cubo di rubik

Cubo di Rubik: così un architetto ungherese ha creato il gioco più venduto di sempre

Di
Lucia Ingrosso
12 Maggio 2021

Una persona su 7 al mondo ha giocato almeno una volta con il cubo di Rubik. Tradotto in cifre: un miliardo di persone. A oggi, con 450 milioni di pezzi, è il gioco più venduto di sempre.

Ma cosa c’è dietro al rompicapo che ha intrattenuto intere generazioni? La storia viene raccontata dal suo inventore, l’architetto ungherese Ernó Rubik, nel libro Il cubo e io (Utet). Tutto comincia nel 1974, nella primavera che precede il suo 30° compleanno.

«La mia stanza era come la tasca di un bambino, piena di biglie e altri tesori: pezzi di carta con scarabocchi e immagini, matite, spago, colla, viti… In teoria era la stanza in cui preparavo le mie lezioni. In realtà, si sarebbe rivelata molto di più».

Un giorno a Ernó viene un’idea: assemblare 8 piccoli cubi in modo che restassero uniti fra di loro, ma che fosse anche possibile spostarli singolarmente. E così la stanza laboratorio inizia a popolarsi di moltissimi cubi: di carta, legno, monocromi o multicolori, interi o suddivisi in blocchetti.

«Non avevo idea se la cosa potesse essere interessante per qualcuno al di fuori di me».

Vietato immaginare Ernó chiuso in casa notte e giorno, ossessionato dalla realizzazione del suo rompicapo. «All’epoca era solo un hobby. Il tempo volava. Andavo a lavorare. Vedevo gli amici. Vivevo la mia vita. Mantenevo la mia routine e, intanto, perfezionavo la struttura dell’oggetto, realizzando nuovi modelli che funzionavano meglio. Quando avevo un po’ di tempo, giocavo a risolverlo».

Una volta definita l’idea, Ernó capisce che deve proteggerla con un brevetto. «Mi rivolsi a un avvocato specializzato in Diritto industriale, che mi fece fare alcuni disegni e scrivere una descrizione di ciò che avevo realizzato. Fu necessario tempo, ma alla fine, nel 1976, il cubo venne brevettato». Dopo 6 mesi, arriva il momento di passare alla fase successiva: mettere il cubo in produzione. L’Ungheria è un Paese privo di una particolare tradizione nella realizzazione dei giocattoli. Nella scuola in cui insegna, però, grazie all’aiuto di alcuni amici, testa materiali diversi.

Nel 1978 il Cubo magico, questa la prima definizione, arriva nei negozi ungheresi. A fine 1979 ne vengono venduti 300mila esemplari in Ungheria, Paese da 10 milioni di abitanti. Quindi si può dire che i suoi connazionali siano ormai addicted al cubo. Ma il gioco non sfonda all’estero (dove a quell’epoca ha venduto “solo” mezzo milione di pezzi).

«Il cubo viene rifiutato da tutte le principali aziende di giocattoli internazionali, perché ritenuto troppo difficile. Capire lo scopo del gioco richiede meno di un minuto, eppure ci vuole una vita per risolverlo e la cosa viene ritenuta scoraggiante. Senza contare che i rompicapi rappresentano una piccola quota del mercato dei giocattoli».

La svolta

A propiziare la svolta, un incontro fortuito e fortunato, quello con Tom Kremer, nato in Transilvania (all’epoca territorio dell’Ungheria, oggi della Romania), sfuggito all’Olocausto. Trasferitosi in Inghilterra, aveva aperto una piccola attività che finanziava proprio lo sviluppo di nuovi giocattoli. Intuendo il potenziale del cubo, Tom convince la Ideal Toy Corporation, grossa azienda americana sull’orlo del fallimento, a giocarsi un’ultima carta scommettendo sul cubo. Viene contrattualizzato così l’acquisto di un milione di pezzi da vendere negli Usa. In 3 anni, si vendono 100 milioni di pezzi e il cubo finisce al MoMA di New York e, a più riprese, sulla copertina del Time.

Ma nel 1982 il New York Times scrive: “La mania del cubo si è esaurita”. Che cosa era successo? «Il fallimento non aveva a che fare con il cubo in sé, quanto con la sua gestione commerciale, che non riusciva a soddisfare il ritmo delle richieste del mercato. Di conseguenze le imitazioni, anche se sciatte e lacunose, potevano prosperare».

Da cubo magico a cubo di Rubik

Un’idea che contribuisce al rilancio è quella di associarlo, anche nel nome, al suo inventore. Così il cubo magico diventa il cubo di Rubik. Ma Ernó non si limita a metterci il nome. Infatti, partecipa di persona a eventi nel mondo, crea altri rompicapi, gestisce una fondazione dedicata agli inventori, cambia distributore. E il cubo, all’alba del nuovo millennio, si risveglia. «Una nuova generazione lo scoprì come qualcosa di originale e familiare allo stesso tempo».

Tratto dall’articolo “Le più amate (e come imitarle)” pubblicato su Millionaire di febbraio 2021.

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