La storia del founder di WeWork, Adam Neumann, il “pazzo” che ha rivoluzionato il modo in cui le persone lavorano

Come si cambia il mondo?

Di
Patrizio Ambrosetti
10 Maggio 2023

La storia del founder di WeWork, Adam Neumann, il “pazzo” che ha rivoluzionato il modo in cui le persone lavorano, raccontata da Patrizio Ambrosetti, l’italiano che ha lavorato insieme a lui.

Voi conoscete Jared Leto, io conosco Adam Neumann. Sì, proprio lui. Quello vero. Quello che è passato da essere l’uomo del momento su copertine globali, rilasciando interviste con i migliori giornalisti del mondo, ad avere il suo viso su libri, documentari e film che lo descrivono come un tiranno e pazzo megalomane. Quello che è diventato il volto più ricercato da quegli stessi giornalisti che prima lo ammiravano, e che ora vogliono avere un suo commento per scrivere un trionfante articolo e dire di averlo trovato dopo un anno di silenzio. Ormai in tanti conoscono la sua storia e quella della sua azienda, WeWork, che è passata dall’essere una delle aziende private con valore più alto nel mondo a una sfiorata bancarotta. Molti lo giudicano un pazzo, come anche gli autori della serie TV WeCrashed hanno voluto mostrarlo sul piccolo schermo. In tanti non sono nemmeno entrati in una location di WeWork, ma si sono appassionati leggendo e vedendo la sua storia. Io Adam l’ho conosciuto quando eravamo solo 200 dipendenti e quando nei nostri TGIM meetings (Thank God It’s Monday) ci ispirava con i suoi sogni e la sua visione. 

 

Vuoi sapere chi è davvero Adam? Te lo dico ora

 

Patrizio Ambrosetti
Patrizio Ambrosetti

Entrai in WeWork a 26 anni, quando avevamo 25 location in Usa e poco più di un 200 dipendenti. Insomma una startup che andava bene, come molti possono pensare. Ma non era solo quello. C’era qualcosa nell’aria… qualcosa che si respirava in quell’ufficio multilivello nel Financial District di New York City. Si sentiva che eravamo destinati a fare qualcosa di incredibile, a entrare nella storia… 

Per coloro che non sanno di cosa si occupa WeWork: ha cambiato il modo in cui le persone lavorano. Era il 2010, Adam Neumann e Miguel McKelvey ebbero l’idea di creare WeWork, per costruire una community globale di creators che potessero lavorare, incontrarsi, divertirsi e fare network in locations moderne, in uffici con vetrate trasparenti e spazi comuni con divani di pelle, biliardi, tavoli da ping pong e cucine attrezzate con caffè di alta qualità e birra gratis. Sì, la birra gratis era il nostro forte. 

Prima di WeWork, la parola “coworking” non era accostata a un posto trendy, bensì a uffici, spesso sotterranei, usati e condivisi da freelancer e sviluppatori. Inoltre, a coprire il mercato di aziende che avevano bisogno di un ufficio di prestigio c’era Regus, con una valanga di location dotate di uffici lussuosi e con bellissima vista. Adam e Miguel individuarono il gap nel mercato perché sapevano una cosa importante: le persone hanno bisogno di connettersi e di avere una vita sociale. Ma lavorare in un ufficio non era mai stato visto come una cosa divertente prima di WeWork. 

L’unica azienda che creava innovazione era Google con i suoi uffici ideati per non farti uscire… o dovrei dire per rendere la vita dei dipendenti più facile così che potessero apprezzare l’esperienza lavorativa e trovare grandi benefici e collaborazione tra colleghi. La prima volta che conobbi Adam era il mio secondo giorno di training a WeWork. Ero insieme ad altri 9 ragazzi e ragazze della mia età – 25 anni circa –, e ci trovavamo intorno a un tavolo per imparare mission e valori dell’azienda, così da essere pronti a proseguire nei giorni seguenti il nostro training nelle location davanti ai membri (clienti di WeWork). Adam scoprì che ero europeo ed ero stato assunto per supportare l’espansione di WeWork. 

Fino a quel momento, infatti, il team aziendale era composto in prevalenza da americani. Quindi mi disse: «Fratello, Fratello! Abbiamo bisogno che vai in Europa al più presto per espandere WeWork ovunque». E alla mia domanda “Al più presto? Non devo finire il training?” rispose: «No, parti domani!». Addio training, e addio alla mia vita a New York, ai miei amici, al mio appartamento, alla mia bici. Quando Adam parlava, era come se ti ipnotizzasse. Quando chiedeva, era come se la sua richiesta fosse una missione per cambiare il mondo. Non ci pensai nemmeno 5 minuti e non ebbi paura perché WeWork credeva davvero in me, come in tutti i suoi dipendenti. 

