e si rinnova sempre». Il sogno che Matthias realizza è girare in Asia con mezzi lenti, autobus, treni o gambe, per conoscere da vicino luoghi e gente. «Prima stabilisco un dialogo, poi scatto una foto, se le persone lo permettono. L’umanità e il rispetto per l’altro vengono prima di tutto. E non scatto foto per venderle ai giornali, lo faccio per documentare il mio viaggio e le emozioni che provo, per condividerle con chi mi aspetta a casa e mi sostiene». Matthias viaggia da solo, ma apparentemente: «I miei compagni di viaggio sono i libri, che mi aiutano a capire i posti che esploro. Poi, incontri sempre qualcuno. Quelli che capiscono i miei obiettivi, che non sono certo la vacanza o il tour».

Vietnam, effetti delle mine

Il crownfunding, mezzi economici e supporti locali

Matthias va in Bosnia, in Romania, in Mongolia, in Nepal, in Vietnam. Cina, India… poi Turchia, Croazia. «Sono partito con 3mila euro, di cui 1300 sono serviti per visti e aereo, dove indispensabile. Ho lanciato una campagna di crownfunding per finanziare il progetto, su Produzioni dal basso, cercando di far girare la notizia su portali e giornali. Ho avuto anche uno sponsor: Alessandro, un industriale di 95 anni, colpito dalla mia idea, mi ha fatto alcune donazioni, meno di mille euro. Ma è un sostegno che apprezzo molto». Chi ti ha aiutato? «Le associazioni e le onlus che operano nei luoghi dove ci sono o ci sono stati i conflitti. Le ho contattate prima, preparando il viaggio. Senza il loro sostegno in loco, soprattutto per favorire l’incontro con le persone, non ce l’avrei fatta».

Difficoltà

Matthias ha avuto dei momenti critici. «Due o tre volte ho pensato di tornare a casa. La povertà, il dolore sono insostenibili, a volte. E scatta il senso di colpa, per quello che invece abbiamo noi. Loro senza cibo, al freddo. Io che giro con la macchina fotografica. Poi la voglia di raccontare è stata più forte. E il senso di responsabilità per quelli che mi seguono, che aspettano via web e sui social le mie foto e le mie parole. Le immagini più forti, però, me le porto sempre dentro. Non mi abbandonano mai. So che le mie foto sono una denuncia, a qualcosa servono. Anche se non possono cambiare davvero la vita delle singole persone che ho conosciuto».

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Il viaggio che ti cambia

«Il viaggio mi ha cambiato, tantissimo» confessa Matthias. «Persone come la donna giraffa, con i suoi anelli al collo, segno di una tradizione difficile da capire, ultranovantenne, moriranno portandosi via il loro mondo e i loro ricordi. Così ho pensato a un nuovo progetto, qui nel nostro Paese: raccontare l’Italia di una volta, quella degli anni 20-30, dei contadini, dei partigiani. Storie e tradizioni che rischiano di scomparire, dimenticate, con chi ormai alla fine della vita. Il viaggio nell’Umanità italiana durerà anni. Ma sono pronto per partire».

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