startup innovative

Dagli spin-off universitari alle opportunità per le startup innovative

Di
Andrea Fiorini
10 Aprile 2023

Le startup innovative sono una reale opportunità di lavoro per laureati e dottorandi? La domanda nasce da due considerazioni: la crescita esponenziale del numero delle startup innovative in Italia e uno dei requisiti di legge fondamentali perché si possano definire tali, requisito che riguarda appunto le figure professionali specializzate coinvolte. 

 

Una startup innovativa è un tipo di impresa introdotto per legge nel 2012: forma societaria snella, quasi priva di burocrazia in entrata e in uscita, un ampio numero di agevolazioni fiscali anche legate all’assunzione di personale. Soprattutto, la startup innovativa può godere della garanzia dello Stato sui finanziamenti per la sua crescita e il suo sviluppo.

 

Che cosa dice la normativa

Ovviamente per poter accedere alle agevolazioni la legge prevede alcuni requisiti stringenti (ma quanto lo siano davvero si vedrà più avanti). Tra questi il fatto che la start- up sia focalizzata su “innovazione tecnologica e prodotti e servizi tecnologici ad alto valore aggiunto”. È evidente che in un ambito così tecnico serve personale specializzato. E qui entrano in gioco laureati e dottori di ricerca. La normativa prevede infatti che tra i requisiti ci sia l’impiego “come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che ha svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale”.

 

spinoff

 

Le startup innovative sono quindi potenzialmente un grande bacino di offerta professionale per laureati (quindi in possesso di laurea triennale) con tre anni di ricerca certificata, laureati magistrali (quindi con laurea della durata di almeno cinque anni), dottorandi e dottori di ricerca. 

Si tratta di una possibilità concreta? Secondo Registro Imprese, 2.834 delle quasi 14.000 startup nate sino a oggi hanno utilizzato quel requisito per l’apertura, quindi poco più del 20% del totale. Una ricerca condotta dall’Unione Industriale di Torino nel 2020 aveva rilevato che le startup innovative italiane stavano assumendo un numero sempre maggiore di laureati, soprattutto in ruoli legati alla tecnologia (in particolare ingegneri) e alla ricerca e sviluppo. Si trattava di personale under 35, che rappresentava in quel momento il 52% degli occupati in questo tipo di impresa.

 

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Ma gli spin-off universitari assumono poco

Millionaire ha chiesto l’opinione del professor Loris Nadotti, membro fondatore di PNICube (l’associazione nazionale degli incubatori universitari) e docente presso le Università di Perugia e di Terni in Corporate finance, con delega al trasferimento tecnologico dall’università alle imprese. Un esperto, quindi, che da molti anni lavora sul rapporto tra università e startup.

«Fino al 1999 si è fatto poco – spiega Nadotti – poi un aggiornamento della normativa ha consentito di creare spin-off universitari per trasferire al mercato brevetti e competenze tecnologiche sviluppate all’interno degli atenei. Il fenomeno si è ulteriormente ampliato grazie al Decreto Sviluppo del governo Monti nel 2005 e ancora di più dal 2013 con la normativa sulle startup innovative. Gli spin-off universitari non sono necessariamente startup innovative, anche se possono esserlo. Il problema è che, dal punto di vista delle università, i requisiti delle startup innovative sono troppo laschi ed è quindi facile che si presentino attività tecnologiche che di tecnologico hanno ben poco. Si pensi a quante si basano su semplici App o su servizi di consulenza, ma non su brevetti o innovazioni reali. Per questo molti spin-off preferiscono non trasformarsi in startup innovative».

Resta poi il nodo occupazionale: «In questo senso – conferma Nardotti – l’impatto è limitato. Gli spin-off e le startup innovative di origine universitaria sono generalmente creati da professori che portano con sé pochi studenti, laureati o dottorandi. Inoltre questi professori tendono a gestire queste entità come padri-padroni, con poca attitudine imprenditoriale e poca apertura a soci o capitali esterni. Le vedono, insomma, più come un’estensione della loro attività di ricerca. Hanno uno stipendio, quindi non cercano molto altro. E gli universitari che vi lavorano non ottengono di certo contratti a tempo indeterminato; qualche volta a tempo determinato, ma la maggioranza fa prestazione d’opera occasionale. E questo pur facendosi carico dei rischi d’impresa come soci. Ma ovviamente la mia è una generalizzazione. Ci sono comunque molti spin-off di successo».

 

Articolo pubblicato su Millionaire marzo 2023.

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