Molti di loro erano amici di Adam, altri amici di amici, altri ex membri, altri erano stati assunti in un bar o nella lounge dell’albergo in cui Adam o altri executives stavano passando una serata. Il processo di assunzione di WeWork consisteva solitamente in un test e 5/6 colloqui, ma bastava davvero poco per entrare. Dovevi essere “on-brand”, autentico, imprenditoriale, avere quella luce negli occhi che Adam cercava, e soprattutto dovevi credere di poter davvero cambiare il mondo. Adam è un ragazzo alto circa 1 metro e 90. Capelli lunghi e neri, spalle grandi. Gambe larghe e un fisico completamente diverso da quello di Jared Leto. 

Ha quell’accento che è riconoscibile da 30 metri di distanza e, quando camminava, era come una montagna. In poco più di un anno aprimmo in 3 Paesi europei e lui veniva spesso a trovarci. Adam, Adam, Adam, Adam… in ogni meeting che facevamo usciva il suo nome almeno 5/6 volte. Tutti lo nominavamo sempre, come se ciò che facevamo fosse voluto o approvato da lui. Ma la realtà è che Adam si fidava di noi. 

Quando arrivai in Europa, WeWork non esisteva e avevo la missione di lanciarla ed espanderla. L’unica cosa che mi dissero, una volta lì, era che Adam non voleva che facessi advertising perché non gli piaceva.

Per il resto potevo fare quello che credevo per arrivare ai miei obiettivi. Più la community cresceva globalmente, più Adam saliva sul palco degli eventi e party che organizzavamo, più aprivamo location e più Adam compariva su copertine come Forbes, Vanity Fair, Fortune, Wired e in televisioni nazionali, più lui parlava e più noi eravamo fomentati, al punto di non dormire la notte per arrivare al nostro obiettivo. Adam è forse il miglior comunicatore che abbia mai conosciuto, e ho girato abbastanza il mondo tra i vari continenti e le molte startup di successo. Tuttavia, anche Adam sbagliava. Il nostro team di PR viveva sempre con l’ansia che lui potesse esagerare durante un’intervista o rispondere in modo emozionale a una provocazione. 

Ma la realtà è che era un ragazzo come noi e WeWork era la sua prima grande impresa della vita. Spesso ci dimentichiamo che anche i grandi iniziano da zero. Era sempre nervoso prima dei grandi eventi, ma posso assicurarvi che una volta che saliva su un palco era come se parlasse a un suo amico, anche se in realtà davanti aveva 2.000 o 3.000 seguaci, fan, imprenditori, investitori o giornalisti. La sua più grande dote era la vendita. Quando Adam ci faceva vedere come doveva essere fatto un tour (modo in cui mostriamo la location a potenziali nuovi membri) era come assistere a un film Oscar che ti tiene attaccato allo schermo per 3 ore. 

Prima che Adam arrivasse per fare l’inaugurazione o conoscere la community dei Paesi in cui ci espandevamo, passavamo almeno 15 giorni di stress, perché volevamo che tutto, ma davvero tutto, fosse perfetto per lui. Poi la sera dell’evento vedevi un gruppo di 20/30 persone muoversi come fosse uno tsunami, arrivare al palco e farsi largo tra la folla. E lui in mezzo, con la sua giacca di pelle, la maglia di WeWork, il suo sorriso e lo sguardo convinto e sicuro di qualcuno che stava scrivendo la storia. 

 

Adam Neumann
Adam Neumann, Foto ©Stuart Isett/Fortune Brainstorm TECH

 

Ma Adam non era sempre stato così. Lui prima di WeWork era molto più grasso e poco salutista. Fumava tantissimo, non aveva uno spicciolo in tasca né la minima idea di come potesse arrivare al successo.

Ma ci provava in tanti modi che però risultavano tutti dei grandi fallimenti. Nei meeting interni dell’azienda ci parlava delle riunioni con i grandi del mondo tech o degli investitori come Masayoshi Son, di SoftBank. Ci parlava di come arrivava vestito o di fatti divertenti che succedevano in quelle riunioni, quando chiedeva 2 miliardi di dollari di investimento (miliardi non milioni). 

