Ogni anno la Fondazione Migrantes pubblica i dati sugli italiani che partono per andare a vivere e lavorare all’estero. Ogni anno tra partenze e arrivi lo sbilancio è grossomodo di 100 mila unità. Oltre confine esiste un’altra Italia di circa 6 milioni di cittadini: come una regione e nemmeno tanto piccola. Dopo la pubblicazione dei dati, tutti i media copiano e incollano i commenti dell’anno precedente, aggiornano i numeri, e partono con la solita litania: fuga dei cervelli, italiani con la valigia, scappati di casa. Il commentatore economico fa i conti del costo per il nostro Paese di questo esodo.
Il politico ci chiosa sopra. Il Presidente della Repubblica si rammarica e via, ci rivediamo tra un anno con lo stesso show. Uno si immagina le madri piangenti che salutano con il fazzoletto i propri figli. In verità le famiglie che hanno un minimo di lungimiranza, se possono permetterselo, spediscono volentieri i figli a fare esperienza all’estero o, se non se lo possono permettere, almeno non li osteggiano. La realtà è che l’immigrazione italiana è antica quanto la nostra storia. Per quanto cambiato tantissimo nel corso dei decenni, l’italiano che emigra è un convinto ambasciatore del Made in Italy, fiero di essere lombardo, toscano, siciliano, ma soprattutto italiano.
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