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Il conflitto in Ucraina: gli scenari, le conseguenze per le imprese italiane e cosa possiamo fare

Di
Silvia Messa
28 Febbraio 2022

Il conflitto in Ucraina, scoppiato nei giorni scorsi, si combatte sul campo, militarmente, tra l’esercito russo e quello ucraino, con conseguenze devastanti sulla popolazione. La vita quotidiana di tutti di cittadini è stata sconvolta. Sono impauriti e rischiano la vita, nel tragico balletto scandito dagli allarmi aerei, tra case minacciate e rifugi improvvisati. Molti scappano. L’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) stima che i profughi potrebbero diventare 4 milioni, addirittura 7 milioni per l’Ue. Per ora le persone sono accolte in Polonia e nei Paesi confinanti con l’Ucraina. Cominciano i primi arrivi anche in Italia, dove vive la comunità di ucraini più numerosa d’Europa.

Per fare la nostra parte

  • Croce Rossa Italiana, UNHCR e UNICEF lanciano una raccolta fondi straordinaria. Il numero solidale per donare è il 45525.
  • Asvi, organizzazione non profit che realizza progetti di cooperazione e sviluppo, con Emmaus, un’organizzazione locale Ucraina, si è attivata per prestare aiuto immediato alle persone in fuga verso la Polonia e la Romania. Agisce con due partner locali, AVSI Polska e Asociația FDP-Protagonisti in educatie. Su questa pagina è possibile sostenere attività di primissima emergenza per gli ucraini in fuga: https://www.avsi.org/it/campaign/emergenza-ucraina-helpukraine/88/

Le conseguenze sulle imprese italiane

Oltre ai gravi problemi umanitari, il nostro Paese dovrà affrontare conseguenze economiche sempre più pesanti con il protrarsi e inasprirsi della guerra, che ci auguriamo possa cessare grazie al lavoro della diplomazia.

«Il conflitto, oltre a destare massima preoccupazione in termini di vite umane, rischia di avere un impatto pesante anche sull’economia e sulla ripresa globale» ha dichiarato Alessandro Spada, presidente di Assolombarda. Coldiretti segnala che la guerra mette a rischio anche le esportazioni agroalimentari in Russia e Ucraina.

«Gli effetti del conflitto ucraino rischiano di cancellare tutto il Made in Italy a tavola dai mercati di Mosca e Kiev. Le esportazioni agroalimentari italiane nel 2021 hanno complessivamente superato il miliardo di euro».

Confindustria teme le conseguenze per il made in Italy e le 11mila imprese italiane che fanno affari con la Russia, con un interscambio di 20 miliardi di euro. Oggi l’Italia esporta verso la Russia 7 miliardi di prodotti e ne importa 12,6 miliardi, in particolare gas e materie prime. L’anno scorso Confindustria segnalava una forte crescita del Pil. Ma i rincari energetici sono un grave problema per il comparto produttivo.

«La produzione industriale italiana è stimata in forte caduta a gennaio, -1,3%, dopo -0,7% a dicembre. La contrazione è dovuta al caro-energia (elettricità +450% a dicembre 2021 su gennaio 2021) e al rincaro delle altre commodity che comprimono i margini delle imprese e, in diversi casi, stanno rendendo non più conveniente produrre. A questo si sommano le persistenti strozzature lungo le catene globali del valore. Tale dinamica mette a serio rischio il percorso di risalita del PIL avviato lo scorso anno».

Ma quali scenari apre il conflitto in Ucraina?

L’abbiamo chiesto ad Alessandro Ricci, ricercatore e docente di geopolitica dell’Università di Bergamo e segretario generale e cofondatore del centro studio Geopolitica.info.

«È stato difficile per gli Stati europei e l’Italia vedere con chiarezza la situazione in Ucraina. La pandemia ha assorbito tutte le nostre energie mentali, mentre nel resto del mondo avvenivano cose che non abbiamo considerato. Solo due anni fa si dibatteva sui banchi a rotelle a scuola, mentre in Libia l’Italia perdeva posizioni importanti e Turchia e Russia avanzavano, a discapito della nostra situazione energetica. Siamo arrivati impreparati al conflitto in Ucraina. Stupisce l’impreparazione delle cancellerie occidentali.