Adam aveva sempre l’abitudine di rendere le cose, che per molte persone ordinarie sono impossibili, possibili e realizzabili facilmente. Ci aggiornava, ci raccontava, condivideva quello che gli succedeva come un figlio fa con i genitori o viceversa. Usando quella passione e quella eccitazione che un bambino ha mentre vede i suoi sogni materializzarsi. Adam ci diceva sempre che stavamo facendo qualcosa che nessuno nel mondo aveva fatto. 

Nella serie TV WeCrashed, fanno vedere molti di questi momenti, come per esempio i nostri eventi di summit per i dipendenti o i nostri summer camp estivi. Fanno vedere Adam come una guida spirituale che doveva “convincere” i suoi dipendenti. Come se fosse tutto un piano per farci credere qualcosa che era comodo solo per lui. Ma la realtà è che noi non eravamo drogati o ubriachi, credevamo davvero in quello che lui ci diceva perché vedevamo ciò che realizzavamo ogni giorno in giro per il mondo con le migliaia e migliaia di location aperte e membri inclusi che si connettevano tra di loro e creavano amicizie, partnerships e grandi opportunità. Inoltre, vedevamo tantissimi nuovi spazi di coworking nascere nel mercato, seguendo il nostro trend, e molte multinazionali ci chiedevano di ospitare i loro team più giovani per avere modo di farli crescere e innovare. 

Molti di noi hanno divorziato, altri si sono lasciati, altri sono rimasti single, altri hanno perso i capelli o sono passati ad avere una testa bianca per quanto lavoravamo per l’azienda.

Questo non è sicuramente un modo sano e non lo suggerisco a nessuno. Ma la realtà è che lavorare per WeWork non era davvero lavorare come le persone solitamente intendono. Noi ci sentivamo parte di un movimento che Adam aveva creato e ispirato. Inoltre, il valore delle nostre stock option (opzioni azionarie) ci avrebbe reso tutti ricchi. Perché sì, prima di WeWork era già successo che startup avessero reso i loro dipendenti ricchi.

In America è standard per una startup supportare i propri dipendenti e riconoscere loro un pezzo di quello che si crea. Devo ammettere che solo i folli credono che si possa cambiare il mondo. All’inizio tutti sono spaventati da loro, ma poi li seguono  proprio per la loro follia. La realtà è che anche io ho tanti capelli bianchi, le mie stock option sono crollate di valore quando abbiamo fallito il passaggio in borsa e sono stato contattato da tantissimi giornalisti che provavano a strapparmi una frase per scriverci un articolo contro Adam e WeWork, ma trovavano un NO costante. Riconosco a WeWork e ad Adam un’esperienza che mi ha cambiato la vita. Forse siamo stati assunti perché eravamo tutti già folli… ma lui ci ha insegnato a non avere mai paura e a buttarci più che potevamo, così da diventare ancora più coraggiosi e folli.  

Che Adam abbia cambiato il mondo e abbia fatto errori che hanno fatto rischiare alla sua azienda e ai suoi investitori di perdere miliardi resta un fatto.

Ma una cosa devo riconoscergliela: passare da essere la persona del momento e colui che tutti venerano e vogliono vedere, a essere un megalomane folle e artefice di un disastro, come è stato spesso additato, non è una cosa che molti possono sopportare.

Inoltre, nascondersi nel silenzio per più di 2 anni e tornare a far parlare di sé avendo raccolto segretamente un round di investimenti da 350 milioni di dollari per la sua nuova azienda Flow (che possiede già 5.000 unità immobiliari negli Usa), dal migliore investitore dei nostri tempi, Andreessen Horowitz è una cosa che davvero pochi riuscirebbero a fare. Amarlo o odiarlo, vederlo come un cattivo esempio o un’ispirazione. Sta a te a giudicare, ma Adam Neumann resterà sempre una persona che ha fatto la storia e che merita davvero di essere ricordato e studiato. Per quanto mi riguarda, WeCrashed è una serie TV… WeWork è un’azienda con più di 600 location in 38 Paesi e una community che conta più di 500 mila membri che creano aziende e network tutti i giorni. Abbiamo cambiato il modo in cui le persone lavorano nelle città. 

Adam è stato e sarà sempre colui che ha creduto in me e mi ha convinto che potevo realizzare l’impossibile. Grazie, Brother! Chi sarà il prossimo Adam Neumann?

 

La storia del founder di WeWork, Adam Neumann,

 

Articolo pubblicato su Millionaire aprile 2023

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