Gli italiani emigrati sono il triplo di quelli che pensavamo

Gli italiani emigrati sono il triplo di quelli che pensavamo

Di
Matteo Cerri
10 Novembre 2023

I dati preoccupanti di una ricerca appena pubblicata, mentre il Governo ha ben pensato di rendere meno attrattivo il loro rientro. E se da una parte tutti in Patria piangono per i dati di questo esodo, gran parte degli italiani sembra scandalizzata per le condizioni offerte a chi rientra.

 

Nel corso dell’ultimo mese, la nostra testata ha seguito con dedizione il tema del rientro degli italiani dall’estero, analizzando le condizioni loro riservate, sia a livello fiscale che sociale. Il dibattito è stato acceso, soprattutto in considerazione delle misure proposte dalla nuova Finanziaria che sembravano minacciare i progressi finora fatti. Tuttavia, grazie alla mobilitazione della comunità degli italiani all’estero, in particolare quelli in fase di rientro, si è generato un contraccolpo significativo. Ciò ha spinto il Governo a intervenire per correggere il tiro, lasciando intendere che delle modifiche saranno apportate per mantenere viva l’attrattività dell’Italia per i suoi cittadini espatriati. In questo contesto di particolare interesse per i nostri lettori, emerge uno studio che aggiunge un ulteriore tassello al mosaico di questa complessa situazione.

Una recente indagine della Fondazione nord est e dell’associazione Talented Italians in the UK, ci svela che il numero di giovani che hanno lasciato il Paese è tre volte superiore a quello precedentemente stimato. Questa indagine statistica mostra che l’emigrazione dei cosiddetti “cervelli in fuga” ha assunto proporzioni notevoli, inserendosi nella tradizione demografica di un Paese con una lunga storia migratoria.

Nel dettaglio, il confronto tra i dati Istat e quelli degli uffici statistici europei ha rivelato che per ogni giovane emigrato registrato nelle statistiche italiane, ce ne sono altri due non contabilizzati. Il periodo 2011-2021 ha visto, secondo l’Istat, la partenza di 377mila italiani tra i 20 e i 34 anni verso i principali paesi europei, ma analizzando i registri stranieri, la cifra si triplica, raggiungendo quasi 1,3 milioni. Questo squilibrio nasce dal differente comportamento degli emigrati nel dichiarare la propria presenza alle autorità: se da un lato l’iscrizione all’AIRE può comportare la perdita di alcuni vantaggi nazionali, dall’altro, la registrazione nel paese ospitante è essenziale per l’accesso a servizi basilari.

Mentre l’Italia si conferma come principale “esportatore” di giovani talenti, non gode dello stesso flusso in entrata. Di fronte a 377mila partenze, l’Italia ha registrato solo 51mila ingressi di coetanei stranieri, evidenziando un’attrattività significativamente inferiore rispetto ad altri paesi. Questo scenario risulta paradossale se si considera che paesi culturalmente vicini, come la Spagna, riescono ad attrarre un numero maggiore di giovani europei. Solo il 6% di questi sceglie l’Italia come meta. I motivi? Infrastrutture inadeguate, una cultura del lavoro e dell’innovazione che stenta a valorizzare i giovani e un contesto di lavoro spesso percepito come sfruttante.

La manovra fiscale introdotta dal decreto Crescita nel 2019 sembrava un passo nella giusta direzione, offrendo un taglio sull’IRPEF per incentivare il rientro dei cervelli. Tuttavia, le nuove misure previste dalla Finanziaria rischiano di ridimensionare queste agevolazioni, compromettendo la percezione dell’Italia come un paese affidabile e accogliente. Il timore (pare non più fondato) di una normativa retroattiva, in particolare, ha minacciato di erodere ulteriormente la fiducia degli italiani all’estero.

L’appello è a politiche pubbliche e aziendali più affidabili che vadano oltre la sfera fiscale, toccando temi quali il sostegno alle famiglie, l’efficienza dei trasporti, la qualità dell’istruzione e una nuova cultura lavorativa. Non si tratta di essere attrattivi solo per chi vuole rientrare, ma anche e soprattutto per chi non vuole sentirsi costretto ad emigrare. La posta in gioco è alta: il continuo drenaggio di capitale umano non solo riduce il tasso di natalità e l’innovazione, ma indebolisce anche la capacità del Paese di affrontare sfide future come quelle ambientali e digitali. La mobilitazione degli italiani all’estero e l’attesa reazione del Governo sono segnali di un dibattito ancora aperto e di una storia che la nostra testata continuerà a seguire con la massima attenzione.

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