figlie wojcicki
L'apertura dell'articolo pubblicato su Millionaire di novembre 2019

«Le mie figlie di successo? Su di loro ho sperimentato un metodo che oggi insegno in tutto il mondo»

Di
Lucia Ingrosso
15 Gennaio 2020

Se volete diventare leader di successo, leggete la storia di Esther Wojcicki, 79 anni e tre figlie. La prima è amministratore delegato di YouTube (tra le 100 donne più potenti del mondo). La seconda è professoressa di Pediatria alla Università della California. La terza è co-founder di una premiata azienda di genomica (ex moglie di Sergey Brin, founder di Google).

Esther Wojcicki ha 79 anni, 700 allievi al suo corso di Giornalismo, 3 figlie di successo e un soprannome, Woj, con cui è nota in tutta la Silicon Valley. In tanti anni di insegnamento alla high school di Palo Alto (fra i suoi allievi l’attore James Franco e la figlia di Steve Jobs), ha elaborato un metodo (anch’esso battezzato Woj) per “aiutare le persone a condurre un’esistenza felice e di successo in cui possano impiegare i loro talenti per migliorare il mondo e la vita di tutti”. Il metodo è ideale per educare i figli, ma è usato anche per migliorare le performance in azienda e motivare i collaboratori. La sua ricetta comprende 5 ingredienti (fiducia, rispetto, indipendenza, collaborazione e gentilezza) ed è riassunta dall’acronimo inglese trick, trucco (trust, respect, independence, collaboration, kindness). Il metodo è raccontato nel libro Bambini che cambiano il mondo (Sperling & Kupfer). Millionaire lo ha letto.

Gli inizi (tutt’altro che facili)

«Tutti tendiamo a educare i figli così come siamo stati educati, ma quando sono diventata madre la mia unica certezza era che non volevo ripetere gli errori dei miei genitori». A leggere la sua storia, questa affermazione di Esther non stupisce. I genitori di Esther erano ebrei russi, fuggiti da miseria e persecuzioni. La madre Rebecca veniva dalla Siberia, luogo gelido e sperduto. Il padre Philip aveva raggiunto Vienna a piedi dall’Ucraina e lì aveva chiesto un Visto per gli Usa. Lui era un artista e ottenne una borsa di studio, ma non poté accettarla, perché doveva mantenere la famiglia.

In cerca di fortuna, si trasferirono in California, ma le cose non andarono come previsto. L’unico lavoro che il padre riuscì a trovare fu come incisore di lapidi: tanta fatica, zero gratificazioni e paga misera. Esther viveva in mezzo ai litigi e alle difficoltà economiche. Non solo. «La tradizione ebrea ortodossa metteva gli uomini a capo della famiglia. Ogni mattina, gli uomini ringraziavano Dio di non essere nati femmina. Un giorno mio padre mi disse una cosa che non ho mai dimenticato “Tuo fratello Leo è un maschio e nella nostra famiglia i maschi sono più importanti”».

Poi nasce David, che morirà a 16 mesi, per un’overdose accidentale di aspirina (in ospedale non gli trovarono posto perché la famiglia non poteva pagare). Qualche mese dopo, in casa il fratello Leo sviene, la madre lo porta fuori e dice a Esther di aspettarli a casa. Anche lei si sente male, ma disubbidisce ed esce in giardino, salvandosi la vita (il problema erano le esalazioni di monossido di carbonio di una stufa difettosa, ndr). «Dopo quell’incidente, decisi di pensare sempre e solo con la mia testa».

