La COP29, tenutasi quest’anno a Baku, in Azerbaigian, si è conclusa, ma ha lasciato dietro di sé polemiche e malcontento, specialmente tra i paesi in via di sviluppo. L’annuncio di un obiettivo di 300 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti climatici entro il 2035 ha suscitato critiche per essere considerato insufficiente. Ecco i principali aspetti emersi dalla conferenza.
Divisioni tra paesi ricchi e paesi poveri
Le trattative sul finanziamento climatico hanno riaperto antiche ferite tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. La cifra di 300 miliardi di dollari è stata giudicata “irrisoria” da molte nazioni in difficoltà, soprattutto considerando che il precedente obiettivo di 100 miliardi di dollari entro il 2020 non era stato pienamente rispettato. Queste tensioni hanno dato luogo a un clima di amarezza e conflitto raramente visto in anni recenti, evidenziando la necessità di una maggiore collaborazione globale.
Il problema dell’inflazione
Un’analisi più approfondita della cifra proposta rivela ulteriori problematiche. Se si tiene conto dell’inflazione globale media del 5% annuo, i 100 miliardi del 2020 equivalgono a circa 208 miliardi nel 2035. Questo rende i 300 miliardi meno impressionanti di quanto possano sembrare a prima vista. Inoltre, il piano prevede che una parte significativa di questi fondi provenga da investimenti privati, un aspetto che suscita preoccupazioni sulla responsabilità e l’equità del meccanismo di finanziamento.
Il ruolo degli Stati Uniti e l’ombra di Trump
L’elezione di Donald Trump come presidente negli Stati Uniti ha avuto un impatto notevole anche senza la sua presenza diretta. Con il futuro impegno statunitense nei negoziati sul clima messo in discussione, l’attenzione si è spostata su chi potrebbe assumere il ruolo di leader climatico globale. La Cina emerge come il naturale successore, grazie alla sua crescente influenza economica e alla leadership nelle energie rinnovabili. Tuttavia, la mancanza di un consenso chiaro lascia un vuoto pericoloso in un momento critico per l’azione climatica.
Difficoltà organizzative e il ruolo dell’Azerbaigian
L’Azerbaigian, paese ospitante, ha affrontato notevoli difficoltà nell’organizzazione della COP29. Non avendo una tradizione significativa nella diplomazia climatica, il governo azero ha lottato per gestire la complessità delle negoziazioni, rendendo evidente che la scelta del paese ospitante può influenzare significativamente l’andamento delle discussioni.
L’approccio più combattivo degli attivisti
Un elemento distintivo della COP29 è stata l’aggressività crescente delle ONG ambientaliste e dei movimenti di protesta. Questi gruppi, frustrati dalla lentezza dei progressi e dalle promesse non mantenute, hanno adottato tattiche più incisive per attirare l’attenzione sul problema climatico. Manifestazioni e interventi hanno evidenziato la crescente impazienza della società civile di fronte all’inazione dei governi.
La COP29 ha messo in luce le difficoltà crescenti nel trovare un equilibrio tra giustizia climatica e responsabilità economiche. I finanziamenti climatici restano un tema centrale, ma l’obiettivo fissato sembra più un compromesso che una soluzione. Con l’incertezza sul ruolo degli Stati Uniti e l’emergere di nuove dinamiche geopolitiche, la strada verso il raggiungimento degli obiettivi climatici globali appare più ardua che mai.
I prossimi anni saranno cruciali per verificare se le promesse fatte a Baku saranno seguite da azioni concrete. Tuttavia, le divisioni e i dubbi emersi in questa conferenza suggeriscono che sarà necessario un impegno ancora maggiore per superare le sfide che ci attendono.
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