Genenta Science sbarca al Nasdaq. È la prima startup italiana a quotarsi nel listino tecnologico di New York, e l’unica azienda del nostro Paese presente ad oggi. Nel giorno del debutto, ieri, ha ampliato la sua offerta pubblica iniziale di 2,4 milioni di azioni (ADS), a un prezzo di 11,50 dollari. L’obiettivo dell’IPO è raggiungere i 40 milioni di dollari lordi.
Welcome to the @Nasdaq family, $GNTA!@GenentaScience is a clinical-stage biotechnology company pioneering the treatment of cancers with a proprietary technology platform that allows the direct delivery of immunotherapeutic payloads within the tumor microenvironment. 🧬🔬 pic.twitter.com/O6ujoxqTCd
— Nasdaq Exchange (@NasdaqExchange) December 15, 2021
La storia di Genenta inizia a Milano dall’incontro tra un venture capitalist specializzato nel biotech e uno scienziato che potrebbe aspirare al premio Nobel per le sue scoperte. I due si conoscono e decidono di fare insieme un’impresa. Vogliono sviluppare una terapia genetica per la cura e il trattamento di tumori gravissimi: glioblastoma (cervello) e mieloma (sangue).
Siamo nel 2014, in un campus straordinario: Genenta è uno spinoff dell’Ospedale San Raffaele di Milano. A disposizione i due hanno laboratori, tecnici, scienziati e medici che innovano nel settore. A oggi hanno raccolto 33,6 milioni di euro. E sono dei fuoriclasse.
La mente imprenditoriale è Pierluigi Paracchi, 47 anni, uno che di biotech se ne intende, laurea in Economia, passione per la finanza, ex venture capitalist. Lo scienziato è Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-TIGET), uno studioso di grande valore, conosciuto e premiato in tutto il mondo per le sue scoperte sulle malattie genetiche rare. Poi si è unito Carlo Russo, già nella multinazionale GSK e Chief Medical Officer in Genenta.
«A fine 2013, Naldini mi ha fatto vedere una sua pubblicazione che era appena stata accettata da un’importante rivista scientifica, Science Translational Medicine: parlava dell’uso di un vettore per modificare le cellule staminali del sangue per la cura e il trattamento dei tumori. Ne sono rimasto colpito e affascinato» ci ha raccontato Paracchi un anno fa.
«Abbiamo raccolto i primi 10 milioni di euro in tempi molto stretti, nel 2015, grazie all’aiuto di Mediobanca». Poi altri round nel 2017, nel 2019. La startup raccoglie capitali e consensi. Ha sedi a Milano e New York.
«Il nostro obiettivo è migliorare l’aspettativa di vita. Non facciamo miracoli. Ma puntiamo a ritardare in maniera significativa lo sviluppo della malattia. È il nostro sogno» ci aveva detto Paracchi.
«La ricerca scientifica è il nostro petrolio. C’è un’opportunità enorme di creare valore in Italia. Abbiamo alcuni dei migliori scienziati del mondo, centri di ricerca, laboratori e strutture all’avanguardia. C’è una rivoluzione in atto, quella dell’immuno-oncologia, ci sono enormi opportunità. Le malattie sono globali, i pazienti sono globali, i brevetti sono globali.
Quando ho iniziato a fare il venture capitalist, data anche la mia formazione economica, ero più propenso, come molti, a investire nel mondo digital e social. Ti sembra di capire di più il business e che tutto sia più facile. Poi ho iniziato a studiare le scienze della vita e vedevo idee più solide. Da lì arrivano le grandi scommesse».
Tratto dall’articolo di Eleonora Chioda “Il biotech è il nostro petrolio” pubblicato su Millionaire di marzo 2020.