La svolta? Una borsa di studio

Otto anni dopo, Esther ottiene una borsa di studio per Berkeley. «Era l’unico modo per continuare gli studi, visto che il padre mi aveva tagliato i fondi: secondo lui dovevo sposare un uomo ricco. Nell’agosto nel 1959, a 18 anni, salii su un autobus con due valigie, senza guardarmi indietro». Al secondo anno di università, Esther incontra il suo futuro marito in modo curioso. Lanciata a gran velocità in un scatolone su una rampa dei dormitori, atterra ai piedi di Stan. È amore a prima vista. Lui è un ebreo polacco scampato alle persecuzioni, nascondendosi sotto i serbatoi del carbone di una nave da carico. Dopo la laurea, Esther segue gli spostamenti del marito, professore di Fisica, fra Ginevra e Parigi. «Adoravo vivere in quelle città e mi piaceva studiare e parlare francese». Poi il ritorno negli Usa, a Stanford. «Non ci aspettavamo di fermarci a lungo, ma nel 1967 gli fu assegnata una cattedra. Eravamo al settimo cielo».

E arrivano le ragazze…

Nel 1968 nasce Susan, nel 1970 Janet e nel 1973 Anne. È Esther a crescere le figlie, scontrandosi con le difficoltà di fare il genitore. La prima: affrontare le questioni irrisolte del proprio passato (e non ripetere gli errori dei genitori). La seconda: accettarsi, perché nessuno è perfetto. È sulle figlie che Esther sperimenta e perfeziona il suo metodo, che poi applicherà anche a scuola. E sono proprio loro il suo primo, più grande successo, umano e professionale.

Susan, 51 anni, è stata l’impiegato numero 16 di Google (Brin e Page l’hanno fondata nel suo garage), poi ha spinto per l’acquisto di YouTube, di cui dal 2014 è l’amministratore delegato. Forbes accredita il suo patrimonio in 490 milioni di dollari e la colloca nella lista delle 100 donne più potenti del mondo. Ha cinque figli. Janet, 49, è professore di Pediatria alla University of California di San Francisco. Anne, 46, campionessa di pattinaggio in gioventù, biologa, co-fondatrice e amministratrice di 23andMe, società di genomica e biotecnologia premiata nel 2008 per l’invenzione dell’anno. È stata sposata con Sergey Brin, da cui ha avuto due figli.

Il metodo TRICK

Trust (fiducia) Il mondo ci fa paura, ma in realtà è migliorato (viviamo più a lungo, facciamo meno guerre, siamo più ricchi), ecco perché bisogna dare e darsi fiducia. La fiducia è contagiosa. Dare fIducia a fIgli e collaboratori li allena a compiti sempre più difficili e rafforza la loro autostima. Se viene tradita? Ironia per le piccole trasgressioni, punizioni esemplari per le grandi.

Respect (rispetto) Dopo la laurea in Biologia, Anne decise che voleva fare la baby sitter. Pur ritenendola sprecata per quel lavoro, Esther rispettò le sue scelte ed ebbe pazienza, al punto da regalarle una maglietta con la scritta “la  miglior baby sitter del mondo”. Poi la ragazza cambiò idea. Ma la lezione è che bisogna rispettare indole e desideri dei figli, senza proiettare su di loro le nostre ambizioni.

Independence (indipendenza) «Non fate per loro nulla che possano fare da soli. I genitori iperprotettivi conducono i figli all’ansia e alla depressione. Bisogna intervenire solo quando vogliono qualcosa di pericoloso e irrazionale. Occorre aiutarli a prendersi le responsabilità di cui sono all’altezza. La padronanza consiste nel fare una cosa il numero di volte necessario per imparare a farla bene. Gli errori vanno incoraggiati».

Collaboration (collaborazione) «La collaborazione è possibile solo con salde fondamenta di fiducia, rispetto e indipendenza e quando c’è un obiettivo in grado di appassionare. Quasi ogni attività può essere suddivisa e svolta in modo collaborativo».

Kindness (gentilezza) La gentilezza e l’empatia sono il collante di tutto. «Perché alla fine è questo il senso della vita: migliorare noi stessi, gli altri, la società, il Pianeta. Il modo in cui noi trattiamo i nostri figli è il modo in cui loro tratteranno il mondo».

Tratto da Millionaire di novembre 2019. 

 

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