«Quando ero ragazzina ho sofferto moltissimo la separazione dei miei genitori e ho fatto di tutto per riempire quel silenzio con il rumore. Suonavo le cose intorno a me. E quella che può sembrare una storia strappalacrime è diventa la rivelazione della mia vita». Chiara Luzzana è tra le prime sound designer d’Italia. Si è inventata un mestiere per rispondere a quel vuoto interiore. «Il rumore è bellissimo, così ho deciso di stravolgere le regole e di dedicarmi alla sua importanza».
Gira il mondo con microfoni speciali per registrare il suono delle cose. Poi grazie al digitale lo ripulisce e crea suoni puri. Suo è il progetto The Sound of City: indaga il ruolo delle città attraverso il loro suono caratteristico.
Incontro Chiara Luzzana alla Cascina Cuccagna di Milano. Un luogo autentico, una cascina nel cuore di Porta Romana. Autentico come lei che lo ha scelto come punto del nostro incontro. Appena mi vede, mi abbraccia e mi dice: «Ho un sogno da sempre. Creare il suono di Millionaire».
Chiara si occupa di sound branding. Ha creato il suono degli orologi per la Swatch («mi sono chiusa per mesi nei loro bunker in Svizzera»), quello dei chicchi di caffè per Lavazza (e per farlo è andata nelle piantagioni del Brasile), quello della pelle esposta al sole per la Nivea. «Se ogni brand ha un logo e un video, perché non dovrebbe avere anche un suono? Sono convinta che ogni brand abbia una componente sonora importantissima. Io li ascolto e li trasformo in musica. Il suono di Millionaire? È quello delle parole».
Formazione musicale da autodidatta, Chiara suona piano, chitarra e clarinetto, ha un diploma da geometra («ho perso 5 anni della mia vita, ma ho recuperato»), è ingegnere audio, ha studiato composizione del suono al Berklee College of Music di Boston («lì ho capito come il cervello reagisce a certi suoni e perché»).
Ha vissuto a Shanghai per 5 anni. Rientrata un mese prima della pandemia, mai avrebbe immaginato di fermarsi a Milano così a lungo. «Ho usato questo tempo per un nuovo progetto top secret che sto preparando per Netflix, intanto faccio sentire a mio padre, che è mancato proprio in quel maledetto marzo 2020, tutti i suoni che mai gli ho fatto sentire».
I suoi inizi sono stati difficili. «Quando la prima volta ho detto a Swatch: “Creiamo la colonna sonora di un orologio” mi hanno detto “sei pazza”. Eppure la mia prima colonna sonora interamente realizzata con gli orologi è diventata la colonna sonora di Swatch mondo e quella della Biennale di Venezia.
«Quando mia mamma mi chiede “che lavoro fai?” e io le dico “faccio suonare le cose”, lei aggiunge: “ma che lavoro è?” Sembra magia, ma giuro, è il mio lavoro. Se ho potuto creare una melodia da un rumore, vuol dire che si può davvero realizzare qualunque cosa. Anche la più assurda». Crederci.