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Foto Nexi

«Per fare una fintech bisogna essere dei bravi agronomi»

Di
Tiziana Tripepi
20 Settembre 2020

Storia del software per i pagamenti acquisito da Nexi.

Il virus da startupparo lo ha coltivato in Israele, dove a 19 anni è andato per studiare e dove ha creato la sua prima startup nel campo dell’e-learning. Ma poi Imanuel Baharier, 43 anni, protagonista di una storia di successo che ha come lieto fine l’exit della sua Sparkling18 (cofondata con Giuseppe Virgone e Alessandro Ermolli), torna in Italia per rilanciare la filiale italiana di Verifone, multinazionale americana che produce terminali Pos.

L’idea di creare la startup gli è venuta nel 2012 durante una passeggiata in Liguria. «Ero a piedi con moglie e figlio nello splendido paesino di Bussana Vecchia, vicino ad Alassio, quando abbiamo deciso di fermarci in un ristorante. Ero senza contanti e alla fine del pranzo ho scoperto che il ristoratore aveva disdetto il contratto con il Pos. Gli ho proposto un bonifico online tramite il mio smartphone, ma non si fidava molto, tanto che ha voluto il mio numero di telefono… ho capito che c’era un problema di fiducia. Dovevo creare una soluzione mobile che lo risolvesse».

In cosa consiste?

«È un software che viene integrato nelle app dei retailer. Il consumatore che entra nel negozio fisico o virtuale, non solo ha la possibilità di fare la spesa con l’app, ma anche di pagare alla cassa senza dover uscire dall’app e ricaricare i dati della carta. Un servizio di mobile payment che ha trovato molti riscontri da parte degli esercenti».

A chi lo avete venduto?

«Il nostro sistema è stato integrato nell’app di Auchan, Eataly, Roadhouse. Ma è stato acquistato anche da alcune banche come Monte Paschi di Siena, che lo distribuisce ai clienti finali. Fino a che non lo ha scoperto Nexi, che nel 2018 ci ha acquisiti».

A quanto ammonta l’exit?

«Non posso condividere questo dato, ma posso rivelare che generavamo revenue a 6 zeri quando siamo stati acquisiti. La nostra tecnologia era importante per Nexi, integrava altri servizi che già avevano».

Tutto facile?

«Nient’affatto. Ripercorrendo la nostra storia, c’è voluto un anno e mezzo di ricerca e sviluppo, due anni per raggiungere un certo numero di clienti. E 5 anni prima dell’exit. All’inizio abbiamo fatto errori. Per fortuna avevamo alle spalle fondi di investimento molto generosi, che ci hanno supportato».

Che errori avete fatto?

«Pensavamo di fare un business b2c, cioè di distribuire il nostro software direttamente al cliente finale, ma abbiamo imparato che nel campo del mobile payment andare dal cliente finale è molto più oneroso Meglio optare per il b2b2c: vendere al retailer e, tramite lui, distribuire al cliente finale».

Cosa hai imparato dalla tua storia?

«Che per fare startup bisogna essere dei bravi agronomi. Oltre all’idea, quello che è importante capire è quale sarà il mio “terreno”, cioè da quale mercato voglio partire, perché ciò che per esempio ha successo in Germania può non attecchire in Italia. Il terreno per la nostra idea si trovava in Italia».

Tratto dall’articolo “Cashless: senza contanti che opportunità” pubblicato su Millionaire di luglio-agosto 2020. 

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