Cosa non si fa per attrarre talenti

Cosa non si fa per attrarre talenti

Di
Lucia Ingrosso
4 Agosto 2023

Perché lavorare in una determinata azienda è più desiderabile che in un’altra? Non solo per i soldi. Ecco come si fa a rendersi attraenti agli occhi dei potenziali collaboratori. E perché è così importante valorizzarsi. 

 

Esistono molte indagini e classifiche sulle aziende in cui si lavora meglio. Alcune partono da indagini interne, altre da valutazioni esterne. Si va dalla classifica del Top Employers Institute a quella del Great Place to Work, fino all’Employer Branding Observatory. Ma quali sono le aziende in cui tanti vorrebbero andare a lavorare e perché? Ecco qualche esempio.

Google punta su trasparenza, condivisione degli obiettivi, comunicazione e sviluppo di carriera. Ferrari attira per la sua fama, le sue auto di alta gamma e… il suo bonus! Nel 2022, a fronte di un utile netto di 939 milioni di euro, ha elargito ai suoi 5 mila dipendenti un bonus di 13.500 euro. Netflix assegna grandi responsabilità a fronte di poche regole e procedure, poi incentiva feedback diretti e sinceri. Ferrero offre benefit, welfare, asilo aziendale, sportello interno, piccole commissioni… Mediaset mette a disposizione dei dipendenti visite mediche specialistiche al prezzo di pochi euro e nell’ultimo anno ha erogato 36 mila ore di formazione. 

Ferrovie dello Stato ha un portale welfare che consente di accedere a oltre 100 mila servizi a prezzi vantaggiosi. E regala una smart card per viaggiare sui treni gratis o con forti sconti. Decathlon dà grande spazio all’inclusività e di recente ha realizzato per i dipendenti con la sindrome di Down un’App che li rende più autonomi. Heineken offre sostegno psicologico anonimo a chi manifesta un disagio, sia di tipo lavorativo che personale.

Grandissime come quelle citate, ma anche più piccole, le aziende che si rendono desiderabili ai propri collaboratori (presenti e futuri), nonché ai clienti (attuali e potenziali), fanno “employer branding”. «In alcuni ambiti ci sono più posizioni aperte che candidati disponibili. Per esempio in Italia, ogni anno, si laureano solo 6.000 persone in ambito ICT (Information Communication Technology) a fronte di un fabbisogno molto più alto. Da qui l’esigenza di attrarre talenti», spiega Giuseppe Caliccia, consulente aziendale specializzato in queste strategie dai primi anni Duemila.

Ma che cos’è l’employer branding e perché oggi è così importante? Questa disciplina, alla lettera attività di brand del datore di lavoro, nasce a metà degli anni Novanta. Rappresenta un insieme di azioni e caratteristiche tali da rendere l’azienda un luogo di lavoro desiderabile. Spiega ancora Giuseppe Caliccia: «Non è detto che l’immagine dei prodotti e dei servizi coincida con quella del luogo di lavoro. Per esempio, Amazon ha un’ottima fama dal punto di vista operativo, mentre come datore di lavoro ha ricevuto molte critiche. Al contrario, Ferrovie dello Stato è un’azienda in cui molti andrebbero volentieri a lavorare, mentre i suoi servizi non sono sempre percepiti come di alta qualità, specie per le tratte regionali». 

 

Le promesse vanno mantenute

«Le aziende devono individuare le proprie eccellenze e comunicarle. Ma la sostanza deve prevalere sulla forma, altrimenti si rischia l’effetto boomerang. Si attirano talenti con false promesse. Si investe in formazione e addestramento e poi, se le promesse non vengono mantenute, i nuovi arrivati se ne vanno. E l’azienda si trova con un investimento andato in fumo, il ruolo di nuovo da ricoprire e un’altra persona da formare», sottolinea Caliccia.

«La parola chiave è una: purpose, lo scopo dell’azienda, la ragione stessa per cui esiste. Non può essere un concetto vuoto, ma qualcosa di concreto e vivo. Quando quello individuale coincide con quello aziendale è l’indicatore che si è imboccata la strada giusta», spiega Paola Bottaro, peo-ple director del Top Employers Institute. Italo-olandese, è convinta che un ingrediente della ricetta dell’employer branding sia proprio l’internazionalità. «Noi lavoriamo in 30 Paesi con persone di 12 nazionalità diverse. La pandemia ci ha lasciato un insegnamento: ognuno deve lavorare dove si sente più a proprio agio».

Per comunicare le proprie specificità esistono molte strade: incentivare i dipendenti a fungere da ambassador, raccontando, soprattutto sui social, la vita in azienda e “dietro le quinte”; presentazioni e iniziative in scuole, università, fiere del lavoro; hackathon, contest, eventi

Fra gli elementi ritenuti attrattivi dai lavoratori ci sono oggi la stabilità dell’azienda, la capacità di assicurare un percorso professionale e una carriera interessanti e dei guadagni superiori alla media. A questo proposito Caliccia ricorda una novità in arrivo: «In base a una direttiva europea, entro tre anni il datore di lavoro dovrà comunicare lo stipendio per la posizione ricercata in fase di annuncio o durante il primo colloquio. Questo metterà fine all’opacità retributiva, ma comporterà anche difficoltà di gestione: dalle offerte al rialzo al confronto con i compensi dei lavoratori già in azienda».

 

Le carte da giocare

Un altro aspetto importante è il work life balance, cioè la capacità di assicurare ai collaboratori un equilibrio fra vita lavorativa e personale. In questo ambito, assumono importanza i benefit legati al welfare aziendale e il ricorso allo smart working. «Su questo terreno, anche startup e piccole imprese possono giocare la loro partita. Offrire libertà di orario e luogo di lavoro può compensare gli stipendi giocoforza più bassi di quelli garantiti da realtà più grandi. Oggi molti professionisti di valore chiedono addirittura il full remote working», continua Caliccia.  Altro punto di forza e di attrazione delle realtà più piccole consiste nella maggiore dinamicità in fase di creazione delle innovazioni. 

 

Articolo pubblicato su Millionaire giugno 2023

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