L’uso dei social media è cresciuto esponenzialmente, diventando una presenza costante nella vita quotidiana, specialmente tra i giovani. Tuttavia, un recente studio condotto da Jonathan Haidt, psicologo sociale della New York University, e Will Johnson, amministratore delegato del Harris Poll, evidenzia che la Generazione Z (18-27 anni) inizia a mostrare segni di pentimento per il ruolo dominante che i social media hanno assunto nelle loro vite. L’indagine, pubblicata dal New York Times, rivela una crescente ambivalenza riguardo agli effetti dei social media, suggerendo che molte persone della Gen Z desiderano che alcune piattaforme non fossero mai state create.
L’enorme tempo dedicato ai social media
Uno dei dati più allarmanti emersi dalla ricerca riguarda il tempo trascorso sui social media: oltre il 60% dei giovani intervistati dichiara di passare almeno quattro ore al giorno su queste piattaforme, con il 23% che ammette di superare le sette ore quotidiane. Questo uso intensivo solleva interrogativi sul rapporto tra l’uso dei social media e il benessere emotivo e psicologico di questa generazione. Sebbene molti giovani riconoscano i benefici personali dei social media, come la possibilità di rimanere connessi e informati, una porzione significativa degli intervistati evidenzia anche i danni provocati da questo consumo massiccio.
Il doppio volto dei social media: benefici e danni
Secondo i dati del sondaggio, il 52% degli intervistati crede che i social media abbiano migliorato la propria vita, mentre il 29% afferma che abbiano avuto un impatto negativo. Tuttavia, i numeri cambiano significativamente in base a genere e orientamento sessuale. Ad esempio, il 37% degli intervistati riporta che i social media abbiano influenzato negativamente la loro salute emotiva, con percentuali più alte tra le donne (44%) rispetto agli uomini (31%) e tra i giovani LGBTQ+ (47%) rispetto ai non-LGBTQ+ (35%). Questo suggerisce che le piattaforme colpiscano in modo più marcato individui già appartenenti a gruppi storicamente svantaggiati.
La ricerca dimostra che i social media non causano solo stress derivante dal “FOMO” (Fear of Missing Out) o dalla comparazione sociale, ma possono contribuire a problemi ben più gravi, come la distorsione dell’immagine corporea, la depressione, l’ansia e persino l’esposizione a contenuti pericolosi, come quelli legati a suicidi o disturbi alimentari. L’uso problematico, un termine utilizzato per descrivere l’uso compulsivo che interferisce con altre aree della vita, è un altro fenomeno preoccupante che colpisce una parte significativa dei giovani utenti.
Il rimorso per l’esistenza delle piattaforme social
Uno degli aspetti più sorprendenti dello studio riguarda il concetto di rimorso associato ai social media. Agli intervistati è stato chiesto se avrebbero preferito che certe piattaforme non fossero mai state inventate. Mentre prodotti come YouTube (15%) e Netflix (17%) hanno ottenuto bassi livelli di rimorso, piattaforme come Instagram (34%), Facebook (37%) e Snapchat (43%) hanno registrato numeri molto più elevati. Le due piattaforme più controverse sono risultate TikTok (47%) e X/Twitter (50%), con quasi la metà degli intervistati che desiderano che queste non fossero mai esistite.
Questo dato riflette una crescente consapevolezza dei costi psicologici e sociali associati a queste piattaforme. Nonostante i giovani continuino a utilizzare queste app, molti di loro riconoscono i pericoli che comportano, tra cui dipendenza, isolamento e l’impatto negativo sull’autostima e sulla salute mentale.
La necessità di regolamentazione e riforma
Un altro dato significativo riguarda il forte sostegno dei giovani per regolamentazioni più severe sull’uso dei social media da parte dei minori. Quasi il 45% degli intervistati afferma di non voler dare uno smartphone ai propri figli prima dell’età della scuola superiore, e il 57% supporta l’idea di limitare l’accesso ai telefoni per i bambini sotto i 14 anni. Anche se solo il 36% sostiene un divieto completo dei social media per i minori di 16 anni, una schiacciante maggioranza (69%) ritiene che le piattaforme debbano offrire una versione più sicura per gli utenti minori di 18 anni.
Questo desiderio di protezione trova riscontro anche a livello legislativo: attualmente, il Congresso degli Stati Uniti sta discutendo il *Kids Online Safety Act*, una proposta di legge che mira a limitare le caratteristiche più addictive dei social media e a rendere i contenuti consigliati più sicuri per i minori. Questa proposta è sostenuta dalla maggior parte degli intervistati, che vogliono vedere una maggiore responsabilità da parte delle aziende tecnologiche.
Lo studio condotto da Haidt e Johnson suggerisce che, nonostante la diffusione capillare dei social media, una parte crescente della Generazione Z riconosce i pericoli di queste piattaforme e desidera cambiamenti significativi. La loro ambivalenza riflette un malessere crescente, che potrebbe portare a richieste di riforme più severe nel modo in cui le piattaforme sociali gestiscono i loro utenti più giovani. La domanda principale che emerge è: se questi strumenti stanno causando danni a milioni di giovani, perché non stiamo facendo di più per proteggerli?
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