Il nuovo trend di ricerca del personale arriva anche in Italia e si chiama “blind recruiting”. La nuova modalità di recruiting consiste nella scelta, da parte delle aziende, di condurre processi di selezione del personale valutando curriculum inviati dai candidati in forma anonima.
L’adozione di questa strategia di reclutamento a disposizione delle aziende parte da lontano, addirittura dalla Finlandia, per poi diffondersi anche nel Regno Unito, in Germania e negli USA. In Italia ci sono realtà dove la pratica, dopo una prima fase di sperimentazione, è diventata più che consolidata. Funziona così: le aziende che vogliono adottare questo metodo di selezione pubblicano l’annuncio per assumere una risorsa, più risorse o, ancora, possono scegliere di estendere questo approccio a tutte le selezioni future. Ai candidati può essere richiesto di eliminare dal curriculum le proprie generalità oppure è la stessa azienda a munirsi di strumenti di intelligenza artificiale e piattaforme che, una volta ricevuto un classico cv, oscurano le informazioni personali del candidato. L’obiettivo? Reclutare in modo imparziale, favorendo un approccio meritocratico, sulla base della ricezione di un curriculum privo di dati sensibili attinenti il nome, il luogo, la data di nascita, la residenza e il genere. Un cv, insomma, che evidenza soltanto le competenze maturate e le skills effettivamente possedute, per consentire al recruiter di selezionare i candidati senza che si attivino i cosiddetti “bias cognitivi”, cioè delle distorsioni materiali che potrebbero incidere nella scelta di una figura piuttosto che un’altra sulla base di considerazioni diverse dalla mera competenza e dalla idoneità rispetto al ruolo da ricoprire. I bias cognitivi sono pregiudizi che possono insorgere inconsapevolmente in chi si occupa della ricerca e della selezione del personale, ma che possono pilotare e falsare l’intero processo di selezione. Un aspetto che tende a creare problemi, almeno secondo uno studio pubblicato sulla Harvard Business Review, che mostra come i bias cognitivi siano molto radicati nelle aziende e portino ad assumere il personale tenendo troppo in considerazione aspetti come la provenienza, l’età o il genere.
I vantaggi del blind recruiting
Il blind recruiting o blind hiring è un metodo che oggi viene molto apprezzato, soprattutto dai Millennials e dalla Generazione Z, che tendono a valutare positivamente un mondo lavorativo senza filtri. Si tratta di un approccio meritocratico capace di ridurre le discriminazioni che, secondo una ricerca di PwC, nel 30% dei casi avvengono nei confronti di candidati appartenenti a minoranze etniche. Le selezioni al buio possono rappresentare un passo decisivo anche verso la parità di genere, dato che, stando a quanto riporta PwC, il 20% delle donne subisce discriminazioni di genere in sede di colloquio. Il metodo è utile per dare altre chance al personale non più giovane, sebbene in possesso delle giuste competenze per ricoprire un determinato ruolo. Reclutare al buio permette inoltre di diversificare le risorse che appartengono a un contesto aziendale, ma soprattutto, nell’ottica dell’employer branding, può trasmettere una maggiore trasparenza ai candidati o ai futuri aspiranti a ricoprire un ruolo interno all’azienda. Ciò amplia il bacino di candidati a disposizione, circostanza che arginerebbe il fenomeno attuale della mancanza di figure idonee a ricoprire certe posizioni, favorendo il diversity management.
Il metodo blind hiring in Italia
Sono tante le aziende che fanno ricorso al blind hiring: da Deloitte a Google, passando per SAP Italia, la prima realtà ad aver introdotto la blind interview in Italia e ad averne appurato i vantaggi, tra tutti, la possibilità di costruire team eterogenei. Tra le aziende che hanno deciso di utilizzare queste nuove forme di reclutamento nell’ottica dell’imparzialità c’è Danone, che ha selezionato la figura del sales account, ma anche Esselunga, per la posizione di assistant buyer. A parte le grandi realtà, esistono anche startup che si sono avvalse del curriculum anonimo, come CREDIMI, nel mondo finance, che ha optato per le selezioni bendate alla ricerca di digital marketing manager, traendone benefici anche in termini di celerità con cui si è conclusa la job call, in larga misura dovuta alla pura e semplice valutazione delle competenze possedute dai candidati. La fotografia delle aziende italiane, mostra come solitamente siano le stesse società di ricerca e selezione a fornire anche il servizio di blind recruiting, ad esempio per l’inserimento di figure disabili, come fa la società di ricerca e selezione Adecco. Tra le giovani realtà nostrane che si sono contraddistinte facendosi portavoce di questa filosofia, c’è Just Knock, startup al femminile nata nel 2015 come prima piattaforma di blind hiring del paese. La selezione al buio rende più oggettivo possibile il reclutamento, mettendo in luce solo le abilità a svolgere il ruolo. “I candidati possono presentare un progetto in forma anonima per proporsi alle aziende – spiega la CEO Marianna Poletti- e, dopo aver valutato il progetto, la realtà vedrà anche il curriculum”. Il metodo si dimostra efficace e meritocratico, creando maggiore propensione all’innovazione e alla diversificazione. “Sempre più aziende utilizzeranno questo metodo ed è anche un indicatore per i candidati”, aggiunge la CEO. “Se vi candidate e viene proposto il blind hiring, potete stare certi che queste aziende tengono al merito. Un ottimo segnale”.