Per settimane sono affiorate notizie, la stessa Cnn aveva ipotizzato il rischio attacco in Donbass (zona mineraria che comprende le regioni ucraine orientali di Donetsk e Lugansk, al confine con la Russia, ndr). Ma tutto è cominciato quasi 10 anni fa con le proteste di Euromaidan e ancor prima con la Rivoluzione arancione del 2004. Quello che accade ora non è un lampo a ciel sereno. L’Occidente si mostra impreparato. Sentiamo una profonda distanza dal linguaggio e dai concetti espressi da Putin. Parla di compatrioti ucraini, di parenti di sangue. Termini e concetti lontanissimi dal modo occidentale di fare politica tra Stati e nei vari governi nazionali. Non comprendiamo le ragioni di Putin, non riusciamo a interfacciarci».

Cosa avremmo potuto fare?

«Ci saremmo dovuti occupare di questioni strategiche internazionali, invece di concentrarci solo sul Covid. Sensibilizzare il dibattito pubblico, le persone su cosa significa per noi una perdita di posizione. Si parla troppo poco delle questioni geopolitiche e delle loro conseguenze sull’interesse nazionale. Da parte dell’Ue ci sono tante contraddizioni, lacune, incertezze e indecisioni. La voce dell’Europa è flebile e incerta, non univoca. Sui tavoli delle trattative emergono tanti interessi particolari dei singoli Paesi.».

Ora L’Europa sanzionerà la Russia. «Applicare sanzioni di fronte ad un’aggressione militare è una risposta inadeguata, rivela debolezza diplomatica. Evitare ai ricchi russi lo shopping a Milano o le feste in Europa non danneggia la Russia. Sono restrizioni che si ripercuotono sulle nostre economie. Pochi analisti avevano immaginato un intervento su vasta scala della Russia. Putin ha mostrato i muscoli. E davanti a una risposta debole di Ue e Usa affonda il colpo.

Prevede una risposta bellica dell’UE?

«Difficile fare previsioni, si sbaglia puntualmente. Teniamo gli occhi puntati sugli Usa, più che sull’Europa, in termini militari. Non sembra che ci sarà una reazione immediata. L’attacco in Georgia del 2008 ha visto la Russia agire in due settimane. Anche in Crimea il suo è stato un intervento rapido e mirato. Si pensava a un’azione simile in Ucraina, ma ora non ci sono certezze. Quello che sta avvenendo potrebbe essere il preludio a un’azione vasta e permanente in un territorio più esteso. E questo porterebbe a un conflitto globale. Seconda ipotesi, più auspicabile, l’allargamento della Russia porterebbe all’acquisizione d due sole regioni. Una perdita non facile ma accettabile. Che comporterà un aggiustamento diplomatico nel periodo successivo».

Conseguenze per la nostra economia?

«Da un’emergenza all’altra. Non siamo ancora usciti dall’emergenza Covid. Uno scenario difficile e traballante cui si somma quello della guerra. L’impatto è molto negativo. Dipendiamo per il 90% del gas dall’estero, il 45% lo importiamo dalla Russia».

Potrebbero aprirsi possibilità per chi valorizza le risorse energetiche del nostro territorio?

«Sì, è uno spiraglio positivo. Purché si abbandoni la retorica, che non porta a risultati concreti. Si parla tanto di transizione ecologica, ma costi e prospettive sono sempre sul medio e lungo periodo. Ci sono però  esigenze immediate da affrontare. Case da riscaldare, aziende che hanno necessità di gas ed energia. Le incertezze dell’Ue derivano dagli interessi economici, come quelli relativi alle forniture di gas. Ci contraddiciamo. Da una parte si condanna la Russia, dall’altra cerchiamo di salvaguardare le forniture».

Cosa potrebbe accadere?

«Se la questione Ucraina si risolverà in un periodo breve, saranno necessarie misure economiche che salvino la faccia dell’Ue e ristabiliscano le relazioni energetiche. Altrimenti ci saranno effetti pesanti sul settore produttivo e le economie domestiche. Per non dire di scenari internazionali complessi, come le relazioni Russia-Cina e le ripercussioni su Taiwan. Un loro ulteriore avvicinamento potrebbe spostare gli equilibri mondiali e portare  a un indebolimento immediato dell’Ue e dell’Italia, in particolare, che ha relazioni importanti con questi due Paesi.

Tra gli interventi, ci sarà un aumento della percentuale di gas che acquistiamo dall’Algeria, dal Qatar e dalla Norvegia, ma in percentuali assai minori: c’è molto per arrivare al 46% che arriva dalla Russia.

L’uso delle rinnovabili richiede processi di medio periodo. Stiamo uscendo troppo lentamente dalla crisi Post Covid. Il rischio per la spinta produttiva è forte».

 

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